Corto Dorico Film Fest 2022, intervista al direttore artistico del Festival Daniele Ciprì

Cinema

Paolo Nizza

Inizia oggi la XIX edizione di Corto Dorico Film Fest, il festival cinematografico di Ancona, uno dei più autorevoli e popolari d’Italia per quanto concerne i cortometraggi. Per l'occasione abbiamo incontrato Daniele Ciprì, dal 2015 direttore artistico della kermesse, nonché regista e pluripremiato direttore della fotografia 

Iscriviti alla nostra newsletter per restare aggiornato sulle notizie di spettacolo

 

Al via da oggi 3 dicembre, la XIX edizione di Corto Dorico Film Fest, quest’anno dedicata al tema della “Lanterna Magica”. La kermesse terminerà l’11. In giuria ci sono il regista Claudio Cupellini, l’attrice Donatella Finocchiaro, il direttore della fotografia Michele D’attanasio. Tra gli ospiti Dario Argento, Simone Massi, Ficarra & Picone, Giacomo Ferrara, Ciro D’Emilio, Omar Rashid e moltissimi altri. Sessanta appuntamenti tra proiezioni di corti, documentari e lungometraggi, incontri, masterclass, workshop per ragazzi, musica dal vivo. Oltre 600 opere arrivate da 65 Paesi del mondo per partecipare al concorso Nazionale e Internazionale “Short on rights /A Corto di diritti” (in collaborazione con Amnesty International Italia). Per l’occasione abbiamo intervistato Daniele Cipri, co-direttore della kermesse insieme a Luca Caprara, e talentuosissimo nonché pluripremiato direttore della fotografia di film come Tano da morire, VincereIl primo re, Salvo, La paranza dei bambini, Il cattivo poeta e la serie tv Incastrati. Ciprì insieme a Franco Maresco ha creato la mitica Cinico TV, in onda su Rai 3, e firmato Lo zio di Brooklyn (1995), Totò che visse due volte (1998), Enzo, domani a Palermo! (1999), Il ritorno di Cagliostro (2003), Come mettemmo nei guai il cinema italiano - La vera storia di Franco e Ciccio (2004). Ha esordito da solo come regista nel 2012 con È stato il figlio (Premio Osella per il migliore contributo tecnico alla Mostra di Venezia e Globo d’oro per la regia), seguito da La Buca.

Come sei diventato direttore artistico di Corto Dorico Film Fest?

Per caso. Stavo tenendo ad Ancona delle Masterclass e lavorando con il museo Tattile , quando nel 2015 mi hanno proposto questa collaborazione con il Festival. Ho accettato. La scusa (lo dice ridendo  n.d.r.) era che Ancona fu fondata dai siracusani e io all’epoca vivevo a Siracusa nel quartiere dell’Ortigia. A parte gli scherzi, per uno come me che è sempre sui set, in giro per lavoro, è importante avere un momento di riflessione, che è quello che ti offre il ruolo di direttore artistico in un Festival. E poi mi piace l’idea che il Corto Dorico si svolga fra dicembre e gennaio tra una fine e un inizio. E poi parliamo di una kermesse  che ha una storia importante.

Quali sono le peculiarità di questa edizione?

Come sempre puntiamo molto sugli ospiti, sulla giuria e su quei temi che ci danno la possibilità di confrontarci con giovani. Quest’anno siamo partiti dalla Lanterna Magica, quella scatola da cui tutto ha avuto inizio, per riflettere su come è cambiato il cinema dopo la pandemia e su quale sarà il futuro delle sale, vista anche la diffusione sempre più crescente dei lungometraggi delle piattaforme.

Il Covid e la guerra sono argomenti presente nei cortometraggi che hai visionato in questo ultimo periodo?

A questo proposito ho presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia La fornace, un corto che verrà proiettato anche all’interno del Corto Dorico, come evento speciale. Si tratta di un lavoro che ho diretto coinvolgendo gli  studenti della Scuola palermitana di Cinema “Piano Focale”. Nell’opera affrontiamo la realtà che ci circonda, dal Covid alla guerra, ma utilizziamo un linguaggio antico. Uccidiamo i pupi siciliani, li mettiamo nel forno. Insomma, si parla di contemporaneità, ma non in modo banale mostrando personaggi che indossano mascherine o che comunicano solo attraverso il telefono. Per raccontare i problemi attuali bisogna utilizzare il surrealismo, la fantapolitica, la “fantacoscienza” della scuola kubrickiana, e magari avvalersi, in certi casi, degli gli stilemi del cinema muto.

Hai un consiglio da dare agli aspiranti registi? Qual è l’errore da non fare mai quando si decide di girare un corto?

Spesso manca una visione personale e originale, non si percepisce l’esigenza da parte dell’autore di raccontare quella determinata storia. Bisognerebbe seguire l’esempio dei cortometraggi girati all’inizio delle loro carriere, da registi come Polanski, Scorsese, Spielberg, Invece, i ragazzi, spesso si concentrano sulla tecnica, come se volessero dimostrare di essere capaci di girare un film e non raccontano nulla di loro stessi. Sento poca voglia di sperimentare. Insieme a Maresco ai tempi di Blob, con Cinico Tv cercavamo strade e linguaggi nuovi. Nei corti di oggi, invece, è tutto molto calcolato. Ci sono tanti cliché, spesso derivati dal mondo della serialità televisiva.

Forse la colpa è della tecnologia. Con il digitale è molto più facile girare un corto o un film.
Secondo te dove è il cortocirucito?
Non si dedica il giusto tempo alla riflessione. Penso al cinema di autori del calibro di Truffaut e Godard. Oggi si fanno film fatti bene, ma questo non basta. La libertà che ti dà la tecnologia la devi sapere utilizzare bene. E come per la fotografia. Nel 1979, il grande Ferdinando Scianna disse una frase bellissima : “La fotografia è finita. Ora esiste lo scatto".

I tuoi prossimi progetti?

Torno, a distanza di sei anni da La buca, a dirigere un film come regista. Lo girerò in Sicilia, e si tratterà di una storia incentrata sulla famiglia, in un luogo e in un tempo non specificati.

approfondimento

Giornate degli Autori, la Siae premia Amelio e Ciprì

Spettacolo: Per te