Hereditary: Le radici del male: la recensione del film horror con Toni Colette

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Paolo Nizza

Arriva al cinema in Italia dal 25 luglio, uno dei film horror più disturbanti e originali degli ultimi anni. Presentato con successo al Sundance Film Festival, il ritratto di un gruppo di famiglia in un inferno. Interpretato ottimamente da Toni Collette, Gabriel Byrne, Ann Dowd, Milly Shapiro e Alex Wolff, un viaggio nell'incubo che rimanda a L'Esorcista di Friedkin. Guarda il trailer e leggi la recensione

Il Sonno della ragione genera mostri. Soprattutto se ad assopirsi è la razionalità dei componenti di una famiglia colpiti da un lutto. In superficie i Graham sono gente comune, una famigliola americana come tante. All'inizio di Hereditary, assistiamo al funerale di Ellen Leigh, madre di Annie Graham e sfuggente figura matriarcale. Un personaggio la cui eredità, con l’evolversi della storia, diventa sempre più inquietante. I Graham affrontano questa perdita ciascuno a modo proprio. Quando Annie partecipa a un gruppo di supporto per coloro che hanno subito un lutto, scopriamo di più sulla vita di sua madre, sul suo retaggio e sul senso di alienazione che prova Annie all’interno della sua famiglia. “Annie ha diverse problematiche irrisolte con la madre e non riesce a lasciarsele alle spalle”, racconta il regista del film Ari Aster. “Ha degli indizi sulle intenzioni che Ellen aveva quando era viva, ma non riesce a metterli assieme. Probabilmente, c’è una parte di lei che preferisce non sapere quali fossero le vere intenzioni della madre. È qualcosa che lei sa dentro di sé, ma non riesce ad accettarlo. Perché se guardasse in faccia la verità rischierebbe di rimanere distrutta”. Sicché come una inesorabile marea, la paura, il sospetto, l'inquietudine travolgono questo nucleo familiare.

Con un'espediente geniale, nel film Annie è una costruttrice di plastici. Così attraverso delle miniature che riproducono il mondo reale, Hereditary riesce a fondere immaginario e realtà. La riduzione di oggetti, luoghi e persone a microscopici simulacri ci dimostra quanto i Graham non siano altro che statuette smarrite in una casa delle bambole governata da entità malefiche. Nel film, tutti i personaggi sono vittime di una maledizione a cui nessuno può opporsi. Questa assoluta incapacità di agire e di sfuggire al proprio destino pare uscita dalle tragedie greche. E non a caso, si citano Eracle e altri eroi del mondo classico. Tra uccelli decapitati, depressione, schizofrenia, sonnambulismo, Hereditary gioca a nascondino con lo spettatore. Gli incubi che si palesano nel film sono frutto della malattia mentale dei personaggi oppure il male esiste davvero e si manifesta attraverso decapitazioni, cadaveri fluttuanti, visioni sabbatiche?

Il regista di Hereditary dimostra di conoscere bene la lezione di alcuni horror di culto degli anni 60 e 70, come Rosemary’s Baby, A Venezia… un dicembre Rosso Shocking e The Innocents. Ma anche L'Ingmar Bergman di Sussurri e Grida soprattutto per quanto concerne il concetto di Morte sullo schermo. Quindi Ari Aster dissemina indizi ed enigmi, parcellizza spaventi, urla e sobbalzi per poi concedersi un crescendo rossiniano in salsa splatter che pare rimandare alle Streghe di Salem di Rob Zombie, ma pure a certi deliri deliziosamente kitsch firmati da Ken Russell. Certo il film, al netto di una obbligatoria sospensione dell'incredulità, funziona grazie a un cast che riesce a rendere plausibile il disagio familiare e quello personale. In special modo Toni Colette, che meritetebbe una nomination agli Oscar per questa interpretazione. E' impossibile restare indefferenti al suo personaggio di madre dissociata che nel sonno ricopre i figli di acqua ragia, ma che nel contempo cerca di scoprire se davvero il diavolo abita nella sua casa.

Tuttavia come diceva George Santayana in L'ultimo puritano. “La verità è una cosa terribile. E’ molto più oscura, più triste, più ignobile, molto più inumana e ironica di quanto la maggior parte di noi è disposta ad ammettere o perfino a sospettare.”

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