Dotan, intervista: "Anche nei momenti peggiori c’è una via di uscita"

Musica

Marco Agustoni

Mentre ancora è impegnato a riscuotere il successo di Numb, l’artista olandese pubblica il nuovo singolo There Will Be A Way, vero e proprio inno alla speranza in un anno difficile: ecco cosa ci ha raccontato sui suoi prossimi progetti

L’album 7 Layers, del 2014, gli aveva regalato la ribalta internazionale. E la recente infilata di singoli, Numb in testa, lo ha riportato in cima alle classifiche di ascolto. Ora Dotan regala ai suoi fan un nuovo brano, There Will Be A Way, che si propone come inno di speranza in questo annus horribilis segnato dalla pandemia da coronavirus (scopri tutti gli aggiornamenti). E si sbilancia rivelando i tanti progetti in cantiere per i mesi a venire. Ecco che cosa il musicista olandese di origini israeliane ci ha raccontato nel corso di un’intervista esclusiva.

Nel mentre hai pubblicato numerosi dischi e macinato live, ma è da sei anni che non pubblichi un disco vero e proprio: ti sei appassionato ad altri formati, oppure vuoi prenderti il tuo tempo?
Suppongo che innanzitutto per un paio di anni volessi avere una vita normale. Credo che sia anche importante provare cose diverse, non volevo costringermi a finire subito un album. Questo è un periodo fantastico, in cui puoi pubblicare un brano quando vuoi e solo quando pensi che sia il momento giusto. Ma al contempo credo finalmente di essere pronto: sono pronto a finire un nuovo album e pubblicarlo. Uscirà nella prima parte dell’anno prossimo, anche se non ho ancora una data di uscita ufficiale.


Cos’è cambiato in questo arco di tempo, sia nella tua vita che nel mercato discografico?
Nel 2014 c’erano ancora molti negozi musicali, i cd erano importanti, lo streaming non era qualcosa di concreto. Tutto un altro mondo. Per quanto riguarda me, ero molto naif all’epoca, volevo scrivere un album sulla mia vita, ma più che altro come terapia, e l’ho registrato per lo più in casa. Non mi interessava il successo e in un certo senso sono stato travolto da quello che è venuto dopo. Suonavo nei salotti per qualche decina di persone e l’anno dopo mi sono ritrovato a riempire uno stadio qui in Olanda. Ho accusato il colpo. Ora però sono pronto perché succeda di nuovo.


Com’è stato passare da una modalità di produzione casalinga a lavorare con producer rinomati?
7 Layers l’ho prodotto con un mio amico e compagno di band, avevo una visione ben precisa di quello che volevo, anche se non avevo mai registrato un disco in vita mia e non avevo mai frequentato una scuola di musica. Anche adesso lavoro con le persone con cui lavoravo all’epoca, siamo molto legati e affiatati. Però volevo anche confrontarmi con qualcosa di diverso e non volevo fare tutto da solo. Volevo imparare, spingere più in là i miei limiti, vedere cos’altro ero in grado di fare.


Pensi di aver raggiunto un altro “livello” con le nuove canzoni?
Sono passato dall’essere un cantautore timido, che ha sempre suonato a capo chino e con uno strumento per le mani, al diventare un artista molto più libero, che non ha paura di “suonare in grande”. Sono convinto che la differenza si senta soprattutto sul palco. Non penso solo che le nuove produzioni siano solo più professionali, è proprio un sound diverso.

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There Will Be A Way sembra avere una forte connessione con il momento presente e le sue difficoltà: cosa volevi trasmettere con questo brano?
Speranza. Ho cominciato a scrivere questa canzone due anni fa, al termine di un periodo buio, quando finalmente intravedevo un po’ di luce. Quest’anno l’ho riascoltata durante il periodo peggiore del lockdown e ho pensato che capitasse al momento giusto. È stato un anno difficile per tutti, sembra quasi di essere in un tunnel senza uscita. Questa canzone mi ha aiutato a vedere che una via di uscita c’è, per cui volevo che anche gli altri la percepissero a questo modo, come in effetti è stato.


A questo proposito, vedi una via di uscita per la musica live?
È dura. Sono preoccupato soprattutto per le tante persone che vivono di musica e che in questo momento sono disoccupate. Ma spero vivamente che quando tutto questo sarà finito la gente si ricorderà della musica live, di quanto sia speciale come esperienza, e si renda conto come queste emozioni non si trovino da nessun’altra parte, né Youtube, né Spotify.

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