Peter Cincotti, intervista: "Il mio disco? Scritto in sogno"
MusicaFresco dell’album Long Way from Home, il cantautore e pianista italoamericano sta per arrivare in Italia con quattro date: il 21 giugno a Verona, il 22 a Milano, a luglio il 26 a Marina di Pietrasanta e il 28 a Reggio Calabria. Ecco l’intervista a Peter Cincotti.
di Marco Agustoni
Si preannuncia un’estate calda per i fan italiani di Peter Cincotti. Il cantautore e pianista italoamericano, che nel 2017 ha pubblicato il nuovo disco Long Way from Home, si troverà nella Penisola per ben quattro live a distanza ravvicinata uno dall’altro: giovedì 21 giugno sarà al Verona Jazz Festival, all’interno del Teatro Romano, venerdì 22 al Castello Sforzesco di Milano per l’Estate Sforzesca, poi il 26 luglio a Marina di Pietrasanta (LU) al Teatro La Versiliana e sabato 28, sempre luglio, all’Arena dello Stretto di Reggio Calabria. In attesa di sentirlo suonare dal vivo, ecco un’intervista esclusiva con Peter Cincotti.
Cos’è cambiato nel tuo approccio al pianoforte, in Long Way From Home?
Mettere il piano al centro delle canzoni ha cambiato il modo in cui lo suono. Siccome i temi musicali e i ritornelli erano basati sul piano, questo ha influenzato le parole e le melodie, che gli sono state “cucite addosso”. In aggiunta, anche mettere il piano in un contesto sonoro moderno ha influenzato il modo in cui mi sono approcciato allo strumento.
Come è stato il processo di scrittura?
Diverso dal solito, soprattutto perché stavolta ho anche fatto da produttore. Avere il mio studio ed essere in totale controllo dei suoni e degli arrangiamenti ha cambiato il modo in cui sono nate le melodie e le parole. La produzione ha influenzato la scrittura e viceversa. In più, per qualche misteriosa ragione, la maggior parte delle canzoni sono state scritte nei miei sogni, al termine dei quali mi svegliavo, scendevo al piano di sotto e le registravo. Non ho idea di come mai succedesse… forse stavo impazzendo!
Il titolo ha a che fare con i continui tour che portano un musicista lontano da casa?
Beh, è un modo di interpretarlo. Ma per me il tema dell’album è molto più profondo. Ha più a che fare con il concetto di “casa” e con quello che significa per te. L’idea di casa è diversa per ognuno, e quando ci uniamo con altre persone, perdiamo alcuni aspetti delle nostre radici, e creiamo nuove radici altrove, portandoci dietro alcune cose e lasciandone andare altre.
Come suona il disco dal vivo, è molto differente dalla versione in studio?
Sì, devo dire che il disco prende vita durante i concerti in un modo che non può essere replicato in studio. Queste canzoni hanno delle sezioni scritte nell’intento di espanderle durante i concerti. L’ho fatto perché amo suonare dal vivo e mi piace suonare brani che mi permettano di esplorare il piano. C’è un elemento di improvvisazione durante i miei live che fa sì che tutto quanto si mantenga nuovo e stimolante per me e la band, e mi auguro anche per il pubblico.
Come bilanci il mix tra diversi generi musicali che si sente spesso nei tuoi dischi?
Con il piano. È il collante tra i generi che esploro. Nei miei dischi puoi sentire tante influenze diverse, ma ho realizzato che si stanno bilanciando sempre di più man mano che passa il tempo, e tutto questo grazie al pianoforte.
Hai avuto qualche piccolo ruolo al cinema e in tv: recitare è qualcosa che ti può interessare?
Dipende tutto dal ruolo. Mi sono sempre divertito nel prendere parte a questi progetti, ma ci vorrebbe un film in grado di interessarmi a livello artistico.
Hai anche composto alcune colonne sonore: è una cosa che ti appassiona?
Sì, mi ispira molto, amo scrivere per altre persone e per progetti che non sono miei! In effetti, penso che serva anche per mantenere una prospettiva equilibrata e per trascinarti fuori dalla tua comfort zone. In questo modo finisci con l’approcciarti alla tua musica con nuovi strumenti e un “orecchio fresco”.