L’attesa nuova opera dell’acclamato regista messicano è una storia dal sapore autobiografico che, in all’incirca due ore e mezza, prova a raccontare il ritorno a casa di un uomo dalle mille contraddizioni. Il film sarà disponibile dal 16 dicembre su Netflix
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È uscito il trailer italiano di Bardo, la cronaca falsa di alcune verità. La versione del film che vedremo sui nostri schermi non sarà la stessa che venne proiettata in anteprima all’ultimo Festival del cinema di Venezia. La pellicola scelta dal Messico per concorrere agli Oscar come miglior film straniero è stata accorciata di quasi una mezz’oretta dopo la proiezione veneziana, arrivando alla fine a coprire un minutaggio totale di “sole” due ore e 32 minuti, titoli di coda esclusi. Le variazioni non si esauriscono tuttavia con una differente durata. I cambiamenti dell’ultimo minuto hanno investito anche il montaggio e l’ordine delle scene, indice di quanto il regista Alejandro González Iñárritu sia attento alla buona riuscita di un progetto cui ha promesso di dedicarsi “finché non uscirà, per ottenere il miglior film possibile”. Perché l’autore di Birdman tiene tanto alla sua ultima opera? Probabilmente perché si tratta di uno dei suoi lavori più personali di sempre.
cronaca falsa di alcune verità sul regista
Nel trailer italiano appena uscito si comprende subito quando Iñárritu abbia messo di sé in questo film, anche se all’interno dell’ultima anticipazione non si ascoltano dialoghi ma solo I Am The Walrus dei Beatles. La canzone dei Fab Four si apre con gli enigmatici versi: “Io sono lui così come tu sei lui e come tu sei me e noi lo siamo tutti insieme”, e sembra il sottofondo perfetto per raccontare un film dalla spiccata componente autobiografica, dove si raccontano i turbamenti di una persona che si trova a fare i conti con il suo passato. Bardo fa tornare l’autore di The Revenant a girare un lungometraggio nel suo Paese, a più di un ventennio da quel capolavoro che è Amores Perros del 2000. Il cortocircuito tra le contraddizioni del protagonista del film Silverio e quelle di chi sta dietro la macchina da presa appare subito chiaro in questo film, dove ricordi del passato e sensi di colpa non lasciano la libertà di godersi il successo. Non sappiamo se anche Iñárritu condivida la stessa sindrome dell’impostore del suo alter-ego, un giornalista di successo che torna dopo anni in Messico per ricevere un premio che pensa di non meritare, ma di certo la pellicola suggerisce di far sfumare i confini tra realtà e finzione filmica più di una volta. La sensazione è che anche il cineasta messicano si senta arrivato al momento giusto per compiere un’operazione già tentata con successo da altri grandi nomi della storia del cinema.
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Il cittadino illustre Alejandro González Iñárritu
Bardo condivide lo spunto di partenza con un altro film latinoamericano in grado di meritare l’attenzione internazionale, Il cittadino illustre del 2017. A differenza della pellicola argentina però, l’opera di Alejandro González Iñárritu sembra meno interessata all’esterno, concentrandosi maggiormente su dubbi e idiosincrasie del protagonista. Per questo, sin dall’inizio, il film è stato associato alla riflessione autobiografica insita nel felliniano Otto e mezzo e nei suoi “figli” più o meno legittimi.
L’opera del regista riminese ha infatti già rappresentato la pietra di paragone per altri illustri colleghi dell’autore messicano, tutti impegnatisi a un certo punto a riannodare i fili con se stessi. Paolo Sorrentino in La mano di Dio si è cimentato recentemente in un’operazione di questo tipo, non troppo diversamente da quanto fatto da Alfonso Cuarón (un connazionale di Iñárritu) nel suo acclamato Roma del 2018.
Non appare un caso che tutte e tre queste “sedute di auto-analisi” filmiche abbiano trovato la loro casa nel catalogo di Netflix, servizio di streaming che ha il merito (e talvolta la colpa) di dare spazio e autonomia più o meno illimitata alle visioni dei più importanti cineasti. Bardo arriverà sulla piattaforma il 16 dicembre, dopo un rapido passaggio nei cinema di alcuni selezionati Paesi. Sicuramente farà discutere ma, forse, a Iñárritu interessa più ascoltare le riflessioni che quest’opera ha fatto nascere in se stesso.