Julia Roberts a Venezia 82: dal Pretty Woman ad After the Hunt, la metamorfosi di un’icona

C’è un’immagine che ancora oggi perseguita le notti cinefile: Julia Roberts che, in Pretty Woman, ride con quella bocca spalancata, un arcobaleno di denti perfetti e libertà improvvisa. Era il 1990, Hollywood aveva appena trovato la sua regina di cuori, la Cinderella in jeans e stivali, l’America dei sogni proiettata su uno schermo. Trentacinque anni dopo, quella stessa donna attraversa il tappeto rosso della Mostra del Cinema di Venezia con lo sguardo di chi non deve più dimostrare niente a nessuno, ma può ancora sorprendere. Perché After the Hunt, il film di Luca Guadagnino presentato fuori concorso, segna una prima volta: Julia Roberts al Lido. Non è un dettaglio, è un destino che si compie. Il mito che resiste Il percorso di Julia Roberts è una mappa dell’immaginario collettivo: le commedie romantiche che hanno definito un decennio , le incursioni nei drammi familiari , le incursioni nell’action e nei thriller. Ogni volta, la stessa magia: quella presenza scenica che rendeva superfluo qualunque artificio. Per oltre un decennio, è stata l’attrice più pagata al mondo, il volto che bastava mettere su un poster per garantire un incasso miliardario. Ma anche il simbolo di un’epoca: “America’s Sweetheart”, eppure sempre pronta a scalfire quell’immagine con un’ironia corrosiva. After the Hunt, la fragilità di un’icona E così eccola qui, a Venezia, per la prima volta. Non più la ragazza che corre su Hollywood Boulevard, ma Alma Imhoff, professoressa di filosofia all’università di Yale, protagonista di un thriller psicologico che affonda le mani nelle zone grigie del potere. Guadagnino le affida un ruolo ambiguo: donna brillante ma segnata da un trauma giovanile mai risolto, con fitte allo stomaco che la tradiscono, con un matrimonio in frantumi, con il peso di accuse che travolgono la sua vita privata e professionale. Non è un’eroina, non è un modello, non è un manifesto. Julia Roberts qui è vulnerabile, imperfetta, irrisolta. Una donna vera. Segreti, bugie e una generazione in conflitto Il film non offre soluzioni, ma domande. Andrew Garfield, nei panni di un collega accusato di molestie, lancia una provocazione: “La vostra generazione ha paura di dire la cosa sbagliata. Da quando offendere qualcuno è diventato il massimo peccato capitale?” Ayo Edebiri, studentessa che denuncia, ribatte: “Forse da quando la tua generazione ha iniziato con le generalizzazioni indiscriminate sulla nostra.”. In queste parole c’è il cuore di After the Hunt: il passaggio di testimone tra generazioni, la frattura di linguaggi, il senso di colpa che si trasforma in arena pubblica. Roberts è nel mezzo, fragile mediatore di un conflitto senza via d’uscita. Dal mito alla donna Guardarla oggi è come rivedere l’ombra di Vivian Ward che sorrideva tra abiti sgargianti e ascensori d’hotel, ma incastonata in un’altra cornice: quella di una donna che ha attraversato decenni, mode, stili, e si offre ancora come superficie di proiezione collettiva. Non più Pretty Woman, non più America’s Sweetheart, non solo Erin Brockovich. Julia Roberts diventa il volto stesso del dubbio, della fragilità. È l’attrice che non ha paura di scivolare nelle zone ambigue, di spegnere la luce per restituire l’ombra. Julia Roberts al Lido, una nuova prima volta C’è sempre un momento in cui le star rinascono. Per Roberts è qui, al Lido. La diva che ha incarnato la favola americana si concede per la prima volta alla liturgia veneziana. Non è un debutto tardivo, ma un nuovo inizio. E forse non poteva che essere Luca Guadagnino a offrirle questa occasione. Un regista che ama le superfici splendenti ma scava per far emergere le crepe. Un autore che sa che il cinema, come Julia Roberts, non serve a confermare ma a destabilizzare. Il sorriso che conosce l’ombra Da Pretty Woman a After the Hunt, Julia Roberts ha attraversato l’immaginario con una forza che ha saputo piegare e reinventare. A Venezia arriva come icona che non ha più bisogno di dimostrare niente, e proprio per questo si mostra fragile, spezzata, umana. Il suo sorriso resta, ma è un sorriso che adesso conosce la vertigine del dolore, l’incrinatura della verità, il brivido del dubbio. Ed è proprio in questa metamorfosi che la diva diventa attrice Se Julia Roberts fosse un cocktail Se Julia Roberts fosse un cocktail, sarebbe un French 75: elegante come lo champagne che lo avvolge, ma con un lampo di gin che ribalta l’equilibrio. Lo zucchero e il limone sono il sorriso sfrontato di Pretty Woman, la leggerezza che ha incantato il mondo; il gin è l’energia ribelle di Erin Brockovich; lo champagne è la sua aura di diva, che illumina ogni tappeto rosso; ma la bollicina che svanisce in un istante è la fragilità che oggi rivela in After the Hunt. Un cocktail che brilla e punge, che consola e disorienta: come Julia Roberts, capace di restare mito trasformandosi in donna.

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Julia Roberts a Venezia 82: dal Pretty Woman ad After the Hunt, la metamorfosi di un’icona

Paolo Nizza