La grande lezione del cinema giapponese

In questi giorni, al cinema con Academy Two, c’è “Tofu in Japan”, il nuovo film di Mitsuhiro Mihara. Quella che racconta è una storia solo apparentemente già vista: un padre e sua figlia gestiscono un negozio di tofu; lui ha qualche problema di salute e vuole che la figlia sia sistemata e felice, soprattutto dopo il suo divorzio. La trama si apre e si chiude più o meno nello stesso modo: mentre i due sono al lavoro, seduti l’uno accanto all’altra, e possono parlare in totale tranquillità. Si ribaltano, però, i piani e le prospettive. E in questo senso, la ciclicità della narrazione diventa quasi una spinta per il rinnovamento. Mihara è attento a ricreare con cura le dinamiche familiari e quelle che uniscono il protagonista al suo gruppo di amici. Costruisce un film fatto di piccole cose, di dettagli, di sfumature. Come molti altri registi giapponesi, si impegna per restituire un sentimento di quotidianità al proprio pubblico: non vuole intervenire sulla realtà; non vuole schiacciarla a tutti i costi sotto premesse o aspettative altissime. Parte dal piccolo, dal microscopico, e poi si sposta sul resto: le speranza di un padre, la fiducia di una figlia; il Giappone pronto a cedere sui propri principi e sulla propria tradizione solo per cavalcare la moda crescente per la sua cultura e i suoi prodotti; i pregiudizi che continuano a perseguitare chi è nato vicino alle due città colpite dalla bomba atomica; l’importanza, sopra ogni cosa, del provare a fare il proprio lavoro nel migliore dei modi, rispettando sé stessi e – di conseguenza – gli altri. E poi c’è l’essenzialità del contatto umano. Il cinema giapponese ha questa incredibile capacità di farsi fotografia del presente: cattura, ritrae e coglie perfettamente una certa idea di intimità e di ricchezza personale. “Tofu in Japan” è solo l’ultimo di una serie di titoli che sono usciti quest’anno al cinema – o anche in streaming – e che hanno saputo raccontare e mettere in scena storie cariche di umanità. All’inizio del 2024, Lucky Red ha distribuito “Il ragazzo e l’airone”, l’ultimo film di Hayao Miyazaki, che è una riflessione per immagini sul percorso e sulla creatività del regista giapponese. . Pochi giorni dopo, sempre Lucky Red ha distribuito “Perfect Days” di Wim Wenders, un film così ricco e così profondamente connesso alla dimensione del suo protagonista da riuscire a risuonare con chiunque. È vero: “Perfect Days” non è diretto da un regista giapponese; eppure è indubbia la sua capacità di calarsi nel contesto e di farsi portatore di una particolare filosofia. Quest’agosto, Bim ha distribuito “L’innocenza” di Hirokazu Kore-eda. E anche se i temi e le situazioni cambiano, resta la stessa, straordinaria attenzione per i dettagli e per le piccole cose. Ovviamente, questi film che abbiamo citato sono molto diversi tra di loro. Condividono ambientazioni e una parte degli spunti, e soprattutto condividono una visione più ampia di messa in scena. “Tofu in Japan”, per esempio, dà la possibilità ai suoi attori di esagerare, di caricare le espressioni e la voce, proprio per suggerire al pubblico emozioni più o meno precise – in questo, è molto più vicino al teatro tradizionale. Al contrario, “L’innocenza” e “Perfect Days” sono più lineari e immediati. La regia cattura le reazioni, più che le azioni, dei protagonisti. E non ci sono picchi emotivi eccessivi o, per l’andamento del racconto, disturbanti. C’è una delicatezza accogliente, che permette di tenere insieme momenti e situazioni totalmente differenti, quasi opposti tra di loro. Lo stesso succede anche in “Tofu in Japan”: alla premessa iniziale, vengono aggiunti altri elementi e pezzi di trama; la storia di un padre e di sua figlia si trasforma, diventa un modo per riflettere più a fondo sul significato di famiglia e di senso di appartenenza. Spesso, in modo abbastanza superficiale, il cinema giapponese viene etichettato come un cinema per pochi, di nicchia, troppo ricercato e chiuso nei suoi dettami e nelle sue regole per poter parlare a un pubblico internazionale – o, almeno, di non giapponesi. In realtà, soprattutto negli ultimi anni, il cinema giapponese è stato in grado di dimostrare la sua ricchezza e la sua universalità e di avvicinare sensibilità diverse. La verticalità non è un confine insormontabile; è una potenziale risorsa. Tutto dipenda dal modo in cui decidiamo di considerarla.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

La grande lezione del cinema giapponese