Undercover - L' infiltrato è su Sky Primafila. L'intervista al regista Thierry de Peretti

Cinema

Paolo Nizza

È disponibile su Sky Primafila, il thriller francese, tratto da una storia vera, che indaga sui rapporti tra Stato e Narcotraffico. Nel cast Roschdy Zem, Pio Marmai, Vincent Lindon e Valeria Bruni Tedeschi. Per l'occasione abbiamo incontrato il regista Thierry De Peretti che ha svelato i segreti del film

Parigi: in seguito a un sequestro di sette tonnellate di cannabis, un ex infiltrato e un giornalista conducono un’indagine nelle oscure pieghe della criminalità di Stato.  E questo il punto di partenza di Undercover - L'Infiltrato, il film disponibile su Sky Primafila.

Ispirata a fatti realmente accaduti, la pellicola trasporta sullo schermo la  vera storia di Hubert Avoine, un ex detenuto diventato informatore dell'agenzia antidroga francese che nel 2007 si sarebbe infiltrato nei cartelli della droga messicani. Hubert si rende conto di essere stato utilizzato dall'Ufficio francese dei narcotici, dando così inizio a una battaglia legale. 

Ecco cosa ci ha svelato il regista del film Thierry De Peretti che ha preso spunto dal libro scritto dallo stesso Hubert Avoine insieme al giornalista investigativo francese Emmanuel Fansten.

Undercover - L'Infiltrato, l'intervista  al regista Thierry de Peretti

Come è nata l'idea del film?

Mi è stato offerto di adattare L'Infiltré, scritto a quattro mani da Hubert Avoine, ex infiltrato dell'Ufficio centrale per la repressione del traffico, ed Emmanuel Fansten, giornalista di Liberation. Il libro ripercorre la carriera di Hubert Avoine, dall’impegno sindacalista ai cartelli messicani passando per l'Ufficio francese della narcotici. Il libro mi ha affascinato, ma non mi ci vedevo proprio a lavorare su questo adattamento, troppo lontano dal mio primo territorio cinematografico che è la Corsica. Poi ho potuto incontrare Hubert ed Emmanuel e quello che ho provato riguardo alla loro relazione mi ha subito soddisfatto e incuriosito. Mi sono detto che bastava questo per fare un film e raccontare il rapporto senza precedenti tra un giornalista e la sua fonte, la loro comune ossessione per questa indagine, il loro livello di linguaggio, l'estrema teatralità del loro dialogo ininterrotto, ipnotico ed estenuante. Era ovvio che stessero dicendo qualcosa sul mondo e su quest’epoca che sta finendo.

Quali sono le differenze tra il film e il libro-inchiesta di Hubert Avoine ed Emmanuel Fansten?

Il film non è l'adattamento del libro, che invece raccontava il viaggio di Hubert dalla gioventù comunista, ai cartelli. Il film racconta tutto ciò che viene dopo, tutto ciò a cui ho potuto assistere direttamente. Ad un certo punto del film, i due personaggi iniziano a scrivere un libro che estenderà la loro indagine e consentirà a Stéphane Vilner di condurre interviste più approfondite sulla vita di Hubert. Questo è ciò che vediamo nel film, come è stato realizzato il libro.

Visto l’argomento scottante, ha ricevo pressioni durante la lavorazione per eliminare certi riferimenti o per alleggerire certe situazioni?

Per tutta una serie di ragioni legali, in Francia non è possibile fare un film citando i nomi di persone reali che hanno ispirato i personaggi, pena l'esporsi a denunce di diffamazione che potrebbero bloccare l'uscita del film. Senza dubbio è preferibile da un certo punto di vista che un film non possa essere strumentalizzato a fini legali. Ma d'altra parte agisce come una sorta di intimidazione quando si tratta di personaggi pubblici che ricoprono cariche politiche.

Pensa che il traffico internazionale di droga e in generale il mondo della criminalità sia una cartina di tornasole per raccontare in generale la società in cui viviamo?

Ciò consente indubbiamente un effetto di ingrandimento. Negli ambienti criminali c'è sia un uso regolato della violenza adattato ai problemi e alle circostanze, sia allo stesso tempo un radicalismo quasi fascista di questa violenza. La criminalità organizzata è solo un'esagerazione del capitalismo moderno. Ma credo che le droghe siano una forza potente contro la quale è molto difficile combattere, come è difficile combattere la povertà, le malattie, la violenza, la fame. Pensare di poter combattere contro una tale forza con idee semplici o semplicemente repressive mi sembra assurdo e vano. Certo, devi combattere, ma soprattutto capire di cosa si tratta.

Nel film c’è una rappresentazione molto realistica e non edulcorata del giornalismo. Lei cosa pensa dello stato attuale del mondo dei media e dell’informazione?

