Presentato in concorso alla 17esima edizione di Alice nella Città, sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma dedicata alle nuove generazioni, è One more jump di Emanuele Gerosa, un film documentario che racconta le vite parallele di due ragazzi determinati a riscrivere il proprio futuro attraverso uno sport particolare: il parkour. L’intervista al regista Emanuele Gerosa e al protagonista, campione palestinese di parkour, Abdallah Inshasi.
In anteprima assoluta alla Festa del Cinema di Roma One more jump di Emanuele Gerosa, il film documentario in concorso alla XVII edizione di Alice nelle Città nella sezione Young Adult.
Attraverso la storia di Abdallah e del suo compagno Jehad, One more jump rappresenta una rara e preziosa testimonianza della vita nella striscia di Gaza. Protagoniste le vite parallele di due ragazzi determinati a riscrivere il proprio futuro attraverso uno sport particolare: il parkour. Abdallah e Jehad sono due amici nati nella striscia di Gaza che praticano una disciplina che amano: il parkour.
A metà tra sport e filosofia di vita, il parkour è la disciplina e l’arte di superare ogni tipo di ostacolo che si presenta in un percorso attraverso la corsa, i salti o l’uso di movimenti acrobatici. Per Abdallah e Jehad rappresenta qualcosa di più: è un modo per lottare, anche simbolicamente, per la propria libertà.
L’intervista
Perché ha deciso di raccontare questa storia attraverso la disciplina del parkour?
Emanuele Gerosa: Mi è capitato per caso nel 2015 di vedere un brevissimo video di un minuto sui ragazzi di Gaza che avevano dato vita appunto al Gaza parkour. È stato come un colpo di fulmine. In quel momento è scattato qualcosa dentro me per cui ho detto: voglio conoscere questi ragazzi, sapere la loro storia e capire se c’è la possibilità di fare un film su di loro, sul luogo dove vivono.
Quando ha avuto i primi contatti?
Emanuele Gerosa: Ho iniziato a muovermi nel 2015 e solo successivamente ho scoperto che Abdallah viveva in Italia. È stata un po’ come un conferma per me saperlo in Italia, ancora una volta un segno del destino. Ho pensato che la mia intuizione mi stesse portando da qualche parte e ho sentito ancor di più il dovere di raccontare questa storia.
Il parkour rappresenta un’evidente metafora della situazione in cui si ritrovano a vivere i protagonisti.
Emanuele Gerosa: È una disciplina sportiva che più rende vivida la metafora della vita di Gaza. Questi ragazzi che non hanno nulla, un futuro, un lavoro, l’unica cosa che può restituirgli dei momenti di libertà è rischiare la vita facendo uno sport di per se rischioso, in luoghi che lo sono ancor di più, andando a riutilizzare spazi che sono andati distrutti.
One more jump è una vera testimonianza della vita sulla striscia di Gaza.
Emanuele Gerosa: I tanti film documentari sulla striscia di Gaza ci danno l’idea di un luogo in perenne guerra. Con One more Jump ho voluto invece raccontare la storia di questi ragazzi, la loro quotidianità nata in un contesto che la influenza a 360 gradi.
Cosa l’ha colpita di più?
Emanuele Gerosa: La perseveranza di questi ragazzi, Abdallah, Jehad e tutti i ragazzi del team parkour. Il loro non demordere mai, nonostante abbiano provato decine e decine di volte ad ottenere un visto, per un’esperienza all’estero, di studio o altro. Comprendo la scelta di Abdallah di non tornare a Gaza, di dire io resto, per quanto possa essere duro tornare a Gaza vorrebbe dire non avere più alcuna possibilità di uscire.
Cosa non vedremo nel film?
Emanuele Gerosa: Le donne. L’universo femminile è inesistente nel film. Questo è legato alla cultura di Gaza, le donne non fanno parkour, hanno una vita completamente diversa dagli uomini. I ragazzi poi non cercano di stabilire una relazione con le donne, perché questo significherebbe l’annullamento del loro sogno di andarsene. Questo è un aspetto incredibilmente drammatico.
Quando è nato il Gaza parkour?
Abdallah Inshasi: Quando eravamo bambini, parliamo della fine degli anni 90, gli israeliani occupavano ancora la striscia di Gaza. Io e Jehad eravamo abituati a scappare, a nasconderci dai soldati. In un certo senso noi praticavamo parkour senza conoscere questa disciplina. Solo successivamente ho scoperto che tutto ciò aveva un nome, che in realtà il nostro scappare era uno sport. Così nel 2005 con Jehad abbiamo fondato il Gaza parkour.
Cosa rappresenta il parkour per Abdallah e Jehad?
Abdallah Inshasi: Un motivo per uscire di casa, per stare in gruppo e praticare insieme un’attività. Potrei dire che è semplicemente sport, ma in realtà per noi è molto di più, è quasi libertà.
One more jump che significato ha per lei?
Abdallah Inshasi: È un messaggio per dire al mondo ci siamo anche noi. Noi esistiamo. A Gaza è difficile entrare ed è difficile uscire. Io sono uscito da Gaza per fare una gara di parkour nel 2013 e non sono più tornato in Palestina. Non è per nulla una scelta facile quella di non tornare, ma qui mi sento libero, posso conoscere persone, nuove culture.
Avete avuto problemi a girare alcune scene del film in Palestina?
Emanuele Gerosa: È stato molto più semplice di quello che immaginassi. Siamo entrati come collaboratori di una associazione italiana che opera in Palestina, grazie alla responsabile di questa associazione abbiamo avuto l’accesso a quasi tutti i luoghi della striscia di Gaza.
Crede sia stato un colpo di fortuna?
Emanuele Gerosa: Si, credo di si. Oltre ad avere avuto l’opportunità di entrare senza problemi, l’altra fortuna è stata quella di riuscire a portare a casa il materiale. Per uscire dalla striscia di Gaza bisogna passare per Israele, quindi dall’aeroporto di Tel Aviv e i soldati israeliani controllano tutto in maniera scrupolosa, non è scontato che lascino passare materiali come potevano essere le nostre riprese. Ci è andata bene.