Il cinema che non conosci si propone di aiutare a far scoprire quei film “minori” che, per budget o per scelte tematiche, rimangono un po’ nell’ombra mentre meriterebbero di avere spinte promozionali più significative e impulso distributivo più ampio e convinto. Come Generation '68 di Nenad Puhovsky, in questi giorni al Cinemino di Milano. A seguire la recensione del film.
Gli stessi protagonisti del ’68 parlano cinquant’anni dopo. Ma si tratta di protagonisti tutt'altro che scontati. Giovani d'oltrecortina, abituati a leggere quello che capita in Occidente con il prisma deformato di un'informazione che orienta, smussa, addirittura capovolge o silenzia. Inevitabile che anche la rivoluzione del '68 finisca per arrivare a Zagabria, teatro degli eventi raccontati in "Generation ‘68", come evento deformato da aspettative locali, segnato da auspici spesso contraddittori e quasi paradossali per i giovani del maggio parigino. Comprensibile quindi lo stupore, anche a distanza di mezzo secolo, nel vedere che tra gli obiettivi del '68 in salsa jugoslava, ci fosse una riforma in senso radicale della società comunista. Non un superamento del marxismo politico, non un approdo a quella perestroika che vedrà la luce solo oltre vent'anni dopo, ma un sogno di egualitarismo "perfetto" che attinge sempre dalla stessa matrice totalitaria. Il pragmatismo di Tito ha evidentemente contagiato anche il cuore dei giovani e ha finito per modellarne aspirazioni e obiettivi.
Questa "rilettura postuma" e controcorrente rappresenta uno degli elementi più interessanti del lavoro del regista Puhovski, che finisce per far passare in secondo piano il tono documentaristico, talvolta un po' piatto. Filmati d'epoca e interviste ai protagonisti del tempo, concorrono alla realizzazione di un puzzle decisamente insolito. Emergono storie di ragazze e ragazzi desiderosi di cambiamento in un periodo dove era difficile sentirsi veramente liberi e autenticamente se stessi. Vi sono le rivendicazioni più scontate: abbasso il razzismo, abbasso la guerra, liberate i giovani americani da un terribile destino in Vietnam, abbasso le costrizioni sociali, lasciateci vivere pienamente senza ostacoli. Ma come detto, anche spunti tutt'altro che scontati, visti da una prospettiva per noi non abituale. Il regista, Nenad Puhovski coinvolge proprio i compagni che con lui hanno vissuto il cambiamento partecipando alle rivolte studentesche. Va alla loro ricerca, dopo tanto tempo senza avere avuto più alcun tipo di contatto. Le testimonianze arrivano da Londra, Parigi, New York e Praga. Quello di Puhovski non vuole essere un semplice e convinto omaggio al ’68. Il regista, anzi, mette in discussione quei principi per cui un tempo si era lottato tanto strenuamente. Per cosa abbiamo fatto tutto questo rumore? Siamo restati fedeli a quello in cui credevamo? O abbiamo tradito gli ideali della nostra giovinezza? Cosa è rimasto del ’68? Poco? O forse nulla? E questo è un bene? Forse, tutto il ’68, sembra suggerire il regista, ha suscitato insieme a tante speranze, anche non poche delusioni. Sarebbe sbagliato però, sulla base della mentalità di oggi, emettere giudizi definitivi su una pagina di storia in cui si intrecciano ancora passioni politiche e tensioni ideali. Nel puzzle complesso e tuttora sorprendente del '68 il lavoro del regista Puhovski offre comunque tessere non scontate e utili per proseguire in una riflessione importante per comprendere le radici della società di oggi.