Maurizio Carucci degli Ex-Otago ci racconta il suo toccante podcast dedicato al padre

Musica

Camilla Sernagiotto

Photo Credits: foto di famiglia di Maurizio Carucci assieme alla madre e al padre; foto dell'artista davanti alla casa paterna. ©Maurizio Carucci

Il frontman del gruppo indie pop genovese è protagonista di un viaggio a cuore aperto dal titolo "Vado a trovare mio padre". Un podcast  disponibile su tutte le piattaforme di streaming nato da una traversata in bici per 1200 km. La meta è stata il ritorno alle origini per ricongiungersi idealmente con il padre scomparso tornando nei suoi luoghi. Prodotto da LifeGate Radio e realizzato da Giacomo De Poli e Marco Rip, già autori di "Big! Colapesce e Dimartino a Sanremo", è un capolavoro. Qui l'intervista a Carucci

Si intitola "Vado a trovare mio padre", sottotitolo "Vita. Sogno. Viaggio.", ed è il podcast prodotto da LifeGate Radio che vede protagonista e voce narrante Maurizio Carucci, il leader degli Ex-Otago.
Oltre a essere protagonista e voce narrante, il frontman della celebre band indie pop genovese è il vero e proprio "One Man Band" di questo progetto: l’ha confezionato in tutto e per tutto, curandone musiche, testi, fotografie, grafiche e parte della produzione.


Il risultato è un gioiellino: un viaggio a cuore aperto con cui Maurizio Carucci ci conduce mano per mano nei luoghi di suo padre.
Nel tentativo di ricongiungersi idealmente al genitore scomparso, l'artista ha deciso di inforcare la propria bicicletta e di inoltrarsi in un'avventura a due ruote di ben 1200 km che l'ha portato a esplorare mezza Italia. Più che un'avventura a due ruote, sarebbe da definirla a quattro ruote, non perché ci sia un'automobile di mezzo (e come mezzo) ma perché alla bici di lui si è affiancata quella dell'amico Massimo Martina.

L'idea di trasformare un viaggio così importante ed emotivamente intenso in un racconto che potesse raggiungere i cuori di chiunque è stata di Giacomo De Poli e Marco Rip, rispettivamente il direttore artistico di LifeGate Radio e l'audio-documentarista e sound producer che spesso collabora con lui.

Questo magico duo ci sta sfornando prodotti che definire di qualità è alquanto riduttivo. Dobbiamo proprio a loro, ad esempio, "Big! Colapesce e Dimartino a Sanremo", l'originale podcast che i due cantautori siciliani hanno condotto come “un audio-documentario del nostro Sanremo”, come hanno scritto sui loro social network.
"Big!" ci raccontava l'avventura sanremese dei due eroi della passata edizione (quarti classificati al Festival 2021 ma vincitori morali - e commerciali - di quest'anno) mentre il nuovo "Vado a trovare mio padre" è un diario con le movenze dello stream of consciousness joyciano. Un racconto che ipnotizza perché, prima che dal cervello, arriva dal cuore, quindi riesce a dribblare tutto per arrivare dritto ai nervi e ai muscoli, bersagliando nell'ascoltatore il muscolo più importante, ossia quel cuore da cui tutto è partito. Al posto delle solite elucubrazioni mentali (ultimamente così gettonate in quei jukebox che sono i podcast di oggi...), "Vado a trovare mio padre" inanella semmai elucubrazioni senti-mentali. Assai più coinvolgenti.


Ci sono le riflessioni più intime che un uomo possa esternare, alternate a frammenti di vita reale tracciati a partire dai suoi ascolti e dagli audio-messaggi scambiati con gli affetti più cari.

Non si tratta comunque di una strada tutta in discesa quella che ha percorso Maurizio Carucci, sia dentro sia fuor di metafora. Perché alla partenza aveva un altro compagno di viaggio, di certo più indesiderato dell'amico che l'ha affiancato, ossia lo smarrimento. Smarrimento di chi non sa cosa lo attende non solo al traguardo ma perfino in ogni tappa. Eppure la storia, anzi l'epica, ci ha insegnato che lo smarrimento sembra un tallone d'Achille ma in verità sono gli spinaci di Braccio di Ferro. Infatti Carucci, moderno Ulisse (stavolta non citiamo Joyce ma Omero), è protagonista di un'odissea del cuore e dell'anima in cui paura e smarrimento sono inevitabili in quanto parti integranti (e addirittura motori) del viaggio di iniziazione di cui stiamo parlando.

