Familia in uscita al cinema, l'intervista al regista Francesco Costabile. VIDEO

Cinema
Denise Negri

Denise Negri

Un film tratto da una storia vera raccontata in prima persona in un libro scritto dal protagonista. La storia di una violenza domestica durata anni e di cui i figli sono stati spettatori per troppo tempo. Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia arriva in sala "Familia"

Francesco Gheghi, con questo ruolo, ha vinto il premio per la migliore interpretazione maschile nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia ma è stato anche tutto il cast, e non solo, a gioirne.

Arriva in sala la pellicola di Francesco Costabile “Familia. Una storia vera, scritta in carcere dal ragazzo che in prima persona insieme al fratello e alla madre, ha vissuto questa storia di violenza familiare, sopraffazione e paura.

Francesco Di Leva e Barbara Ronchi, nel film, sono marito e moglie e danno vita a quello che la cronaca, troppo spesso ci riporta, e cioè che il male e il terrore arrivano dentro le mura domestiche.

Una pellicola che racconta la difficoltà di riuscire a denunciare, la paura di perdere i propri figli facendolo, l'angoscia di ritrovarsi soli e senza protezione.

Ecco le parole del regista e del cast

 

FRANCESCO COSTABILE

 

“La luce in questo film è portata dalla fidanzata di Gigi, che si chiama Giulia (Tecla Insolia) ed è lei che in qualche modo insegna ad amare a un bambino ferito, a un ragazzo rabbioso che non ha mai conosciuto l’amore.

Giulia nel finale dirà una semplice battuta che però racchiude una profonda verità, ossia che “non sarà sempre così” che a sua volta è il titolo del libro da cui è tratto il film. Questa frase racchiude una promessa di cambiamento e io ho voluto chiudere il film con una speranza, con una luce anche perché Gigi Celeste oggi è un uomo libero, ha scontato la sua pena, ha studiato in carcere, ha un bellissimo lavoro ed è rinato e dopo la tragedia e l’oscurità ha trovato la sua luce”.

 

“Spesso nell’apprendere le notizie tragiche legate alle varie morti per violenza di genere o domestiche, mi chiedo che storie ci siano dietro questi numeri, dietro questi nomi, sia per le vittime che per i carnefici. C’è anche una grande tradizione letteraria che scava in queste tragedie familiari, da Dostoevskij a Shakespeare.

Questo libro e poi questo film mi hanno quindi dato la possibilità di entrare meglio dentro questo buio: il cinema con le sue due ore di tempo ci permette di abbandonarci in una dimensione altra che in questo caso è un viaggio nell’oscurità e nella violenza”.

 

“La cosa più difficile è conoscere sé stessi, avere una consapevolezza di quello che si è e anche autodeterminarsi come persona: questo ovviamente vale per tutti. Dovremmo capire quali sono i nostri sogni e quale la nostra strada e far si che ogni tipo di relazione tossica venga allontanata per il nostro bene.

Purtroppo, nelle relazioni familiari e nelle storie d’amore, i legami e le gabbie psicologiche sono tante e quindi queste donne purtroppo hanno ancora paura di denunciare.

Le istituzioni e lo Stato devono porsi queste domande perché spesso le donne hanno paura di denunciare perché hanno paura anche della “violenza” istituzionale, di sentirsi abbandonate o addirittura di perdere la custodia dei figli”

 

BARBARA RONCHI

 

“A me ha molto colpito come tutti definissero Licia (la donna che interpreto) come la vittima della storia mentre invece lei stessa si sentisse profondamente l’artefice della storia di questa famiglia e che quindi si sentisse in colpa.

Lei viveva tra l’altro in un contesto completamente isolato, non aveva genitori, non aveva amici perché Franco (il marito violento) l’aveva isolata da tutti e tutto, anche dal lavoro l’aveva allontanata. Insomma, non aveva nessuno che potesse dirle “non è colpa tua”. Lei ha avuto la lucidità di toglierlo dallo stato di famiglia, ma poi ogni volta che rientrava in casa e vedeva negli occhi dei figli la speranza della possibilità che quella famiglia potesse ricominciare, allora lei si faceva scudo delle violenze, non pensando che poi esiste una violenza assistita che è quella di chi guarda e di chi sente. È chiaro che si deve denunciare ma nella denuncia le istituzioni non devono lasciare queste donne sole e soprattutto nessuno dovrebbe permettersi di giudicare.”

 

FRANCESCO GHEGHI

 

“Il mio personaggio ha fatto quel sacrificio per poter salvare la mamma, il fratello e sé stesso. Del resto lui è cresciuto così, è cresciuto in quell’ambiente di violenza e gli è stato tolto il privilegio di essere un bambino e queste cicatrici che ti porti per tutta la vita sono tutti quei respiri smorzati, affannati che non ti permettono di prendere l’ossigeno di cui hai davvero bisogno.

Secondo me Luigi aveva raggiunto un punto di non ritorno, un momento in cui aveva davvero bisogno di respirare e doveva far respirare anche la sua famiglia.”

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