Antonio Filippelli, il produttore 2.0 che ha (ri)scoperto lo scouting

Musica

Fabrizio Basso

FILIPPELLI 1

Cerca nei giovani l'urgenza di comunicare, quella cosa che appare prima ancora della voce. In questo periodo è impegnato, tra gli altri, con i nuovi progetti di Levante e Mobrici

Se il mondo della musica ogni mese cambia, si trasforma, evolve e, talvolta, involve, la figura del produttore muta ogni settimana. Perché c'è sempre una novità, un suono che nasce, una barra che spariglia la consuetudine. Antonio Filippelli è il punto d'equilibrio tra evoluzione e conservazione. Sa essere sempre un passo avanti ma è pronto a (rac)cogliere un qualcosa che è vecchio di ieri per dare al suo lavoro un tocco unico ed esclusivo. E in tutto questo si è rimesso a fare scouting, a provare emozione per un esordiente, accoglierlo nella sua esperienza e farlo crescere.

Antonio partiamo dal ruolo del produttore nel tempo del covid.
Come produzione musicale c’è stato un incremento sia di domande che di cose da far uscire, la missione è produrre sempre, c'è più richiesta ed è cambiato l’approccio. Non hai più le sfilate in studio, al massimo c'è un collaboratore con l'artista. Non ci sono più incontro e condivisione insieme, ci sono dei turni. Con molti lavoro a distanza, ci sono nuovi sistemi che connettono i vari studi.
Il tuo lavoro ne esce impoverito o arricchito?
Entrambe le cose. Noto l'impoverimento su alcuni progetti dove servirebbero musicisti per scrivere e mi sono ritrovato a fare un po’ il polistrumentista, il one man band. Questa situazione però ha creato stimoli che prima erano un po' dormienti perché si giocava in maniera diversa. Ora avendo più tempo da trascorrere da solo in studio per la parte di produzione e scrittura ci sono tempistiche più dilatate. Ciò avviene anche per chi ha il disco in uscita: c'è lo sfasamento con i live che non si possono fare e dunque emerge il fascino di fare dischi alla vecchia, come diciamo noi in gergo.
Però esce tanta roba. Forse troppa.
C'è la tendenza a produrre singoli che escono in continuazione, solo in Italia ne vengono rilasciati tra i 50 e i 60 a settimana.
Come lo spieghi?
L'obiettivo è mettere in pancia uscite, ciò ha risultati a livello economico, ma ci vorrebbe più selezione. C'è più musica da Mc Donald e meno qualità. La discografia continua a produrre ma mira a quel mercato che poi non sbiglietta, non ha legami coi fan e punta alla streaming. Avviene in tutto il mondo non è solo una questione italiana. Sono cambiate fasi di produzione, prima c'erano il mix e il master ora c’è chi usa la session di scrittura con un brano mixato e una voce fatta bene. C'è il taglio dei costi e il lavoro è fatto tutto da una persona sola.
Questa realtà ha però permesso a tanti esordienti di affacciarsi sul mercato.
Anche tra gli esordienti andrebbe fatta una selezione perché spesso non c’è progettualità, magari va di fortuna e le vittorie arrivano su social. Tranne casi come Blanco e Madame, per citarne un paio, sono i talent che fanno la differenza.
La nuova normalità cosa ci porterà?
Torneranno le session, qualcuna io la ho fatta nei mesi scorsi ma eravamo organizzati col tampone rapido per stare tutti tranquilli. La mascherina in studio ora mi fa strano se sto senza! Certo ci sarà una nuova formula, spero siamo alla fine di questa situazione ma intanto la subiamo da quasi due anni. Troveremo altri metodi ed entreremo in un nuovo flow di lavoro. Dobbiamo essere in continuo aggiornamento perché quando hai un nuovo flow non torni indietro. Dal 2016 la musica è cambiata sia come genere che come fruizione, produzione, suoni e budget. Anche la struttura è cambiata, ora è tutto home studio. Ci sono colleghi che si adattano in un loft.
I tuoi progetti in corso?
Sto lavorando con Levante per le sue cose nuove, poi sto seguendo il progetto di Mobrici, stiamo lavorando al disco e mi piace molto. Mi sto dedicando per scelta a progetti completamente emergenti che cerco facendo scouting, poi trovo un partner discografico col quale lavorare. Mi sto entusiasmando a questo metodo, la nuova generazione ha la fame che avevo io da ragazzino col Brit e il Grunge, i giovani di oggi sono Rythm'n'Blues, Soul, Urban, New Soul in Italiano e penso a Ghemon, Coez. Generi sempre poco credibili in italiano ma ora con le nuove generazioni sono credibili. Madame mastica le parole e si da quasi più importanza al suono che al testo, si sta contaminando tutto.
Cosa ti colpisce di un giovane?
Timbrica vocale e tono della voce. La scrittura deve essere l’esigenza. Scrivere musica è una forma d’arte, è l’esigenza di raccontare qualcosa. Già capisci dalla movenza e dal respiro capisci se hanno qualcosa da trasmettere. Quando faccio i provini di X Factor prima che inizino a cantare capisco se sono nel posto giusto: quella cosa lì o ce l’hai o non ce l’hai.
Avremo un’altra estate tutta Reggaeton?
Direi di sì seppur ci sarà anche dell’altro. Il Reggaeton è come il Cinepanettone, sai che arriva. E in Italia quella è roba che c’è, che piace e dunque che deve arrivare. Funziona per la vita italiana ma non è l’estate italiana.

I DIECI BRANI CHE HANNO ISPIRATO ANTONIO FILIPPELLI


RADIOHEAD - STREET SPIRITS (FADE OUT) 

GREEN DAY  - BASKET CASE 

NIRVANA - LITHIUM 

THE NATIONAL - ABOUT TODAY 

JOJI - SLOW DANCING IN THE DARK 

LUCIO DALLA - LA SERA DEI MIRACOLI 

SEBASTIEN TELLIER - L'AMOUR ET LA VIOLENCE

BON IVER - RE:STACK 

GORILLAZ - ON MELANCHOLY HILL

070 SHAKE - NICE TO HAVEN 

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