Massimo Zamboni torna con La Mia Patria Attuale, il racconto della terra dei padri

Musica

Fabrizio Basso

Credit Diego Cuoghi
Massimo Zamboni_foto di Diego Cuoghi 2 1

Una parola usata e abusata ma centrale nelle nostre vite. Il nuovo album dell'artista emiliano è un momento di raccoglimento civile unico e raro. Inoltre sarà ospite di The Square su Sky Arte giovedì 27 gennaio. L'INTERVISTA

Da mesi aspettavo questo album, da quando ho ascoltato il primo singolo, il biglietto da visita, intitolato Canto degli Sciagurati. Massimo Zamboni è arte e cultura in senso ampio e completo. La Mia Patria Attuale è il suo nuovo album, un viaggio nell'umanità. Come un viaggio è il suo libro La Trionferà, la storia di un paese del reggiano dove ancora oggi c'è un busto di Lenin: un romanzo storico che si legge tutto d'un fiato. La Mia Patria Attuale merita attenzione, vale mille trattati sociologici. Per commentarlo non potevamo che scegliere una osteria e chiacchierare tra Lambrusco e cappelletti in brodo. Prima del desinare Massimo Zamboni è stato protagonista di The Square, programma di Sky Arte, dove ha presentato un brano e fatto una intervista.

Partiamo dalla storia dell’album: quando nasce e con che assiduità ci hai lavorato?

E’ nato prima in testa mentre scrivevo La Trionferà. Sai gli emiliani identificano la patria con i confini  regionali. Mi domandavo come allargare il confine, che significa Patria…è una parola difficile, ho paura a pronunciarla: va dall’idea risorgimentale al sopruso, al privilegio. Italia è un paese irrisolto, non siamo cittadini, la distanza con lo Stato è tanta. Nazione sarebbe una parola nobile ma ora è più geografica che nobile.
Cosa significa oggi la parola patria?
E’ la terra dei padri e sembra che metà del genere umano ne venga escluso. Però gli altri ci vedono come italiani e dunque va considerata.
Dove è oggi l’onda immensa del popolo minuto?
Nella maggior parte dei casi sta dalla parte sbagliata. E’ l’istanza eterna del genere umano, popoli brulicanti schiacciati che cercano di salvarsi e creare una vita che valga la pena di essere vissuta.
In Fermamente Collettivamente usi due concetti oggi stranianti: collettivo e compagno. Tu che li hai masticati a lungo oggi li trovi solo difficili da digerire oppure sono scatole vuote?
Non usavo la parola compagno da trent’anni, anche se spesso mi sono trovato davanti a persone che così mi chiamavano stringendo il pugno e con nell’altra mano la bandiera rossa. Noi attribuiamo un valore alle scatole vuote. Sono parole che non possediamo più. Ancora gli anziani stringono un pugno, è la forza di una idea che non decade in una coscienza e magari si rivestirà di un nuovo lessico.
Riusciremo a fare abbastanza affinché il mare diventi un margine di gioia da attraversare?
Abbiamo l’idea del mare come di un luogo di gioia, basta pensare all’estate, ma sappiamo quanta sofferenza contiene. E’ sempre stato il destino del mediterraneo, una divinità femminile contesa da troppi maschi.
Cosa ha di diverso il modo emiliano di portare il pianto dagli altri modi di piangere?
La canzone è nata dopo il terremoto a Reggio: non c’è stato spazio per il pianto, si è subito ripartiti. Mi piace il non essere in grado di richiudersi in se stessi. Qui si guarda sempre lontano, c’è orgoglio.
Il nemico che penetra nella città può essere quello che è penetrato a Porta Pia?
Ha tante forme, può anche essere il virus. O quello dei troiani che si sono ritrovati un cavallo di legno tra le mura. Scopri che nella quotidianità tumultuosa può arrivare qualcosa che sconvolge tutto.
Quali sono gli intralci da spazzare via per tornare a chi-amò Italia?
Un salto culturale enorme, siamo così oppressi dalle news e da una costruzione di una realtà che è in primis una finzione. Occorre una visione reale del mondo.
La mattina, quando ti svegli, cosa vorresti trovare di cambiato? Oppure nel cambio resterà sempre uguale?
La temperatura di casa perché ci scaldiamo con la legna e al mattino siamo a 10 gradi e ne vorrei qualcuno in più. Vorrei vivere in modo condiviso, essere parte di una comunità. A prescindere dall’idea di solitudine visto dove vivo.
Hai imparato a non essere troppo attento ai limiti?
No. La formazione filo-sovietica non mi lascia libero. Penso a prossima vita.
Via da qua e non tornare…tu non lo hai fatto e hai avuto molte possibilità: perché?
Sono così simile a questa terrà che non posso lasciarla nonostante le tentazione. Un privilegio osservare la terra in cui vivi e apprezzarla anche nei difetti.
Alessandro Manzoni, Gino Paoli, il Colosseo in vendita, il paese dei campanelli di Carlo Lombardi e tutti dipinti di blu come cantò Modugno…ha una grande storia questa aria sconsolata: è tempo di rivoluzione?
Mi accontenterei di una democrazia quotidiana che non trovo applicata. Sarebbe già un successo applicare la Costituzione. Viviamo un sopruso che comprende 70 anni di Repubblica e non ci siamo mai sviluppati, restiamo immaturi.
Cosa resta di certe illusioni rivoluzionarie del tuo libro La Trionferà?
Alcuni hanno vissuto un’illusione di cambiamento e li invidio, io ho visto l’ultima deriva del mondo. Ora lo scenario è un mondo che non può essere cambiato, un mondo unico come modalità. Quelli più colti hanno un margine di manovra enorme per uscire dallo schematismo. L’idea filosofica del mondo è praticabile solo da pochi.
Ti sei divertito a The Square (appunatento su Sky Arte giovedì 27 gennaio)?
Ho suonato La Mia Patria Attuale e ho fatto una intervista. I temi affrontati piacciono, certo non mi illudo che possano piacere a un ragazzino, ma mi incoraggia il fatto che ci sono più cinquantenni che ventenni.
Che accadrà nei prossimi mesi?
Vorrei suonare e anche tanto ma al momento ci scontriamo con le capienze. Penso a uno spettacolo con due momenti dello stesso ragionamento, La mia Patria Attuale e La Trionferà.

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