“La scorsa primavera quando ho letto il post di Maurizio alla vigilia della partenza per Taranto l'ho chiamato immediatamente, confessandogli che mi sarebbe piaciuto raccontare questo suo viaggio, in un modo diverso – racconta Giacomo De Poli, direttore artistico di LifeGate Radio – “io e Marco Rip l'abbiamo fatto senza sapere esattamente cosa avremmo trovato lungo la strada e soprattutto all'arrivo, ma ad attenderci c'era più di una storia e che ora siamo davvero entusiasti di poter condividere”.

Il podcast

"Vado a trovare mio padre" è suddiviso in quattro puntate, tutte già disponibili su Spotify, Apple Podcast, Spreaker e su tutte le piattaforme di streaming.


In ciascuno degli episodi di cui si compone c'è dentro tutta la storia di Carucci. Le sue tante anime, ossia quella da agricoltore, quella da cantautore, quella da leader degli Ex-Otago, quella da appassionato ciclista. E soprattutto quella del figlio e dell'essere umano.

Quattro puntate che shakerano in maniera impeccabile suoni e parole, conferendo a Maurizio Carucci pure una nuova anima: quella del bartender di poesia musicale, di letteratura emotiva.
Mixando suoni e parole, ha poi riavvolto il nastro dell'esperienza più catartica che potesse vivere per offrirlo agli ascoltatori.

Da Cascina Barbàn a Taranto e poi Copertino, il podcast corre veloce su due ruote lungo quei milleduecento chilometri percorsi dal musicista per ristabilire un contatto con il padre, mancato anni prima.

“Da ragazzo cantava e sognava una vita di musica per me. Sono andato a trovarlo con la speranza di riabbracciarlo, parlargli ancora una volta, raccontargli quello che sto facendo e passare momenti semplici insieme. Durante il viaggio i ragazzi di LifeGate mi hanno spiegato cosa registrare, quali frame sarebbero stati utili per raccontare questa esperienza, vissuta pianoforti nelle orecchie e lacrime agli occhi", ha spiegato Maurizio Carucci.

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La canzone "La vita dentro" che traduce in musica le emozioni del podcast

Il podcast ha generato anche un progetto musicale collaterale e collegato.
A tradurre in musica le emozioni espresse in "Vado a trovare mio padre" è infatti il brano "La vita dentro" di Maurizio Carucci, appena uscito in versione digitale sulle piattaforme come "inedito manifesto e dichiarazione d'intenti piano driven di un’esperienza più che mai segnante, sudato arrivo in volata".

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L'intervista a Maurizio Carucci per Sky TG24

Abbiamo raggiunto Maurizio Carucci perché non potevamo non chiedergli cosa si prova ad aver vissuto sulla propria pelle un viaggio dell'anima del genere.
Ecco cosa il cantautore ha raccontato a Sky TG24.

Come è nata l’idea del podcast?
L’idea è nata da Giacomo de Poli e Marco Rip. Hanno letto per caso il mio post in cui annunciavo questo viaggio, mi hanno chiamato e ci siamo organizzati.
 
Dentro a questo progetto quanta vita c’è, quanto sogno e quanto viaggio?
Beh senza dubbio prima di tutto c’è il viaggio che di per sé è contenitore di vita e di sogno. Viaggio proprio per mischiare la realtà con l’immaginazione, il viaggio per me è lo spazio e il momento che intercorre tra un passo e l’altro. È uno spazio vuoto utile per costruire tempi, giornate e vite nuove.
 
Ti definisci agricoltore e cantautore. Come coniughi queste due carriere? C’è della musica nella tua agricoltura e, viceversa, dell’agricoltura nella tua musica? Sono due campi (!) simili in qualcosa?
Ma sì, più che mi definisco, lo sono. Mi occupo di musica e di agricoltura e lì in mezzo ho trovato un po’ di equilibrio. Tutto si mischia, di sicuro in agricoltura c’è molta musica, c’è molto ritmo, e i suoni della natura a volte sono meglio delle canzoni. Nella musica, nella mia per lo meno, cerco di far entrare sempre molta natura, perché è un elemento che amo, che mi tranquillizza, che mi riporta alle mie origini, e mi suggerisce ogni volta di ridimensionare le mie ansie, le mie preoccupazioni, le mie ambizioni. Mi riporta a una dimensione piccola, come gli esseri umani.
 
Hai attraversato l’Italia in bici assieme a un amico, Massimo Martina. Con il senno di poi, è un viaggio e un’esperienza che avresti preferito fare in solitaria?

