Il Festival rende omaggio al regista italiano che, per l'occasione, ha presentato fuori concorso un film-documentario dai risvolti autobiografici. Da oggi disponibile nelle sale cinematografiche italiane
Con l’uscita di "Marx può aspettare", il suo ultimo film documentario, Marco Bellocchio è come se chiudesse un cerchio verso una cinematografia del vuoto, dell’assenza, dell’ombra lasciata da chi se ne va. Una pellicola in cui fa rivivere la storia di suo fratello Camillo, morto suicida nel 1968, senza filtri e pudori, ricostruendo allo stesso tempo un periodo storico ben definito. Ma per il maestro Bellocchio l’arrivo a Cannes è anche il momento per ricevere la Palma d’Oro alla carriera.
"Marx può aspettare", da Cannes al cinema
Scritto e diretto da Marco Bellocchio, “Marx può aspettare” è una produzione Kava Film, Ibc Movie, Tenderstories con Rai Cinema, in collaborazione con Fondazione Cineteca Bologna, opera realizzata in collaborazione con Regione Lazio Fondo per il Cinema e l’audiovisivo, produttore esecutivo Michel Merkt e Alessio Lazzareschi, coprodotto da Malcom Pagani e Moreno Zani, prodotto da Simone Gattoni e Beppe Caschetto. I costumi sono di Daria Calvelli, la scenografia di Andrea Castorina, il montaggio di Francesca Calvelli, le musiche di Ezio Bosso, la fotografia di Michele Cherchi Palmieri e Paolo Ferrari. Il film è distribuito da O1 DISTRIBUTION e uscirà in sala il 15 luglio, in contemporanea con il passaggio a Cannes.
approfondimento
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Le parole di Marco Bellocchio
«Il 16 dicembre 2016 Letizia, Pier Giorgio, Maria Luisa, Alberto ed io, Marco, le sorelle e i fratelli Bellocchio superstiti ci riunimmo, con mogli, figli e nipoti al Circolo dell’Unione a Piacenza per festeggiare vari compleanni. Io avevo organizzato il pranzo con l’idea di fare un film sulla mia famiglia, ma non avevo ancora le idee chiare. Non sapevo che cosa volevo esattamente fare. In realtà lo scopo era un altro…Fare un film su Camillo, l’angelo, il protagonista di questa storia. “Marx può aspettare” racconta della morte di Camillo, mio gemello, il 27 dicembre del 1968. Una storia totalmente autobiografica, ma che vuole essere “universale” (altrimenti che interesse potrebbe avere?) per almeno due motivi: una riflessione sul dolore dei sopravvissuti (eravamo abbastanza sani noi fratelli per sentire dolore?), ma soprattutto sulla volontà di nascondere la verità a nostra madre, convinti che altrimenti non avrebbe sopportato la tragedia. E perciò il teatro nella tragedia. Il secondo motivo è che la morte di Camillo cade in un anno “rivoluzionario”, il 1968. L’anno della contestazione, della libertà sessuale, del maggio francese, dell’invasione della Cecoslovacchia, ma tutte queste rivoluzioni passarono accanto alla vita di Camillo, non lo interessarono. “Marx può aspettare” mi disse l’ultima volta che ci incontrammo...»