Figlia Mia. Parlano la regista Laura Bispuri e la montatrice, Carlotta Cristiani

Cinema

M.Beatrice Moia

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Sabato 12 maggio il Cinemino di Milano ha proiettato Figlia mia, presentato in concorso al 68° festival internazionale di Berlino 2018.  In sala anche la regista, Laura Bispuri e la montatrice, Carlotta Cristiani. 

La recensione del film

Cabras, Sardegna. Mare, sassi, spiaggia, terra, roccia. Un paesaggio brullo, arido, selvaggio. Malinconico e insidioso. Imprevedibile perché sempre diverso. O forse proprio perché sempre uguale a se stesso. Un paesaggio che è e come è sempre stato. E se l’acqua del fiume di Eraclito scorre in un ricambio continuo, quelle di Cabras sono le stesse onde dall’inizio dei tempi. E così sembra che anche i suoi abitanti siano segnati da questo destino. O da questa fortuna, a seconda dei punti di vista. Perché non cambiare non sempre è più facile, più rassicurante, meno spaventoso. Se Vittoria fosse per sempre restata solo con Tina e non avesse mai conosciuto Angelica, la sua vera madre, sarebbe stato più semplice. Ma il cuore delle tre protagoniste di “Figlia mia” pulsa di battiti sempre più forti. Sempre diversi. Nutriti da sentimenti che emergono nuovi. Che non si conoscono e fanno paura. Perché Tina vorrebbe la sua Vittoria sempre con sé. E Angelica non vorrebbe mai conoscerla e affezionarsi. E Vittoria? A soli dieci anni Vittoria non è ancora bloccata dal luogo dove vive, non è ancora diventata una roccia di Cabras, imponente, salda e ferma in un quotidiano che sembra non poter mutare. Lei è l’acqua di Eraclito. Scorre. Viva, sempre nuova. E l’entusiasmo per la vita lascia captare quei misteriosi segnali che solo uno spirito puro e ancora libero riesce a cogliere. Quelle sensazioni profonde che vanno al di là delle parole e dei fatti, e che rispondono esclusivamente alla voce del cuore. Quel sentire inspiegabile che fa riconoscere l’amore vero. Che fa capire a Vittoria che sua madre è Angelica ma che la sollecita a chiamare “mamma” anche Tina. Solo un animo puro ha questa capacità. Un animo non ancora legato con catene pesanti a quelle rocce che mai cambieranno. Un animo che non ha bisogno di etichette, ruoli sociali rigidi, ma che segue solo l’amore. L’amore di sua madre, Angelica. E l’amore di sua madre, Tina. Tutto il resto non importa. 

Sabato 12 maggio il Cinemino di Milano ha ospitato Carlotta Cristiani e Laura Bispuri, rispettivamente montatrice e regista di Figlia Mia, il film con Alba Rorhwacher e Valeria Golino, presentato in concorso al 68° Festival internazionale di Berlino. Prima della proiezione le due esperte hanno presentato così il loro lavoro:

Una regista donna che parla di donne. Scelta o necessità?

Laura Bispuri - Intraprendo da sempre percorsi su personaggi femminili, già dai miei primi corti. Penso sia una scelta ma anche una necessità. Da una parte c’è sempre stato da parte mia interesse nel raccontare storie femminili, mi incuriosiscono di più, le sento più vicine e sono personaggi che mi sento di raccontare in maniera più profonda. Nello stesso tempo credo sia necessario costruire un immaginario femminile che ancora manca in maniera soddisfacente. Quindi posso dire che è un mio percorso sincero ma è anche una presa di posizione.

In un ambito che è prettamente maschile noto invece che le montatrici donne sono tante. C’è una sorta di allargamento verso figure femminili o è solo per una questione di "qualità"?

Carlotta Cristiani - In realtà il montaggio nasce come mestiere femminile, con la pellicola e con la precisione dovuta per attaccare i fotogrammi. Quindi l’analogia con la sartoria che si è sempre fatta, in realtà aveva del vero. Di certo è diventato un lavoro più riflessivo rispetto al set, chiusi in una stanza al semibuio…è cambiato il fatto che la figura del montatore è più visibile di prima, più riconosciuta e quindi si è notato quante donne ci siano che fanno montaggio. Non credo quindi che sia una novità, la novità è che se ne parla di più.

Poi volevo aggiungere che i personaggi maschili nei film di Laura è vero che hanno un ruolo minore, non sono protagonisti, ma sono comunque personaggi molto caldi, molto belli.

Laura Bispuri – molto caldi, sì. E il tentativo è anche quello di rimettere in discussione il modo in cui il maschile viene troppo spesso raccontato. Non so se si riesce ma ci si prova.

Come è nata l’idea del film? Le tre protagoniste sono personaggi che hai incontrato realmente? E quest’idea del western sardo?

Laura Bispuri - L’idea di partenza era quella di avere tre punti di vista. Ero molto spaventata perché tendo ad avere molta aderenza con il personaggio e la paura era quella di attaccarmi troppo a un personaggio per poi perdere l’emozione passando a un altro. L’idea era quella di avere un flusso continuo che legasse tutte e tre. Anche perché, nonostante sembrino molto diverse tra loro, alla fine attraversano un percorso identitario molto simile.

Per quanto riguarda l’ambientazione, l’idea della Sardegna è nata in seguito a una vacanza che ho fatto con mia figlia e che mi è rimasta nel cuore. Ho passato in seguito due anni di percorso andando e tornando da questo luogo e avuto tante risposte. Non volevo una Sardegna stereotipata. E da qui ecco che la bambina protagonista ha i capelli rossi, che la musica non è tradizionale e che la commistione tra arcaico e contemporaneo sia continua.

Come avete lavorato? Te lo chiedo perché so che tu, Laura, usi molti piani sequenza. Quindi immagino che poi per Carlotta sia stato difficile trovare i giusti raccordi in fase di montaggio…

Carlotta Cristiani - Anche "Vergine giurata" era tutto in piani sequenza…il linguaggio di Laura è questo. Si serve di continui piani sequenza per ricercare l’espressività della scena e degli attori. La difficoltà in più qui è che avevamo tre protagoniste al posto di una e quindi è stato più lungo, abbiamo dovuto cercare di calibrare queste tre presenze in modo giusto, che lasciasse spazio a tutte e tre ma anche che ci fossero dei piccoli momenti di pausa su ciascuna.

Alba Rorhwacher è la tua musa ormai?

Bè sì, c’è un legame forte, un’amicizia, una condivisione della vita che ci unisce oltre al lavoro. C’è una sintonia fortissima. Con Alba faccio un lavoro che non faccio con le altre. Ovvero con lei sono riuscita a fare delle piccole improvvisazioni dalle quali sono usciti dei momenti molto preziosi. Alba è un’attrice straordinaria, che mette una commozione in più, che fa un lavoro sul fisico pazzesco…insieme ci liberiamo entrambe moltissimo, credo.

Come è stato inserire Valeria Golino in questo duo?

È stato faticoso passare da due a tre ma siamo comunque riuscite a costruire un bellissimo rapporto. Come prima cosa io cerco di creare un rapporto di parità e poi in questo rapporto c’è tutto: la fatica, la gelosia, il dolore, tutto viene messo in campo. Credo che parte della sincerità dei personaggi venga anche da questo tipo di rapporto sul set.

E la piccola Sara Casu? La senti ancora? Sta lavorando?

L’ho vista di recente. Sta facendo la scuola media. Non ha più lavorato ma stiamo cercando ancora di capire cosa vuole fare nella vita. Adesso la lasciamo decomprimere questa importante esperienza che le è piombata addosso.

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