Ma no assolutamente lo rifarei tale e quale. Il viaggio è un qualcosa di sacro, una volta partiti non si torna indietro, si ascolta ciò che ha da dirci e ci si abbandona.
 
Questa operazione è stata veramente qualcosa di catartico per te? È riuscita in qualche modo a farti esorcizzare un po’ del dolore, del lutto, della perdita? Comunque incolmabili, chiaramente.
Certamente, prima di tutto la musica soprattutto, ma anche i viaggi mi aiutano a trasformare un poco la realtà, cambiargli aspetto e mi permette di buttare fuori, di sfogarmi, di liberarmi. La musica, così come i viaggi, in qualche modo e misura sono degli strumenti che trasformano, rimodellano, cambiano il colore della realtà, aprono porte, accarezzano, comprendono.
 
Se non siamo indiscreti né indelicati, possiamo chiederti se tuo padre è mancato prima di sapere che il figlio (per il quale “sognava una vita di musica” per te, come tu stesso hai dichiarato) è diventato una celebrità delle sette note italiane?
Purtroppo mio padre è mancato prima, ma anche quando ero meno popolare, un po’ di nascosto, con gli amici si vantava molto di me, era orgoglioso di ciò che facevo.

Tu sei davvero, per dirla in musica, il “One Man Band” di questo progetto: hai curato musiche, testi, fotografie, grafiche e parte della produzione. Come fai a fare tutto (e a farlo bene, soprattutto)? È più il tuo animo da musicista o quello da agricoltore che ti guida? Nel senso: un agricoltore non è specializzato nella semina o nell’aratura o nella raccolta: fa tutto. Molti musicisti di oggi invece fanno benissimo il proprio ma se gli chiedi qualcosa che va oltre quel “proprio” arrancano.
Sono sempre stato amante del saper fare. Siamo nell’epoca della delega e dell’iperspecializzazione. Io preferisco, magari sbagliando, imparare a svolgere i lavori primari di cui gli esseri umani hanno bisogno, come ad esempio produrre cibo, produrre legna che servirà a scaldarmi durante l’inverno, rappezzarmi qualche vestito, cucinare. Mi interessa saper fare e ho il sospetto che questo mio interesse nasconda anche un’idea politica, in qualche misura antagonista ai costumi del nostro tempo… Sicuramente il mestiere del contadino mi ha fatto scoprire questa possibilità, mi ha dato la possibilità di percorrere la strada che sto percorrendo, che poi è la mia vita.
 
Qual è stata la cosa più difficile di questo percorso, sia sul piano emotivo sia anche su quello fisico dato che si tratta di un viaggio in bicicletta dove quindi il sudore si mescola alle lacrime?
Beh sul piano fisico di sicuro pedalare più di cento chilometri al giorno per dodici giorni non è stata proprio una passeggiata. Devo dire la verità, non ho fatto molta fatica, le mie gambe erano allenate e i chilometri che facevamo tutti i giorni non mi pesavano più di tanto, cammino da quando sono bambino e negli ultimi dieci anni ho fatto diversi viaggi lunghi a piedi. Per quanto riguarda l’aspetto emotivo, il momento più intenso l’ho provato quando sono arrivato a Taranto, nel suo quartiere, davanti al portone in cui è cresciuto. In quel posto sono rimasto intontito per un po’, non sapevo bene né cosa fare né cosa dire. Sono stato lì e basta.
 
Quanto del Maurizio Carucci come leader degli Ex-Otago c’è qui dentro? Zero? 30%? 50%?
Mah non saprei, credo intorno al 100% io sono questa cosa qui ovunque, con i miei difetti e le miei virtù. Ovunque io mi trovi e qualsiasi cosa faccia non ho altre possibilità, sono sempre io.
 
 
Parlaci dei tuoi progetti futuri, musicali e "para-musicali" come questo qui.
Nell’immediato futuro sto lavorando al mio disco solista, sto ultimando le varie registrazioni e produzioni. Ho scritto un libro che si chiama “Camminare in Val Borbera” sulle camminate della mia valle, che uscirà a breve. Credo che in autunno mi ritirerò per qualche tempo, forse una settimana in un eremo in toscana, andandoci in bicicletta. Per quanto riguarda la campagna, siamo prossimi alla vendemmia e spero in futuro che le vigne che ho piantato vadano in piena produzione. Spero anche che Cascina Barbàn continui a offrire una testimonianza di come si può stare dentro all’agricoltura in maniera differente rispetto come si faceva nei decenni passati, e di come  si possa vivere una vita in concertazione con la natura senza necessariamente isolarsi dalla società.

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