"La guerra dei cafoni è stato amore a prima vista"- Intervista ai registi

Cinema

Veronica Rafaniello

Lorenzo Conte e Davide Barletti

La guerra dei cafoni, racconto di formazione di Lorenzo Conte e Davide Barletti, va in onda in prima visione esclusiva giovedì 14 dicembre su Sky Cinema Uno alle ore 21.15 . La pellicola è tratta dal romanzo omonimo di Carlo D’Amicis e ci trascina in una Puglia aspra e selvaggia, in pieni Anni Settanta, nel mezzo dell’eterna guerra tra Signori e Cafoni. Leggi l’intervista ai registi

La guerra dei cafoni, in onda giovedì 14 dicembre alle ore 21.15 su Sky Cinema Uno, è stato una vera sfida per i registi Davide Barletti e Lorenzo Conte. La pellicola è tratta dall’omonimo romanzo di Carlo D’Amicis ed è il primo film prodotto da Minimum Fax Media.

Una favola ambientata in una Puglia antica e selvaggia, quasi sospesa nello spazio-tempo, che racconta la storia con la S maiuscola attraverso gli occhi dei bambini, era un’occasione impedibile per due registi che vengono dal cinema del reale. Così, Conte e Barletti hanno colto con entusiasmo l'occasione di dar vita all’immaginario dell'autore e mettere in scena un racconto di formazione dalle caratteristiche inedite, ma dal sapore universale.

Cosa vi ha colpito del romanzo di D’Amicis e come avete deciso di trasformarlo in un film?

Conte: È stato amore a prima vista. Raccontare una storia con tanti protagonisti, così giovani, è una sfida che non capita spesso. Inoltre, ci ha dato la possibilità di raccontare in modo inedito la lotta di classe, attraverso gli occhi dei bambini e, allo stesso tempo, dare un taglio inedito al racconto di formazione, che non avevamo mai trovato sul grande schermo..

Come sono andati i casting? C’è stato qualcuno che vi ha subito colpito?

Conte: Il casting è stato la grande sfida di questo film, abbiamo visto più di mille ragazzi in tutta la Puglia, li abbiamo cercati nelle scuole, negli oratori, nelle strade. Alcuni di loro ci hanno colpito subito, altri sono cresciuti nel tempo. Era molto importante che funzionassero come gruppo e in relazione l’uno all’altro. Questa sfida è stata vinta e sono proprio loro la forza del film.

La Puglia mostrata nel film è diversa dall’immagine cartolina di una regione verde e rigogliosa. Ne vediamo il lato selvaggio, i paesaggi assolati e impietosi. Che ruolo gioca il paesaggio nella rappresentazione della storia?

Conte: Ha un ruolo fondamentale. Volevamo un ambiente che vivesse di per sé. Torrematta nel libro è un luogo realistico con adulti, punti di riferimento urbani come la caserma e l’ospedale. Noi, però, volevamo che i ragazzi si muovessero in un ambiente il più naturale possibile, senza riferimenti. Così, siamo andati alla ricerca di scenari selvaggi, nei parchi naturali tra il Salento e la provincia di Brindisi e abbiamo trovato realtà meravigliose come la Riserva Naturale Le Cesine e di Torre Guaceto. Paesaggi selvaggi, lagunari, quasi magici.

Sappiamo che i fatti si svolgono nell’estate del 1975, ma la pellicola offre solo vaghi riferimenti alla linea temporale, che, tuttavia, non è frutto di una scelta casuale. Gli anni 70 furono un periodo di rottura per il Paese, così come lo sono gli eventi narrati per questi ragazzi che si affacciano a una nuova fase della vita…

Conte: Si tratta di due livelli paralleli, uno evidente e l’altro, per così dire, sotterraneo. Da una parte troviamo la lotta di classe e l’omologazione che caratterizzò gli Anni Settanta, dall’altra le vite dei protagonisti, che si evolvono. La guerra dei cafoni è un racconto di formazione, narra dell’ultima estate, metaforicamente parlando, quella in cui si inizia a diventare grandi e a capire la complessità del mondo.

