PFM e Cristiano de André: la recensione del concerto a Verona

Musica

Fabrizio Basso

Un momento significativo della serata all'Arena, quando Cristiano De André esegue Canzone del Maggio
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Una serata di musica, parole, pensieri, ricordi, luoghi ma anche di liberazione. PFM e Cristiano De Andrè raccontano Fabrizio De André in una serata monstre all'Arena di Verona: la RECENSIONE

(@BassoFabrizio
inviato a Verona)


Verona è una città strana, di quelle che ogni volta ti stupisce, nel bene o nel male. In Piazza Bra mitighi la calura di fine luglio col contributo della Birra del Valpolicella e intanto ripassi la scaletta di un concerto unico, perché quella del 29 luglio in Arena è la sola data che mette sullo stesso palco due realtà nel nome di Faber. PFM Premiata Forneria Marconi - Cristiano De André cantano Fabrizio: un concerto che, causa anche una partenza ritardata di circa tre quarti d'ora, scivola nella notte scaligera fino oltre l'1. Ma quella lunghezza non pesa sulla stanchezza, per un viaggio così difficilmente si ripeterà. In questo lavoro gli imprevisti, le partenze improvvise sono più che una possibilità ma questo è un concerto che ho segnato in agenda da tempo. E, dico ora a serata archiviata nella memoria, che è stata una scelta giusta. Per chi, come me, De Andrè lo ha vissuto e, negli ultimi mesi, lo ha ripassato assai per certe sue verità vecchie di anni ma che odorano di futuro e che ti portano a comprendere come la fortuna possa mostrarsi con modalità tutte sue e farti aprire gli occhi. Un appunto però va fatto: tolta Via del Campo e, a suo modo, Bocca di Rosa la scaletta ha emarginato il De Andrè genovese, non solo quello della Città Vecchia ma quello di Creuza de Ma, un disco epico, il primo disco in un idioma (dialetto?) regionale che ha solcato il Mediterraneo, e anche l'Oceano. Non dico le potenti Jamin'a o Sidun ma Creuza De Ma, Sinàn Capudàn Pascià o A dumenega sarebbero state, per dirla con Alessandro Mannarino nel suo Bar della Rabbia, quello che non fa scivolare l'anello dal dito.

Sono quasi le dieci, qualche fischio denota impazienza, il caldo appiccica gli abiti alla pelle, si nota qualche signora in abito da sera, il palco all'improvviso si accende e contestualmente le luci dell'Arena si spengono con la dolcezza di un tramonto. Eccolo Cristiano De André che, dopo l'Intro, colpisce alla bocca dello stomaco con Canzone del maggio accompagnata da immagini di proteste, scontri con la polizia a ogni latitudine. E' Storia di un impiegato l'album cui attinge, che poi è quello che sta portando in tour. Si prosegue, senza che lui profferisca parola tranne per cantare, con La bomba in testa e Al ballo mascherato con immagini gattopardesche e poi da Eyes Wide Shut e un finale romantico da Zabriskie Point. Sogno numero due fa rivivere le stragi che hanno sporcato l'Italia di sangue e malaffare, da Ustica all'Italicus, da Piazza Fontana alla Stazione di Bologna e Cristiano segue tutta la prima parte in ginocchio. La canzone del padre si apre con una immagine di padre e figlio che si tengono per mano; si prosegue con Il bombarolo che iconizza con parodie dei grandi (?) del mondo e con murales di Banksy. Il finale aperto e da meditazione di Verranno a chiederti del nostro amore ci accompagna verso l'epilogo del primo atto: Nella mia ora di libertà, Quello che non ho e Fiume Sand Creek liberano Cristiano da ogni ansia e lui si apre allo stupore: "Da dieci anni mi sono salvato dal mio cognome, credevo di non farcela. Grazie agli arrangiamenti di Stefano melone ho fuso qui tutti gli stili. Voglio fare conoscere mio padre alle nuove generazioni e voglio più trasparenza e pulizia politica, non dobbiamo più farci fregare e dobbiamo dare pane alla nostra anima. Mi sento l'apostolo di una messa laica. Gesù Cristo è stato il più grande rivoluzionario di sempre. Chiedo a tutti voi di battervi un 5 di pace: vogliamoci bene e rispettiamoci". E sul palco appare il simbolo dell'anarchia.

Una pausa ed ecco la PFM con un Franz Di Cioccio che pare un folletto tarantolato. Aprono con Bocca di Rosa e ogni finestra di Verona pare unirsi a loro in un coro immenso. Poi si entra nella dolcezza de La buona novella, una delle opere più maestose di Faber, figlia di lunghe giornate alla biblioteca Sormani di Milano a leggere i vangeli apocrifi. Sparigliando un po' la scaletta originaria ecco Universo e terra (che è l'intro dell'album), poi L'Infanzia di Maria, La tentazione, Il sogno di Maria, Maria nella bottega di un falegname, Rumori di Bottega e infine la monumentale Il testamento di Tito, capolavoro assoluto. Gli strumenti della PFM sono caldi e incantano con Giugno '73 (che a Verona dove Giulietta e Romeo hanno scespirianamente mostrato al mondo quanto l'amore non dovrebbe essere una questione di famiglia ma di scelta personale ha una forza sconvolgente), La canzone di Marinella, Amico Fragile e Celebration, brano col quale la premiata chiudeva il concerto nel tour con Faber del 1979. Sul palco torna Cristiano ed entriamo nel terzo tempo, quello che è la perla preziosa della serata: PFM e Cristiano insieme all'Arena di Verona. Mezz'ora abbondante che non si dimenticherà mai. Anche per via delle scelte originali, a volte spiazzanti. Si parte con La guerra di Piero e poi arrivano, inframezzati da Andrea, che personalmente non inserisco tra le preferite, due brani che adoro e sono Rimini e Avventura a Durango. Prima di questa storia d'amore triste, solitaria y final come direbbe Osvaldo Soriano (libro da portare sotto l'ombrellone), c'è Via del Campo con tutta la sua malizia. Il violino di Cristiano e quello di Lucio Fabbri fanno increspare l'Adige con Zirichiltaggia, una storia sarda di litigi famigliari per una eredità. Il saluto è col ritmo allegro andante di Volta la carta e poi con Il pescatore, che ci accompagna verso l'auto, ai bastioni di Porta Nuova, All'ombra dell'ultima luna!

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