Perché dopo 50 anni il Rocky Horror Picture Show è ancora un film da vedere e rivedere

Ci sono compleanni che non segnano il tempo: lo piegano. Non li misuri in anni, ma in battiti, in applausi, in ritornelli che ti restano addosso. Li attraversi come un corridoio di specchi: entri convinto di sapere chi sei, esci senza più la certezza di essere tornato indietro o di essere andato troppo avanti. The Rocky Horror Picture Show, presentato a Londra il 14 agosto 1975, è uno di quei compleanni eterni. Cinquant’anni e la stessa feroce insolenza negli occhi. Un film che non si limita a resistere al tempo: lo seduce, lo traveste, lo trascina a ballare in mutandine di lamé, calze a rete, ghette, tacchi altissimi e trucco glitter, tra il salvagente del Titanic, l’antenna della R.K.O., la Creazione di Adamo sul fondo di una piscina, il David, la Madre di Whistler, American Gothic e, in ultimo, una Gioconda che ammicca come un’ospite complice. Le labbra rosse che aprono il sipario Le labbra di Patricia Quinn sono ancora lì, a riempire lo schermo come un’insegna al neon accesa di colpo. La voce di Richard O’Brien le abita, le accende, trasformando i titoli di testa in un manifesto da strada, un tazebao di libertà possibile. Dentro, Science Fiction/Double Feature elenca sogni e incubi di un secolo di cinema fantastico: Ultimatum alla Terra , Flash Gordon , L’uomo invisibile , King Kong , La terra contro i dischi volanti , Doctor X , Il pianeta proibito , Tarantola , Il giorno dei trifidi , La notte del demonio , Radiazioni BX: distruzione uomo . È un atto d’amore e insieme un avvertimento: la trasgressione pulsa ancora, come il rullare di tamburi prima del primo salto a sinistra. Dal flop alla liturgia di mezzanotte All’uscita, la critica lo respinse. Poi, nel 1976, al Waverly Theater di New York, avvenne la mutazione: Rocky Horror iniziò a vivere di notte, proiettato ogni settimana a mezzanotte, come un rito segreto. Il pubblico imparò a memoria battute e canzoni, inventò risposte, lanciò riso, toast, spruzzi d’acqua. Il Time Warp divenne un catechismo laico: È solo un salto a sinistra… e poi un passo a destra. Con le mani sui fianchi… stringete le ginocchia. Ma è la spinta pelvica… che ti fa proprio impazzire. E quando il mad doctor in reggicalze appare, la mente corre a Violet Venable, l’inarrivabile Katharine Hepburn, con l’ascensore bizantino in Improvvisamente l’estate scorsa. Anche in Rocky Horror, un segreto macabro si cela dietro il decoro: qui è uno scheletro custodito in un orologio a forma di bara. Non era una finzione: lo scheletro era vero. Venduto all’asta nel 2002 per 35 mila dollari, è il simbolo di un film fatto di ossa e carne vive, di memorie che non smettono di danzare. L’anarchia come diritto Rocky Horror è anarchia pura: il diritto di cantare Touch-a, Touch-a, Touch-a, Touch Me senza filtri, di cambiare idea, ruolo, pelle. È la libertà di perdersi e ritrovarsi in una platea vestita da sé stessa o da qualcun altro. Sempre in un'ottica consensuale, ma senza sovrastutture, stereotipi, ipocrisie, meschinità. E in mezzo a tutto questo c’è Eddie — un perfetto Meat Loaf — che in Hot Patootie – Bless My Soul urla la sua ossessione per il rock’n’roll. Un’apparizione breve ma incendiaria, che ricorda come il film benedica il caos, la ribellione e la gioia primordiale di una chitarra che graffia. Le icone sullo schermo: American Gothic e oltre Tra le tante citazioni visive, American Gothic di Grant Wood spicca per la sua doppia apparizione: all’uscita dalla chiesa, con Magenta e Riff Raff nei panni del contadino e della figlia, e in una parete del castello. Dipinto nel 1930, è un’icona dell’arte americana, simbolo di radici rurali e satira sociale. Nel film, diventa materia di parodia e liberazione, rompendo ruoli tradizionali e giocando con l’immaginario puritano. Il mito del Cinema Mexico Il musical di Richard O’Brien è l’unico ad avere una sala cinematografica a lui intestata: il Cinema Mexico di via Savona a Milano. Fondato nel 1914, diretto per decenni da Antonio Sancassani, dal 1979 fu “la casa” italiana di Rocky Horror, con proiezioni ininterrotte ogni venerdì notte. Richard O’Brien autografò persino la facciata del cinema, trasformandolo in un tempio laico della libertà in calze a rete. Chiuso nel 2016, resta nella memoria come il luogo dove il tempo si piegava e la realtà si travestiva, esattamente come accade ancora oggi ogni volta che il film ricomincia. Un finale che non chiude “E strisciando sulla superficie del pianeta, insetti chiamati ‘razza umana’, persi nel tempo, nello spazio e nel significato.” Le parole del criminologo non hanno perso potenza. Ma ora, insieme a loro, resta anche la lezione di Frank-N-Furter: essere scienziato bisessuale, travestito, alieno, creatore dell’amante perfetto. Perché The Rocky Horror Picture Show non finisce mai: si reinventa, ti reinventa. E soprattutto: Don’t dream it, be it.

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Perché dopo 50 anni il Rocky Horror Picture Show è ancora un film da vedere e rivedere

Paolo Nizza