Non potevo parlare in generale. Parte del film è al centro della redazione di Liberation, che ci ha aperto le porte. Le scene che vediamo nel film sono girate in contemporanea alla realizzazione del giornale e questo ha sicuramente un'influenza sul film, sul lavoro delle attrici e degli attori, sulla loro accuratezza, sul livello di accuratezza del loro gioco. Trovo che il lavoro del giornalismo sia soggetto alle forze del mercato come mai prima d'ora. Resistere a ciò che viene chiamato "narrativo", resistere all'ideologia del proprio giornale, lavorare sulle sfumature e sulla complessità della realtà senza lasciarsi condizionare, né guardare i social network o le piattaforme di streaming, che impongono un mondo sempre più infantile, violento ed emotivo, è una grande questione etica e politica.

Come descriverebbe la relazione tra il giornalista Hubert Antoine e l’informatore Stéphane Vilner ?

È una relazione complessa che evolve nel corso del film. È il rapporto di un giornalista e della sua fonte, con tutto ciò che comporta la sfiducia e la strumentalizzazione dell'uno da parte dell'altro. Ma dopo un po' nasce un'amicizia, anzi una complicità, nonostante tutto. Eppure sono due persone molto diverse, che di certo non si sarebbero incontrate se non fosse stato per questa vicenda. Non provengono dalla stessa estrazione sociale o culturale, non hanno né la stessa età né lo stesso ambiente. Niente di ciò che hanno sperimentato li avvicina e tuttavia c'è un gusto comune per le storie, la stessa ossessione che li spinge ad andare a vedere il lato nascosto delle cose, e sicuramente anche il fatto che ridono delle stesse sciocchezze. Soprattutto, amano raccontare storie, sono chiacchieroni incorreggibili. Per me, che ho passato molto tempo con entrambi e che ho potuto assistere allo "spettacolo" della loro relazione, mi piace considerare Hubert come un cabarettista e Stéphane come un regista o un "terzo occhio". Inventano qualcosa insieme.

Lei oltre che regista à anche un attore, come è stato dirigere due grandi star popolari come Vincent Lindon e Roschdy Zem?

Quando lavoriamo insieme, la questione della notorietà non entra in gioco. Lo sono entrambi, ma come tutte le altre attrici e attori del cast, attori potenti e molto impegnati nei progetti in cui sono coinvolti. E ovviamente non li "dirigo", così come non dirigo l'intero cast di attori e attrici che compongono il film. Anzi, affido loro molte cose, gran parte di ciò che si gioca nelle scene viene dal loro lavoro.

Nel film c’è anche Valeria Bruni Tedeschi nel ruolo di una procuratrice della Repubblica. Come è nata la sua partecipazione alla pellicola?

Abbiamo collaborato più volte insieme a Valeria che è un'artista che ammiro e che è anche un'amica. Mi piace l'autorità e la precisione delle sue parole nel film. In questa scena, rende molto chiara la natura del rapporto di potere e gerarchia tra il commissario di divisione Jacques Billard, (interpretato da Vincent Lindon) e lei. Questo per me racconta, con economia di mezzi, il confronto tra istituzione di polizia e magistratura. Ci vogliono grandi attrici e grandi attori per far emergere bene questo discorso.

Perché ha scelto, in maniera coraggiosa, di girare il film nel formato 4/3?

È il formato cinematografico nativo, che è stato un po' trascurato, ma che ultimamente viene utilizzato spesso. Mi piace quello che riporta, un po' arcaico o più crudo rispetto agli altri formati, anche più fisico. È un formato che concentra chiaramente lo sguardo.

Come mai ha scelto “Over The Hillside” del gruppo scozzese The Blue Nile per i titoli di coda del film?

Come per A Violent Life, abbiamo lavorato con Frédéric Junqua, che è il supervisore musicale del film, scambiando suoni, playlist, brani che hanno un rapporto più o meno diretto con l'epoca in cui è ambientato il film o con i luoghi che attraversano i personaggi. Ma è durante il montaggio che si decidono molte cose. Over The hillside per la fine del film è l'idea di Frédéric, l'emozione che questo produce, contrasta con la malinconia delle ultime immagini e imprime un tono che mi ricorda il modo di riprodurre i titoli di coda di certi film americani degli anni '80 e '90.

CANNES, FRANCE - MAY 22: (L-R) Alexia Chardard, Sarah Henochsberg, Baptiste Carrion-Weiss, Suzanne Lindon, Valeria Bruni Tedeschi, Sofiane Bennacer, Vassili Schneider and Louis Garrel attend the screening of "Forever Young (Les Amandiers)" during the 75th annual Cannes film festival at Palais des Festivals on May 22, 2022 in Cannes, France. (Photo by Dominique Charriau/WireImage)

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