Il 9 ottobre esce il nono album della band scozzese, anticipato dai singoli A Ghost e Valentine (i cui video sono stati realizzati dallo stesso Healey): ne abbiamo parlato con il cantante e frontman mentre era in lockdown a Los Angeles
Sono passati 30 anni dai loro passi iniziali come band, 23 dal loro album d’esordio Good Feeling e 21 dal singolo che li ha fatti entrare nella storia della musica britannica, quel Why Does It Always Rain on Me? diventato un tormentone sul finire dell’estate del 1999. Eppure, nonostante il tempo trascorso, gli scozzesi Travis, e in particolare il cantante e frontman Fran Healey, sembrano conservare l’entusiasmo di una band alle prime armi. Il 9 ottobre esce il loro nono album, 10 Songs: ne abbiamo parlato quest’estate con Healey, mentre era in lockdown nella sua abitazione di Los Angeles, a causa della pandemia da coronavirus (segui gli aggiornamenti).
Travis, 10 Songs: l'intervista
Ciao Fran, com’è la situazione a L.A.?
È un periodo difficilissimo. Ma al di là dei tantissimi, ovvi risvolti negativi, penso che possano comunque essercene anche di positivi. È strano: negli ultimi anni non siamo mai stati così connessi, eppure così lontani. In questo periodo in cui non possiamo stare insieme, abbiamo riscoperto quanto sia importante la vicinanza con gli altri.
Tu come hai vissuto questo periodo di lockdown?
Ho realizzato le animazioni del video di A Ghost, ho diretto il video Valentine, ho curato l’artwork del disco in ogni particolare. E spesso mi sono dovuto ingegnare per fare queste cose per conto mio. È stato divertente fare tutto quanto, anche se è stato difficile. C’è un momento, in situazioni come queste, in cui realizzi che non puoi più fare le cose nello stesso modo. E a quel punto puoi non farle, oppure trovare un altro modo per farle. Ma la verità è che non puoi non farle, per cui le fai e basta.
Quindi l’isolamento ha influito positivamente sul tuo processo creativo?
Non sono mai stato così creativo in vita mia come durante il lockdown. Ma su altre persone che conosco questa situazione ha avuto l’effetto opposto: non riuscivano a creare niente, si sentivano paralizzate. In ogni caso non è solo quello: non so perché, ma è successo qualcosa. Le mie “placche tettoniche” emotive si stanno muovendo in questo periodo della mia vita. Sono successe tante cose, sotto tanti punti di vita.
Come è stato lavorare al video di A Ghost con tuo figlio?
È stato molto emozionante creare qualcosa insieme. Ma l’ho fatto perché è bravo in quel che fa, non solo perché è mio figlio. Lui ha quattordici anni, è della generazione delle console, per cui sa usare molto bene i controller come quello del drone con videocamera che è servito per il video. All’inizio era molto preoccupato e mi mostrava di continuo quello che faceva, ma mi sono presto reso conto che aveva un senso per le inquadrature molto migliore del mio. Per cui a un certo punto, quando per l’ennesima volta mi ha chiesto se volessi vedere quello che aveva ripreso, gli ho semplicemente risposto: “No, non serve: so che va bene”.
10 Songs non suona come “dieci canzoni messe assieme”, ma è anzi un album molto coeso, forse il più “compatto” della carriera dei Travis: a che cosa pensi che sia dovuto?
Sì, trovo anch’io che sia così, c’è un legame profondo fra i brani del disco. E sono convinto che quest’album riesca a toccare tutti quanti perché in fondo parla di emozioni condivisibili da tutti: essere innamorati, essere tristi, arrabbiati. Tutto quello che ci rende umani, insomma. Sono molto contento del risultato.
Questo modo di concepire un disco sembra invece ormai superato…
Da un certo punto di vista sono sollevato, perché non devo competere con i grandi songwriter del passato. John Lennon e così via… oggi come oggi è davvero poca la musica che mi emoziona, è tutta fatta per essere consumata in fretta. Non si fanno più le cose come una volta: mi piace dire che per questo disco una persona ha scritto dieci canzoni, mentre ormai ci vogliono dieci persone per scrivere una canzone. È tutto così artificiale. Trovo che invece la musica sia quanto di più vicino a Dio ci sia. Non credo in Dio nel senso di quel tizio con la barba lunga e tutto il resto… ma suppongo di credere in qualcosa. Credo che siamo tutti interconnessi in una sorta di brodo quantico, questo sì, e che i limiti che ci separano siano reali solo nella nostra mente. E sono convinto che la musica - il ritmo, la melodia e tutto il resto - faccia risuonare questa zuppa quantica in un modo unico.
A quasi 25 anni dal vostro esordio, cosa è cambiato nelle vostre dinamiche interne come band?
Come band non è cambiato molto, se non che adesso è tutto più naturale e immediato. Siamo una band di quattro componenti che ha sviluppato un grande affiatamento, per cui può accadere come per Valentine, in cui ho fatto sentire al resto del gruppo la demo e poi ci siamo messi a suonarla in studio. Abbiamo deciso di registrare subito e avremo fatto tre take, non di più. E alla fine quello che suonava meglio era già il primo, che praticamente è quello che si sente nel disco. Poi dopo tutto questo tempo abbiamo imparato a rispettare i nostri spazi: stiamo a stretto contatto quando siamo in tour, ma una volta che si smonta, ci si saluta e ognuno va a casa propria.
A proposito di tour, avete già pensato a quando riuscirete a portare sul palco il disco?
Si parla di aprile-luglio del 2021, come periodo, ma io ho come la sensazione che ci vorrà molto di più. È un periodo in cui cambia tutto neanche di giorno in giorno, ma di ora in ora, per cui è impossibile fare previsioni. I live ormai sono la principale fonte di sostentamento per i musicisti e tutto quello che gira intorno alla musica… penso che per questa industria quello che sta succedendo sia paragonabile al meteorite che ha causato l’estinzione dei dinosauri. Siamo già nella fase dopo l’impatto, quando la grande nube di polvere sollevata ha reso il pianeta invivibile per questi esseri.
Però una volta che si sono estinti i dinosauri, è arrivato qualcos’altro…
Sì, esatto! Anche per questo motivo in realtà non sono così preoccupato per noi. Ma in questo momento lo sono soprattutto per tutti i lavoratori che orbitano attorno alla musica, che sono tantissimi, tra tecnici, organizzatori… per queste persone la situazione è drammatica. Sono convinto che a questo punto non abbia senso pensare a quando si tornerà alla “normalità”, perché le cose non saranno più come prima.