In tourné con la 13a performance, dal titolo "Anelante", lo scatenato interprete di film, corti e azioni sceniche tra body art e teatro comico.
di Michele Sancisi
Impossibile definire il suo lavoro con le normali categorie di genere. Quello che Antonio Rezza (classe 1965) porta sulla scena, dopo averlo sperimentato su pellicola con una folgorante serie di cortometraggi e film ("Escoriandoli", "Confusus", tra i tanti) è un misto tra teatro, sport estremo, cinema, body art, provocazione sistuazionista e tentato suicidio dal vivo. Dentro e attorno a soprendenti macchine sceniche o "habitat" pericolosi, creati dalla sua storica partner artistica Flavia Mastrella, Rezza mette a dura prova il suo corpo e la sua voce, con matarone tanto massacranti quanto divertenti.
Accolto come sempre da una schiera di fans osannanti, spesso coinvolti nello show, il duo Rezza-Mastrella approda martedì 16 febbraio all'Elfo Puccini di Milano (fino al 28), una delle prime tappe di un lunga tournèe attraverso l'Italia. Il nuovo spettacolo, che segue il grande successo dei precedenti "7, 14, 21, 28" e "Fratto X" di 3 anni fa, mette in campo alcune novità, a partire dalla presenza in scena di altri 4 performer e dallo sdoganamento del nudo integrale, sia maschile che femminile.
In questa intervista esclusiva i due artisti enunciano alcuni aspetti provocatori della loro dimensione creativa e anticipano a Sky Mag anche un nuovo, shoccante progetto "cinematografico" rivolto al... futuro remoto.
Cosa significa il titolo "Anelante"? A che si anela nello spettacolo?
Antonio Rezza: E' un participio presente che ci rappresenta nella nostra natura di combattenti, di guerriglieri della scena.
Flavia Mastrella: Anelante è anche un eroe moderno, che brama, desidera.
Quale è l'oggetto del desiderio?
FM: L'oggetto del desiderio, come in tutti i nostri lavori, è il potere
AR: Ma non perchè lo desideriamo, perchè non riconosciamo l'esistenza del potere. Tutta la nostra poetica è contro il potere e contro la morte.
E' finita la serie dei titoli matematici o è solo sospesa?
FM: E' finita perchè siamo già stati tutti numeralizzati.
AR: "Anelante" inizia con delle formule matematiche, ma poi questo elemento viene abbandonato perchè lo spettacolo è venuto completamente diverso dal passato.
"Fratto X" è stato il maggior successo della vostra carriera finora, con tanto di Premio Ubu e Premio Hystrio. Ciò vi ha condizionato?
AR: Noi pensiamo che "Io" e "Pitecus" siano spettacoli molto più pericolosi di "Fratto X". Per noi non si può parlare di successo senza che nulla sia successo, come diceva Carmelo Bene. I premi ce li dovevano dare anni fa.
FM: Per noi i premi non significano nulla, poi erano premi alla carriera, non allo spettacolo.
Quale è l'idea di questo nuovo spettacolo e cosa ci sarà di nuovo per chi già vi conosce?
FM: C'è più gente, ci sono 5 persone in scena. A tratti il lavoro sembra un rito. Parla di attualità, parla di G.
G?
AR: G20, G7, G5, tutti i G della terra. C'è anche un funerale di G con un rito orgiastico.
FM: Insomma ci siamo presi parecchie libertà.
Ma si ride?
FM: Si ride tantissimo e la scena somiglia ad una schermata di computer, quindi si ride con l'estetica corrente.
Parlate della scenografia?
FM: Noi non la chiamiamo scenografia, perchè questo termine rievoca la morte del teatro. Noi la chiamiamo habitat, cioè un luogo da vivere. In questo caso è un muro ispirato anche ad "Alice nel paese delle meraviglie"
La locandina dello spettacolo dice "(mai) scritto da Antonio Rezza". Perché?
AR: Come la scenografia, anche la drammaturgia è bandita, perchè se un drammaturgo ipotizza tutto dello spettacolo questo sarà una cosa già finita, già morta. Io quando sono in scena finisco in spazi e situazioni che non prevedevo. Noi pensiamo che il teatro scritto sia una presa per il culo.
FM: Noi lavoriamo sull'esistente e sulla spontaneità.
Ma esiste uno script o uno storyboard dei vostri spettacoli?
