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L'immortale, l'intervista a Marco D'Amore

Cinema

Massimo Vallorani

In attesa dell’uscita nei cinema del film L’Immortale, abbiamo incontrato l’interprete e regista della pellicola che, distribuita da Vision, sarà nelle sale a partire dal 5 dicembre

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Il 5 dicembre arriva nei nostri cinema distribuito da Vision “L’immortale”, diretto da Marco D’Amore che torna ad interpretare Ciro Di Marzio l’immortale, il personaggio di Gomorra – La serie che lo ha portato al successo mondiale. È proprio dalla fortunata serie televisiva riparte il film che ripercorre l'infanzia di Ciro attraverso flashback che ci raccontano la Napoli degli anni 80.

Quando è nata l’idea di un film al cinema su Ciro di Marzio?

L’idea mi è venuta pressappoco tre anni fa alla fine della prima stagione, per intendersi quando Genny (N.d.R. Salvatore Esposito) tenta di uccidermi. E’ stata un lungo pensarci su, una elaborazione lenta sostenuta fortemente da Riccardo Tozzi, presidente di Cattleya, e Nicola Maccanico di Vision Distribution. Nessuna sapeva nulla. Mi tenevo dentro questo segreto mentre le storie di Gomorra – La serie, andavano avanti. Mi sembrava anche che un film fosse la risposta giusta e corretta verso tutti quei tantissimi spettatori che hanno seguito e seguono ancora Gomorra e che non credevano alla morte di Ciro.

Portare al cinema un personaggio come Ciro di Marzio al cinema poteva essere una operazione rischiosa. Cosa si doveva evitare?

Che il pubblico cinematografico percepisse il film come una mera e pedissequa continuazione della serie televisiva. Invece quello che si è cercato di realizzare è un vero e proprio atto di tradimento di Gomorra – La serie. Naturalmente si tratta di un tradimento necessario perché chi andrà al cinema a vedere il film non vedrà due puntate di Gomorra ma una storia che si dipana tra il passato di Ciro bambino nella Napoli degli anni 80 un Ciro adulto proiettato nei suoi “affari” in Lituania. Tradimento nei tempi ma anche nel linguaggio e della tecnologia” che porta in grande, sul grande schermo delle vicende prima costrette nella cornice di un televisore.

Sembra che lei abbia molto lavorato su Ciro di Marzio. Nella sua lunga genesi c’è[VM1]  qualche elemento che avrebbe voluto aggiungere o magari togliere al personaggio?

Io non oso dire che sia completo perché nell’indagine di un personaggio sono troppe le cose da scoprire, soprattutto se si ha la fortuna di confrontarsi con una personalità per certi versi “tridimensionale”. Io, da parte mia, ho messo tantissimo per completare Ciro ed è stato il mio continuo scavare dentro a dare forza a questo personaggio così diviso tra due opposti: quello apparentemente freddo e spietato che si contrappone ad una ricerca spasmodica di amore. Si perché Ciro vuole essere amato, a differenza di Jenny che vuole invece essere semplicemente accettato. Io ho instillato tutto questo e chi ha scritto e diretto la serie ha accettato questa mia intuizione. Anzi l’ha fatta sua e direi che è stato l’arma vincente per completare un personaggio già ricchissimo di suo.

Cosa si perde e cosa si acquista nel diventare regista?

Come prima cosa direi che si perde la salute. Scherzi a parte, diventare regista è stato per me è un grande onore. Un onore che, debbo dire, ho supportato con un grande studio preparatorio. Sono andato sul set con le idee molto chiare e precise. C’è da dire che avevo dalla mia parte la scuola di Gomorra – la serie, dove ho potuto lavorare con sceneggiatori e registi di primissima qualità. Mi è anche servito, ad onor del vero, essere ancora un attore. Questo mi permette e mi ha permesso durante il film di capire meglio quando suggerire, e quando lasciar libero sfogo alla creatività e alle invenzioni dei singoli interpreti.

Come ci si cala nel ruolo di un antieroe che agisce in un universo quasi parallelo, composto esclusivamente da altri antieroi?

Ci si arriva gradatamente con la relativa consapevolezza che questo tipo di personaggi negativi sono quelli che per la loro poliedricità ti arricchiscono e ti coinvolgono di più. Quando ci si imbatte in questa tipologia di personaggi in cui prevalgono l’esasperazione dei sentimenti del gesto, della grandezza e della epicità, l’attore di teatro o di cinema non può che esserne felice e ringraziare il mestiere che ha intrapreso. Così ho trattato Ciro, trasformandolo in un grande antieroe contemporaneo

Non è una scoperta che il personaggio di Ciro è e rimane un personaggio di grandissimo successo. Che rapporta ha con la popolarità? Ha dovuto rinunciare a qualcosa?

Non per fare il noioso ma intendo il successo come l’opportunità di poter scegliere dei lavori validi per la mia crescita professionale  e soprattutto delle parti che mi entusiasmino. Solo così intendo il concetto di popolarità. Del resto io come carattere sono un tipo schivo e non ho velleità di popolarità né di superficialità.

Cambiando totalmente genere, cosa le piacerebbe girare o interpretare nel tuo futuro?

Se sogno ad occhi aperti o chiusi mi piacerebbe raccontare una storia d’amore, anche turbolenta e acida. Sì mi piacerebbe molto!