Ultima notte a Soho, incubo vintage firmato Edgar Wright. La recensione del film

Cinema sky cinema

Alessio Accardo

ll regista di culto Edgar Wright (Baby Driver - Il genio della fuga) dirige Anya Taylor-Joy (La regina degli scacchi) e Thomasin McKenzie (Jojo Rabbit) in un thriller psicologico, presentato al Festival di Venezia 2021. L' appuntamento è su Sky Cinema Due, giovedì 7 luglio alle  21.15. Disponibile anche on demand

Ultima notte a Soho è un film mutante, inizia come un romanzo di formazione, poi si trasforma in un horror allucinogeno dagli echi lynchiani, quindi si tramuta in un paradossale thriller poliziesco diacronico, poi torna a essere un monster-movie tipo La notte dei morti viventi, e infine diventa un mistery hitchockiano. Leggendo questo sommario, verrebbe da dire: anche meno! Ovvero: troppa carne al fuoco e non tutta ben cotta. E invece no, perché alla regia c’è un certo Edgar Wright, uno dei registi più dotati in circolazione, che qualche anno fa ci aveva già fatto spellare le mani girando Baby driver - Il genio della fuga.

“Londra è uno dei principali personaggi del film – ha dichiarato il regista britannico - ed è una delle ragioni per cui ho fatto il film, perché io ho vissuto lì per 25 anni, nel quartiere di Soho che era il centro pulsante dell’industria televisiva e dello showbusiness, ma è anche un posto molto ideale dove ambientarci storie in cui si materializzano i fantasmi del passato.”

Il film racconta la storia di Ellie (Thomasin McKenzie), una giovanissima ragazza che vive in un paesino della Cornovaglia assieme a sua nonna Peggie. Orfana della madre, morta sucida, Ellie vive per il sogno di diventare una stilista e di trasferirsi a Londra. Quando il sogno si realizza, la sua storia si intreccerà, magicamente, con quella di Sandie, una cantante di nightclub vissuta negli anni d’oro della Swinging London. Ma ben presto quei sogni diverranno degli incubi, concretissimi. 

I due personaggi principali sono interpretati da due giovani attrici in stato di grazia, che reggono sulle loro spalle tutto il film, dimostrando un ventaglio di talenti non indifferenti. La neozelandese Thomasin McKenzie, scoperta in Jojo Rabbit e riapprezzata ne Il potere del cane, è già una piccola star. Lo si capisce immediatamente, sin dai titoli di testa dove improvvisa una danza irresistibile sulle note di A world without love di Peter & Gordon. In una stanzetta piena zeppa di locandine vintage, tra le quali si riconosce Colazione da Tiffany con Audrey Hepburn. Una personalità forte e una contagiosa joie de vivre, che è del personaggio ma che promana in modo credibile direttamente dall’attrice: basti aggiungere che per recitare in questo film, Thomasin ha rifiutato un ruolo in Top Gun: Maverick, il blockbuster dell’anno.

Sandie è Anya Taylor-Joy, che ha scritto nel proprio corredo genetico tutto il fascino esotico della propria bellezza. È nata in Florida ma è cresciuta a Buenos Aires (infatti parla in inglese ma pensa in spagnolo); suo padre è argentino ma di origini scozzesi, sua madre è nata in Zambia ma è mezza inglese e mezza spagnola. Dopo un’esperienza come modella, Anya ha raggiunto la fama mondiale come interprete della serie La regna degli scacchi, di un paio di film di Night M. Shyamalan e della trasposizione sul grande schermo di Emma di Jane Austen. Come si vede anche qui, oltre a recitare sa anche ballare e cantare. Benissimo.
 

Sì, perché, come ci ha già dimostrato nelle sue precedenti pellicole, Edgar Wright scrive le sue sceneggiature con la colonna sonora, che ha nel suo cinema un valore tematico oltre che diegetico. Qui opta per il brit-pop degli anni ’60, in particolare lo swing, includendo nello score del film brani non scontatissimi come Don’t Throw your love away dei The Searchers o Always something there to remind me (There’s) di Sandie Shaw. Oppure – per l’appunto - You’re my world di Cilla Black, cantata però appositamente per il film, in un modo che mette i brividi addosso, da Anya Taylor-Joy; e Last night in Soho di Dave dee & Dozy & Beaky & Mick & Tich, da cui il soggetto del film è ispirato.
 

In un film così vintage - in cui il ricordo nostalgico della Londra di 50 anni fa è fonte di reviviscenze fantasmatiche, frutto di una passione sin ossessiva per le sue atmosfere e i suoi miti – non ci si stupirà più di tanto di veder emergere, quasi come presenze autenticamente spettrali, certi straordinari camei di alcuni mostri sacri del cinema britannico: Terence Stamp e Rita Tushingham, due icone del “free cinema” inglese degli anni ’60; ma anche Diana Rigg e Margaret Nolan.
 

Un po’ Inland Empire - L'impero della mente un po’ La donna che visse due volte e un po’ Persona di Ingmar Bergman, Ultima notte a Soho è insieme entertainment di genere (oltre a quelli menzionati ci sono forse anche il revenge-movie e la ghost-story) e cinema d’autore, alimentato com’è dai temi biografici e dalla sigla stilistica del suo regista: l’amore viscerale per la Londra degli anni ’60, vista dagli occhi di un ragazzo del Dorset nato nel 1974 (è lì e allora che nacque Wright); e la musica pop che, esattamente come avveniva in Baby driver, è elemento identitario e scialuppa di salvataggio. Di quelle che ti salvano sull’orlo del precipizio, insomma. Forse, o forse no…

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