E' morto Ermanno Olmi, maestro di cinema: i suoi 5 migliori film

Cinema

Fabrizio Basso

Ermanno Olmi
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E' morto, all'età di 87 anni, Ermanno Olmi. Lo ricordiamo attraverso cinque suoi film: Il Posto, L'Albero degli Zoccoli, La leggenda del santo Bevitore, Il segreto del Bosco Vecchio e Torneranno i Prati

(@BassoFabrizio)

Ha sfogliato la vita come un libro e ne ha fatto pagine di cinema. Se ne è andato Ermanno Olmi. Aveva 86 anni. Nato a Bergamo, padre ferroviere e mamma operaia, presto si trasferisce a Treviglio dove comincia a mordere l'esistenza. L'Accademia di Arte Drammatica a Milano lo porta a prendere confidenza con la macchina da presa e inizia un percorso che lo accompagna fino alla sua morte, ad Asiago, il 7 maggio 2018. Lo ricordiamo attraverso i suoi 5 film più rappresentativi, almeno secondo chi scrive, in ordine cronologico.

Il Posto, 1961. È il secondo lavoro di Olmi. Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia ha ottenuto il Premio della Critica e ciò ha contribuito a focalizzare l'attenzione del mondo del cinema su questo giovane regista. Il film, che, tra gli altri attori, vede Tullio Kezich nei panni di un esaminatore psicotecnico, e viene preceduto da una frase che sottolinea che Milano per i giovani e soprattutto lavoro. Concetto che oggi, quasi 60 anni dopo, non è cambiato poi di molto. Le macerie della Seconda guerra Mondiale sono state rimosse dalle strade ma non dalle coscienze. Il boom economico porta il sorriso, sta per iniziare quell'estate durata dieci anni che furono gli Anni Sessanta. Domenico, un ragazzo di Meda, partecipa alla selezione di lavoro voluto da una azienda di Milano. La famiglia gli fa pressioni, gli ricorda, con insistenza, che conquistare un posto fisso significa sistemarsi per tutta la vita. Durante le prove del concorso conosce Antonietta, soprannome Magalì, e nasce una timida complicità fatta solo di sguardi e sorrisi. Entrambi ottengono il posto ma le sedi sono differenti: per lei c'è il reparto dattilografia per lui quello tecnico, sedi diverse, turni differenti. Quando muore un impiegato ottiene finalmente la sua scrivania, circondato da colleghi che lo ignorano. Si apre dunque una riflessione sulla vita: cambierà qualcosa o la sua colonna sonora sarà il ritmo ripetitivo del ciclostile?

 

L'albero degli zoccoli, 1978: Palma d'oro al 31mo Festival di Cannes. I protagonisti sono i contadini, la civiltà contadina delle campagne bergamasche al tramonto dell'Ottocento. Tutto si svolge tra l'autunno del 1897 e la primavera del 1898. In una cascina (soprav)vivono quattro famiglie di contadini, in quel piccolo mondo antico, per dirla con Fogazzaro, nascono, germogliano e muoiono vite, amori, lavoro, sofferenze, gioie. Un matrimonio ed è subito festa. Una ragazza sposa uno dei giovani e il loro viaggio di nozze è a Milano; ma non è la luna di miele che hanno sognato, arrivano all'ombra del Duomo è movimentato dalle repressioni, da parte delle truppe di Bava Beccaris, delle manifestazioni popolari. L'albero del titolo è quello che uno dei contadini taglia per fare gli zoccoli per il figlio. Il padrone viene a saperlo e scaccia la famiglia.

La leggenda del santo bevitore, 1988: Leone d'Oro al festival di Venezia. Non esistono aggettivi per descrivere l'intensità di questo film, tratto dall'omonimo romanzo di Joseph Roth. L'attore protagonista è Rutger Hauer, è lui a interpretare Andreas Kartack. Il ruolo fu proposto anche a Robert de Niro ma non si lasciò convincere. La storia ha inizio a Parigi, sotto i ponti della Senna: uno sconosciuto dona ad Andreas Kartack, un senzatetto con dei trascorsi nelle miniere, duecento franchi. Andreas ha un alto senso dell'onore, non vuole quei franchi (l'euro era di là da venire) e vuole sdebitarsi. Il distinto signore chiede che il prestito venga restituito a Santa Teresa di Lisieux: lui è devoto alla Santa e gli indica la chiesa dove è custodita la sua statua. Quei duecento franchi sono il paradiso per Andreas: c'è chi gli dice che non è obbligato a restituirli, chi lo incita a essere egoista...e mentre i tormenti dell'anima gli girano intorno alla testa come gli anelli di Saturno, lui vive un breve periodo, neanche tre settimane, folli, pazzesche, durante le quali ritrova Karoline, una donna per cui aveva involontariamente ucciso ed era stato in prigione, un compagno di scuola, Kanjak, nel frattempo diventato un pugile famoso e poi si concede un'avventura con Gabby, una ballerina di varietà. Commovente la frase finale: conceda Dio a tutti noi, a noi bevitori, una morte così lieve e bella.

Il segreto del bosco vecchio, 1993.
 Dopo Joseph Roth, Ermanno Olmi affronta un racconto giovanile di Dino Buzzati. Quindi siamo nel cuore delle Alpi, tra Auronzo di Cadore, il valico delle Tre Croci e il Comelico Superiore. Il protagonista è Sebastiano Procolo, un colonnello in pensione interpretato da Paolo Villaggio. Il colonnello Procolo è ambizioni e anaffettivo, la sua vecchiaia segue il ritmo ossessivo della solitudine. Tre solo i parametri che regolamentano la sua esistenza: gerarchia, ragione e profitto. Il suo sogno è diventare proprietario del Bosco Vecchio, Lui sta amministrando quei luoghi in sostituzione del nipote Benvenuto, ancora in collegio. La leggenda narra che tra quelle piante vivano creature fantastiche, dedite al bene. Lui per vincere ogni resistenza è pronto a tagliare  tutti gli alberi. Il suo piano non prevede ostacoli e se ci sono vanno eliminati. Ma l’amicizia, con dolcezza, apre il suo cuore e l'algido Procolo comincia a pensare che il bosco abbia degli abitanti. Una sera si mette al servizio, lui che ha attraversato la vita a comandare, del vento. È una riconciliazione ma anche l'inizio di una discesa verso l'ultimo capitolo della sua vita. Che sarà accompagnato dal ritmo di una allegra marcia.

Torneranno i prati, 2014. 
È l'ultimo film diretto da Ermanno Olmi, che col suo poetico realismo ci porta nelle trincee della Prima Guerra Mondiale. Si ispira a un libro del 1921 di Federico De Roberto intitolato la Paura. È ambientato nel 1917. Il conflitto mondiale volge al termine, anche se chi sta combattendo non lo può sapere. Olmi ci porta in un avamposto d'alta quota dove un gruppo di militari combatte a pochi metri di distanza dalla trincea austriaca. La bellezza, il candore della Natura si scontrano con la cupezza e il senso di precarietà della trincea. Si inala rassegnazione. Il morale è estinto, e se qualcuno ne conserva qualche residuo lo vedo soffocare a causa degli ordini insensati che arrivano da chi la guerra la combatte al caldo, seduto a una scrivania. Chi è costretto a ubbidire va incontro a morte quasi certa. Commoventi le note de Il Silenzio affidate alla tromba di Paolo Fresu. È, questo, un film, che ci fa ricordare momenti che tanti vorrebbero dimenticare, è un tuffo in un cuore di tenebra.

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