Il cantautore, tornato con un nuovo album a sette anni di distanza dall’ultimo, si racconta in un colloquio profondo e diretto. Tra farfalle che cadono, piadine indiane, poche parole con la P, Lucio Dalla, maggioloni bianchi, maglioni fatti a mano, sogni realizzati e altri ancora appesi, sale giochi, bar di provincia, Sanremo rifiutati, musiche da film, trap, sorrisi e un filo di commozione
Sette anni. Tanto è passato dall’ultimo album di Samuele Bersani. Lo stesso tempo che tutti abbiamo impiegato ad arrivare in seconda elementare dalla nascita. Una vita intera, almeno per chi 7 anni li ha appena compiuti. O semplicemente un tempo necessario, quando dobbiamo ricostruirci.
Perché nella vita c’è un tempo per ogni cosa.
Un tempo per vivere la felicità come un’improvvisa vertigine.
Un tempo per complicare il pane.
Un tempo per esportare la piadina romagnola.
Un tempo per farsi harakiri.
Un tempo per dare l’acqua con il tubo alla tua ortica.
Un tempo per spaccare il cuore.
E un tempo per essere sensibili.
Già, perché la sensibilità non è mica una colpa. Anzi. «La colpa è di chi ti ci fa sentire, in colpa».
Nasce da qui, da una sensibilità non bagnata dalla colpa, “Cinema Samuele” l’ultimo lavoro di Bersani. Un album intenso, curato, levigato, covato e poi consegnato a un pubblico che in questi lunghi sette anni lo ha atteso. Con pazienza e speranza. «Cosa per nulla scontata. Questo disco arriva dopo un po’ di tempo e poteva essere ben ignorato… perché si cade in un dimenticatoio molto in fretta oggi».
approfondimento
Samuele Bersani torna con “Cinema Samuele”
Parte proprio da qui, da questa considerazione l’intervista a Samuele Bersani, protagonista della nuova puntata della serie Stories. Dentro troverete farfalle che cadono, piadine indiane, poche parole con la P, Lucio Dalla, maggioloni bianchi, maglioni fatti a mano, sogni realizzati e altri ancora appesi, sale giochi, bar di provincia, Sanremo rifiutati, musiche da film, trap, sorrisi e un filo di commozione.