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Samuela Schilirò in Santa Madre dell'Umanità mette l'umanità: il video

Musica

Il brano declina una realtà distorta, accelerata, confusa e piena di solitudine, in cui non si riesce più a distinguere il reale dal virtuale. Il video è introdotto da un testo originale dell'artista

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Come quando sei blindato in casa e cerchi una canzone che ti dica come stai…io ho trovato Santa Madre dell’Umanità. Con questo non voglio dire che il brano sia “intriso di pandemia” e men che meno ispirato da questa, tanto che è nato prima della diffusione del Coronavirus, ma in questo periodo storico ho potuto constatare ancora di più quello di cui racconto in questa canzone, che non è altro che una mia fotografia della realtà. Una realtà distorta accelerata confusa piena di spettacolare solitudine, in cui non si riesce più a distinguere il reale dal virtuale, in cui l’umanità, nel senso letterale del termine, pare essere destinata all’estinzione.Il tutto condito da un carosello fatto di pose, di giudizi, di razzismo medievale, di facili insulti e facili condanne, di menzogne rese verità assoluta, di paure disfunzionali, talmente contraddittorio e paradossale da divenire un carnevale, in cui nessuno vede tocca e sente più nessuno e in cui la memoria è proporzionale alla velocità con cui tutto accade.

Ecco perché Santa Madre dell’Umanità può sembrare una bestemmia, ma in realtà è anche una preghiera laica. Da un lato, c’è tutto il mio disagio nei confronti del mondo circostante, in cui a volte mi sento aliena e altre invece completamente ingabbiata, vittima, anche io, dei suoi meccanismi seducenti, e dall’altro il mio profondo desiderio di umanità, di ritorno allo scambio e al confronto, al gioco, alle cose semplici e all’autenticità. Fosse per me, ripristinerei il baratto, per esempio (rido). Ha condiviso con me questa inquadratura la penna sferzante di Mariagiovanna Lauretta, co-autrice del testo della canzone. L’andamento ritmico del brano traduce in musica il racconto: è quasi ansiogeno, non lascia respiro e il tappeto armonico è ricco di suoni di synth che io definisco “divertenti” (hai presente i videogiochi degli anni ’80?) proprio per cercare di ironizzare sui drammi di cui parlo e non prendersi troppo sul serio. Se questa canzone fosse un pezzo teatrale, sarebbe un’opera del Teatro dell’assurdo! E se fosse un videoclip sarebbe proprio quello realizzato da «quel gran genio del mio amico», il regista Giuseppe Consales. Trovo che Giuseppe abbia colto perfettamente il messaggio del brano, scegliendo di rappresentarlocon taglio cinematografico, attraverso una sequenza di personaggi volutamente stereotipati, che io osservo dal finestrino di un’auto in corsa, ma che ritrovo anche nello schermo di un piccolo televisore all’interno di una splendida casa padronale. L’io narrante osserva, l’io dentro la casa si interroga, l’io spaventato è chiuso in un armadio. Mi piace pensare che la donna della copertina del brano sia in grado di liberarsi dalla gabbia che indossa, continuare a farsi domande e uscire dall’armadio.