Carlo D'Amicis: "La guerra dei cafoni è una storia di (de)formazione"

Cinema

Veronica Rafaniello

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La guerra dei cafoni, primo film prodotto da Minimum Fax Media, va in onda in prima visione esclusiva giovedì 14 dicembre su Sky Cinema Uno alle ore 21.15. La pellicola è tratta dal romanzo omonimo di Carlo D’Amicis e narra la difficile fase di passaggio dall’adolescenza all’età adulta. In attesa della messa in onda, abbiamo fatto due chiacchiere con l’autore. Leggi l’intervista

Nel paesaggio favolistico di Torrematta, in un Salento arido e selvaggio, va in scena la guerra atavica tra ricchi e poveri, due schieramenti opposti dall’alba dei tempi. Ed è proprio in questa terra dal sapore antico che Carlo D’Amicis ha deciso di rappresentare La guerra dei cafoni, attingendo ai ricordi d’infanzia, fatti di certezze che sfumano con il sopraggiungere dell’età adulta.

Dal romanzo è nato un film, per la regia di Lorenzo Conte e Davide Barletti, il primo prodotto da Minimum Fax Media, che va in onda giovedì 14 dicembre su Sky Cinema Uno, alle ore 21.15.

Aspettando di tornare indietro nel tempo al 1975, per prendere parte alla guerra tra i signori di Francisco Marinho e i cafoni di Scaleno, abbiamo fatto due chiacchiere con l’autore. 

Da dove è nata l’idea del libro?
L’idea è nata da una serie di suggestioni legate alla mia infanzia e alle estati che trascorrevo in Salento da bambino. Lì ho vissuto fino a cinque anni e quando mi trasferii a Roma, iniziai a notare le differenze tra me, ragazzo di città, e i compagni che rivedevo ogni estate. Sentivo delle differenze tra me e quei ragazzi, figli di pescatori e contadini, fortemente legati alla terra. Loro avvertivano una separazione da me in termini sociali, culturali ed io da un punto di vista corporale. C’era come un divario tra noi, ma non ha mai portato a un vero conflitto come quello del libro, tuttavia ne è stato il motore. La guerra dei cafoni vuole mostrare non solo la fine della lotta di classe, ma di tutte quelle certezze che avevano caratterizzato la mia infanzia e che nel tempo sono sfumate.

 

Non sempre gli scrittori amano veder rimaneggiati i propri testi, invece so che per lei scrivere la sceneggiatura del film è stato un piacere…
Sono stato molto felice di essere coinvolto nel progetto di Conte e Barletti. Di solito i registi non amano collaborare con gli autori proprio per questa nostra tendenza a difendere i mondi immaginari che creiamo. Tuttavia, per me è stato un piacere e un privilegio lavorare con loro e poter raccontare due volte la stessa storia, traendo spunto dalla visione che ne avevano i registi.

 

Cosa si perde e cosa si guadagna con il passaggio dal libro al film?
Di guadagnato c’è sicuramente l’apertura di nuovi e più ampi orizzonti visivi. Nel libro le vicende si svolgono in un teatro chiuso, un villaggio diviso a metà, mentre i registi hanno dato alla storia una spazialità diversa, più naturale e selvaggia. L’elemento naturale fa da padrone e racconta una Puglia che non conoscevo fino in fondo. Nella trasposizione si è, però, perso l’elemento comico che invece è forte nel romanzo, forse perché la comicità è difficile da recitare e riprodurre, soprattutto per attori giovani ed esordienti. Nel film troviamo un’articolazione emotiva più strutturata.

 

'La guerra dei cafoni' è un romanzo e un film di formazione che racconta un’epoca che non c’è più, resa arcaica e favolistica delle ambientazioni brulle, dai paesaggi selvaggi e dall’assenza di figure adulte. Nel film sono appena accennati, ma gli anni 70 sono una scelta temporale non casuale. A suo parere, questa storia può essere vista e letta come ‘universale’ o risulta difficile slegarla dal background storico nel quale è stata concepita?

Nel romanzo ci sono molti più elementi caratteristici di quell’epoca, riferimenti, marche, espressioni che sono di difficile comprensione per un ragazzo di oggi. Nel film i riferimenti storici sono più rarefatti e la storia è percepibile come universale. Si tratta di un romanzo e un film di de-formazione perché racconta sì il passaggio all’età adulta, ma in modo inusuale, più vicino, secondo me, alla realtà. I protagonisti non acquisiscono certezze su chi sono o chi vogliono essere, ma passano da un orizzonte di certezze e punti di riferimento ad uno di dubbi. Un esempio evidente è il personaggio di Francisco Marinho che vede il mondo in bianco e nero, pensa che la guerra sia eterna, ma viene sconvolto dai sentimenti che, suo malgrado, inizia a provare per Mela. I sentimenti sono universali, così come il modo in cui condizionano il nostro modo di fare e ragionare.
 

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