AR: Come uno spartito musicale lo spettacolo è tutto scritto, ma solo alla fine, dopo che il corpo lo ha scritto. Io non mi metto seduto a scrivere per cercare l'effetto. A me non interessa l'effetto, ma la causa.
FM: "Anelante" lo abbiamo fatto con un metodo cinematografico. C'è una sorta di storyboard fotografico con annotazioni di movimenti, anche perchè stavolta in scena sono in tanti e dovevamo far fronte alla nuova situazione che ci siamo creati.
Antonio ti definisci un performer e non un attore, ti muovi molto in scena, fa molta fatica?
AR: Anche questo spettacolo è molto faticoso, mi sfinisco già durante le prove, quindi devo pensare più alla respirazione che a ottenere un certo effetto. Noi davvero non prevediamo quello che sarà il risultato finale. Lavoriamo su una completa sincerità e spontaneità.
Ci sono artisti o opere che vi ispirano o che sentite affini a voi nel cinema, nel teatro o nell'arte?
FM: Io dico i Fluxus e Guy Debord.
AR: Io, senza averlo letto, suppongo Antonin Artaud per l'intransigenza. Poi Fassbinder, Kubrick. Ma non è questione di influenze è questone di bellezza, che arriva e viene rimessa in circolo. Uno psichiatara americano diceva "il genio si alimenta da se", quindi può anche essere ignorante perchè è come una fonte di energia autoreferenziale.
Da qualche anno siete meno attivi nel cinema e più in teatro: scelta o necessità determinata da difficoltà produttive?
FM: Il cinema non lo facciamo più perchè non ha un futuro in Italia. E' dal 2002 che non facciamo un film ufficiale.
AR: Dopo un episodio di censura di un nostro film decidemmo di non fare più cinema di finzione. Abbiamo realizzato recentemente un documentario "Milano, via Padova", rifiutato dai festival ma da noi stessi distribuito in sale alternative con buoni riscontri di pubblico.
FM: Il film parla di razzismo in modo ironico e ha spiazzato tutti perchè non si capisce da che parte stiamo. C'è un buonismo imperante, ma noi siamo sempre cattivi.
Avete un pubblico di fans quasi da rocker, come mai secondo voi?
FM: Facciamo i prezzi per i gruppi più bassi del teatro italiano, i ragazzi possono permettersi di venire a vederci.
AR: Ma vengono anche genitori e nonni, siamo trasversali. Noi siamo i produtori di noi stessi e dobbiamo coltivare il nostro pubblico.
Sappiamo che provate a lungo, anche con il pubblico, cosa vi dà questo?
AR: E' importante soprattutto per il ritmo dello spettacolo, perchè misuriamo le reazioni del pubblico e quando lo spettacolo arriva al debutto è già rodato.
FM: Inoltre con il pubblico c'è sempre uno scambio di energia che ti aiuta anche durante le prove.
In "Anelante" il numero dei performer è aumentato, come ha cambiato il vostro metodo creativo?
AR: E' stato uno sviluppo naturale. Prima c'era solo Ivan Bellavista accanto a me, in questo spettacolo ci sarà ancora più fisicità, i corpi dei performers saranno ancora più esposti, anche nudi, maschi e femmine. E' l'elemento di maggiore novità.
FM: "Anelante" è ancora di più a cavallo tra arte figurativa, la performance e il rito, ma si svolge in teatro. Io faccio arte ma sto stretta nelle galerrie, insieme ad Antonio posso portare l'arte fuori dal sui contesto, come lui fa col teatro. La nostra è una reciproca contaminazione
E' vero che state girando un film inter-generazionale sul figlio di Rezza?
AR: Si. è un film su mio figlio Giordano, ne giriamo una scena ogni tanto da quando è nato, sette anni fa. Flavia è operatrice. Il progetto è quello di andare avanti fino alla morte di uno dei due. Se finisco prima io il film è finito, se finisce prima Flavia lo girerò io in autoscatto. Per ora sappiamo solo quale sarà l'ultima scena: io morto e Giordano che mi porta in braccio. Quindi io sarò il pirmo attore che recita da morto con la consepevolezza pianificata di poterlo e volerlo fare. Questo è il progetto. Le idee di solito per scaramanzia non si confidano, ma per rubarti un'idea del genere uno deve morire. E poi è rischiosa perchè potresti scoprire che sei più bravo da morto che da vivo.