L’arbitro di Paolo Zucca, tra mito e realtà

Cinema
Stefano Accorsi nei panni dell'arbitro Cruciani, detto Il Principe
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L’acclamato film del regista sardo, in onda su Sky Cinema Cult venerdì 19 settembre alle ore 21:00, è un racconto in bianco e nero di rara intensità. Leggi l’intervista e non mancare l’appuntamento

di Barbara Ferrara

“La prima scintilla è nata quando lessi una frase di Sant’Agostino: “Non disperare uno dei due ladroni fu salvato. Non ti illudere uno dei due ladroni fu dannato”, e seppi che era una delle frasi preferite da Samuel Beckett. All’epoca ero studente e stavo preparando un esame proprio su di lui. Decisi quindi di scrivere un racconto basato sui due ladroni: l’arbitro e il ladro di agnelli. In quel periodo stavo leggendo anche Osvaldo Soriano, giornalista e scrittore argentino che ha scritto, Il rigore più lungo del mondo, uno dei racconti più belli mai scritti sul calcio. L’ex calciatore racconta un calcio mitico, ambientato in Patagonia, in un luogo più immaginario che reale. Ed è nella sua Patagonia che ho visto la mia Sardegna. E’ a lui che mi sono ispirato”. E’ con queste parole che il regista sardo Paolo Zucca risponde alla domanda su come è nata l’idea del suo film L’arbitro, in onda su Sky Cinema Cult venerdì 19 settembre alle ore 21:00.

Il lungometraggio che vede Stefano Accorsi nei panni del protagonista e nel cast Geppi Cucciari, Jacopo Cullin e Benito Urgu, è figlio dell’omonimo corto vincitore nel 2009 del David di Donatello e del Premio Speciale della Giuria a Clermont-Ferrand. Novantasei minuti (90 più 6 di recupero come specifica lo stesso regista e la scheda tecnica del film), che tengono lo spettatore incollato allo schermo al pari di una partita di pallone.

Tre aggettivi che la descrivano e che descrivano il film.
Sarebbe un po’ la stessa cosa: nonostante i film siano fatti da decine di persone, per un mistero inspiegabile alla fine somigliano al regista in modo molto preciso. Dunque direi che L’arbitro è originale, brillante e sardo-internazionale.
Cosa c’è di sardo e cosa di internazionale?
Innanzitutto la trama che mette a confronto un campionato sardo di terza categoria e uno di alto. livello. Di internazionale c’è il linguaggio cinematografico che è comprensibile a tutti. Il film sta girando i festival di mezzo mondo, e dalla Corea al Messico, dalla Norvegia all’Australia e sono felice che sia molto apprezzato.
Un film che supera i confini, non solo geograficamente parlando.
Sì, uscirà prossimamente anche in Giappone peraltro con un titolo diverso che sarebbe la traduzione di una citazione di Albert Camus diversa da quella che ho usato all’inizio del film: “Tutto quello che so della vita l’ho imparato dal calcio”.
Come si intitolerà in giapponese?
“Non aspettate il giorno del giudizio perché esso si celebra ogni giorno”, ed è proprio questa scelta che mi fa capire quanto la pellicola sia stata profondamente compresa. L’idea del giorno del giudizio e dell’arbitro, che è insieme giudice e capro espiatorio, e in generale tutta la metafora che ha una base religiosa, è stata colta e valorizzata.
L’arbitro si nutre di generi molto diversi tra loro, dalla commedia al dramma, dal westner al musical, qual era l’intento?
La mescolanza di generi, di toni leggeri e drammatici, alti e bassi, l’oscillazione brutale tra un genere e l’altro, secondo me, dal punto di vista artistico e formale, è abbastanza originale nel panorama cinematografico.
Perché dal cortometraggio al film?
Il corto racconta gli ultimi quindici minuti del film: è la partita finale, con le stesse inquadrature. Si  capisce che l’arbitro viene spedito in Sardegna per punizione ma non sappiamo perché, non c’è una spiegazione chiara. Allo stesso modo c’è un personaggio che ruba un agnellino e poi viene ucciso dal derubato. Ci sono queste due piccole storie molto criptiche. Il titolo originario era “I due ladroni”, uno dei quali si salva e l’altro no. Il lungo è un prequel che racconta come quei personaggi sono arrivati a quella partita e perché.
Ha scelto l’uso del bianco e nero per rendere epico il racconto o per astrarsi dalla realtà?
Entrambe le cose, ma per astrarmi innanzitutto, volevo allontanarmi e creare un clima più da favola, e il bianco e nero, insieme all’ironia, è una delle armi più forti per prendere le distanze. Il bianco e nero eleva il tutto a un altro piano.
Progetti futuri?
Insieme a Barbara Alberti e Geppi Cucciari (entrambe co-sceneggiatrici) abbiamo scritto la sceneggiatura di un nuovo film: L’uomo che comprò la luna. La storia racconta del mistero di una persona che diventa proprietaria della luna e quella di un agente segreto americano che deve andare in Sardegna sotto mentite spoglie a risolvere il caso.
Ancora una volta la Sardegna a fare da sfondo?
Questa volta fa da scenario ma anche da tema. Perché il nostro eroe, per portare a termine la sua missione deve superare un training pratico, fisico e filosofico e trasformarsi in un vero sardo. Si tratta anche in questo caso di una commedia con improvvise sterzate verso il tragico, ancora più improvvise che ne L’arbitro.
Chi sarà il protagonista?
Ho pensato a Jacopo Cullin, il Matzutzi de L’arbitro perché oltre ad essere un attore straordinario parla perfettamente tre lingue (inglese, italiano e sardo), le stesse che il nostro agente segreto dovrà conoscere. Ma lui sa che questa parte dovrà conquistarla attraverso il provino più difficile della sua vita.
Se non avesse fatto il regista?
Avrei fatto l’architetto, di grandi strutture alla Renzo Paino intendo. Credo sia il mestiere più simile al regista: hai una possibilità di creatività illimitata che però deve confrontarsi con tutti i limiti fisici dello spazio, del denaro, del tempo così come il cinema.
Cosa fa nel tempo libero?
Da quando è nata mia figlia di quattro anni il tempo libero non ce l’ho più, faccio il regista di spot pubblicitari.

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