Maria, la recensione del film sulla Callas con Angelina Jolie. In concorso a Venezia 2024

Cinema
Paolo Nizza

Paolo Nizza

Tra vita e carriera, tra amici e ricordi, Pablo Larraín firma un biopic sugli ultimi giorni di una delle più grandi cantanti liriche del mondo, scomparsa a Parigi il 16 settembre del 1977 all’età di 53 anni. Un’opera che reimmagina l’esistenza della tormentata artista attraverso il canto, la tragedia, l’amore. Nel cast anche Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher

Maria o La Callas? La ragazza di Atene, battezzata con il nome di Anna Maria Cecilia Sofia Kalogeropoulou, o la star di fama mondiale soprannominata “Divina” o “Usignolo”? Il regista, sceneggiatore e produttore cinematografico cileno Pablo Larraín sceglie di raccontarle entrambe e le porta alla Mostra del Cinema di Venezia (SEGUI LA DIRETTA). Perché Maria non può esistere senza Callas e viceversa. Insomma, non c’è una verità assoluta, quando si porta sul grande schermo un io diviso. Così dopo Jackie con Natalie Portman, incentrato sulla vedova Kennedy, Spencer con Kristen Stewart, favola horror su Lady D, il cineasta, autore l’anno scorso del sottovalutato El Conte, porta in concorso alla Mostra del cinema di Venezia, il ritratto di un’altra icona inquieta e fascinosa. Personaggi che hanno influenzato la seconda metà del ventesimo secolo. Donne che hanno lottato cambiato la percezione della figura femminile nella società. E in Maria, si percepisce, a ogni inquadratura, la passione di Larraín per la lirica, visto che è cresciuto frequentando il teatro dell'Opera di Santiago con la sua famiglia per diversi anni. Si sa, il passato di un artista alberga sempre nel suo presente e persino nel suo futuro

Tra verità e finzione, tra vita e morte

Il film Maria inizia dalla fine. Un totale ci mostra l’appartamento parigino al 36 di Avenue George Mandel. E il 16 settembre 1977. La più grande cantante lirica del mondo è deceduta. Le immagini sono accompagnate da un silenzio assordante. La più grande cantante lirica al mondo è deceduta, all’età di 53 per un arresto cardiaco. E in quella stanza dai soffitti alti come guglie, impreziosita da un lussuoso lampadario degno di un politeama, paiono riecheggiare le parole di Pier Paolo Pasolini: “finché io non sarò morto nessuno potrà garantire di conoscermi veramente, cioè di poter dare un senso alla mia azione, che dunque, in quanto momento linguistico, è mal decifrabili (…) solo grazie alla morte, la nostra vita ci serve ad esprimerci”. Con stilosa maestria, le immagini sfumano in sequenze di repertorio rigirate per l’occasione con Angeline Jolie al posto della Callas, tra un elegante bianco e nero e una pellicola sgranata molto anni Settanta. Lo sapeva già Lucio Dalla; “Potenza della lirica/dove ogni dramma è un falso/che con un po' di trucco e con la mimica/puoi diventare un altro”. E finalmente arriva la musica. Casta Diva rimette in ordine il caos. D’altronde l’aria è tratta dalla Norma. di Bellini

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La giusta distanza

Per raccontare l’eccellenza, il mito, la diva, la prima donna,  è sempre d’uopo scegliere la giusta distanza. Altrimenti la stella ti abbacina e infine ti acceca. L’astro scioglie le tue ali, parimenti a come accadde a Icaro con il sole, e precipiti nella palude del biopic agiografico e financo superfluo. Risulta quindi brillante, la scelta di dare spazio nel film a Ferruccio Mezzadri (storico maggiordomo della Callas, interpretato da Pierfrancesco Favino) e a Bruna Lupoli (la cameriera dell’artista che ha il volto di Alba Rohrwacher). Uno sguardo domestico e affettuoso consente alla pellicola di mostrarci la fragilità e la quotidianità degli ultimi giorni della diva, senza espedienti ricattatori o corriva pornografia dei sentimenti. La scena in cui la Callas canta e chiede un parere alla colf impegnata a cuocere una omelette, vale più di tanti esangui reportage sulla mitica cantante lirica

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La musica nasce dal dolore

La musica nasce dalla sofferenza, dal disagio. Lo conferma dolente Angelina Jolie (notevole davvero la sua performance, al netto del lavoro sull’accento, la postura, il movimento e le lezioni canto durate 6 mesi). Ma il regista , ha un ulteriore colpo di genio. Trasfigurare il Mandrax, ovvero  il metaqualone, farmaco con azione sedativa-ipnotica, simile agli effetti di un barbiturico, di cui la cantate abusa (almeno secondo il film) in un personaggio di fantasia impegnato a realizzare un'intervista video alla diva. Dalle affinità con il presidente Kennedy (“noi possiamo andare ovunque, ma non possiamo scappare” alla storia d’amore con Aristoteles Onassis, passando per il figlio mai avuto, , il ritiro dalle scene, gli infiniti bicchieri di Fernet, il rifiuto del cibo, la realtà sfuma nella finzione. La pellicola riesce a raccontare la tragedia di una regina che perde il proprio regno, di una dea che smarrisce la propria deità,  di una sublime soprano costretta a  vedere decrescere il proprio unico irripetibile talento. Come può vivere senza la voce di un tempo, chi è felice solo su un palcoscenico. E tra “Vissi d’arte”, “Una furtiva lacrima” e la follia di Anna Bolena, il film ci lascia con le immagini della vera Callas. Perché, l’arte, quando è vera anche nella finzione, non muore mai.

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