La realtà però compare, al di là del mare, nelle luci osservate da Mela. La ragazza si evolve durante tutto il film, restando in disparte rispetto a una guerra che sembra così importante per tutti gli altri. Com’è stato il vostro lavoro sulla figura femminile?

Barletti: Il romanzo è raccontato al maschile, forse perché la guerra, spesso, è un concetto maschile. Ci sono poche figure femminili nella storia e Mela è una mosca bianca, perché guarda oltre, ha la forza di emanciparsi. Mela neanche tiene in considerazione lo scontro in atto a Torrematta, bensì si accorge che esiste un’altra possibilità di vita fuori dai cliché e dalle imposizioni e parte per raggiungerla.

Torrematta, le vite dei ragazzi e il mondo stesso sono in una fase delicata di cambiamento, in cui si rovesciano equilibri atavici. Simbolo di questo cambiamento, che dall’esterno irrompe nel paesaggio immutabile che fa da sfondo alla storia, è il personaggio di Cuggino. Il ragazzo venuto da chissà dove porta la novità del ‘cafone che non zappa la terra’ ma allo stesso tempo porta la crudeltà all’interno di una guerra fino a quel momento basata sull’essere e non sull’avere. Sarebbe giusto considerarlo il cattivo della storia?

Conte: Cuggino è un elemento di rottura, attacca i simboli dei signori e sì, è il cattivo, o meglio è un simbolo di non pacificazione. È lui che fa fare il salto alla lotta di classe, porta una pistola a Torrematta, introduce nuove forme di guerra, più violente. Anche se il film non ne parla, ricordiamo che negli anni Ottanta in Puglia nacque la Sacra Corona Unita, una mafia giovanissima, devastante, un fenomeno criminale molto diverso dalle mafie storiche. Cuggino annuncia proprio questi cambiamenti.


Nel film sono appena accennati, ma gli anni 70 sono una scelta temporale non casuale. Secondo voi, questa storia può essere vista e letta come ‘universale’ o risulta difficile slegarla dal background storico nel quale è stata concepita?

Barletti: Rispetto al libro, nel film non abbiamo voluto adulti o riferimenti urbani e questo perché volevamo che fosse una favola, in uno spazio-tempo a sé. Abbiamo lavorato molto per creare quest’ambientazione favolistica e ne è uscito un film adatto a tutti, ognuno può leggerci messaggi diversi. Nonostante gli Anni Settanta siano un’epoca importante per il Paese, la storia dei ragazzi è universale. Il passaggio dall’adolescenza all’età adulta è senza tempo. A differenza del tipico racconto di formazione, però, che partono da un momento di confusione dei protagonisti, noi procediamo al contrario. I nostri ragazzi hanno delle certezze ben radicate, che con il sopraggiungere dell’età adulta iniziano a venire meno.

Una particolarità del film è l’ampio utilizzo del dialetto pugliese, tanto da rendere necessari i sottotitoli. Quali scelte sono state alla base dell’apparato linguistico della storia?

Barletti: Il dialetto è un tratto distintivo dei ragazzi, delle due bande contrapposte, così come lo sono i covi. I Signori parlano un italiano forbito, ma all’occorrenza sanno usare il dialetto, anche se lo evitano per legge, i Cafoni, invece, parlano il dialetto della terra, quello più vero.
Lavorare con tanti ragazzi è una grande responsabilità e abbiamo deciso che dovevano essere loro stessi ancor prima di essere attori. Abbiamo cercato la spontaneità, anche nella lingua: i protagonisti parlano il proprio dialetto, anche a discapito della realisticità della sceneggiatura. Nel film ascoltiamo una vera e propria polifonia, alla quale abbiamo lavorato durante un laboratorio, svolto insieme ai piccoli attori, prima delle riprese.
 

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