"Stanco di curare gente che non guariva, mi sono dato al cinema." Con queste parole, il laureato in psichiatria Dino Risi, nato a Milano il 23 dicembre del 1916, decise di abbandonare i suoi pazienti e di dedicarsi alla settima arte. E proprio in virtù di quella formazione scientifica, il suo sguardo fu sempre preciso e illuminante nel radiografare la società italiana. Diresse capolavori come Il Sorpasso, I mostri, Il Vedovo, In nome del popolo Italiano
di Paolo Nizza
Il 23 dicembre del 1916, nasceva a Milano Dino Risi. Il regista se ne sarebbe andato la mattina del 7 giugno del 2008. Risi, in seguito a un viaggio in Belgio, avrebbe voluto morire a Waterloo, folgorato da quella collinetta sul quale era stato edificato un monumento al leone di Britannia. Si spense invece in un appartamento del Residence Aldrovandi a Roma, nel quartiere Parioli. Ci viveva da 30 anni, consapevole che la morte quasi sempre arriva nel momento sbagliato pure se dichiarava: “Penso che bisognerebbe andarsene tutti a ottant'anni. Per legge.”
Nella sua autobiografia "I miei mostri" (Mondadori) scrisse di sé: "Sono stato stupido, infedele, bugiardo, vile, ipocrita, fatuo, furbo, vanesio, indecente, annoiato, triste, invidioso, disperato.”
Per tutti Dino Risi è stato il re della commedia all’italiana. Titolo impegnativo, persino pomposo, ma ineluttabilmente meritato. E pensare che all’arte cinematografica ci arrivò per caso, per fuggire dal manicomio di Voghera e da Villa Turro, clinica per malattie mentali in quel di Monza. Il camice da medico e psichiatra gli andava stretto. Amava dire: “Stanco di curare gente che non guariva mi sono dato al cinema.” Ma La conoscenza della mente e dei suoi labirinti gli permise di diagnosticare in anticipo il tumore celato tra le viscere dell’Italia del boom. Come disse Vittorio Gassman, con cui Risi lavorò in 16 film: "Dino ha un enorme senso della psicologia. È un'artista impressionista"
Risi e Gasmann si conobbero durante la lavorazione del film il mattatore
Su quel set nacque una lunga amicizia interrotta da un paio di burrascosi litigi.
Gassman con il consueto atteggiamento distaccato lo definì "un divertente filmetto da tre lire."Ma trent’anni dopo, in una lettera indirizzata a Dino, confesso: “Lavorando insieme non abbiamo mai avuto la sensazione di lavorare. All’impegno professionale sempre si sovrapponeva come la crema a un buon dolce bavarese, il gusto del gioco e dell’ironia, quel quid di garbatamente cinico e malandrino, che è stato sempre il tratto saliente della migliore commedia all’italiana.”.
Basti pensare a I Mostri, il. “Voi questo film ve lo andate a far finanziare da Palmiro Togliatti” tuonò Dino De Laurentiis. Sicché la pellicola la produsse Mario Cecchi Gori.
Diviso in 20 storie (ma ne erano previste 22: saltarono quella con Vittorio Gassman grande chirurgo e Ugo Tognazzi padre di una squillo), I mostri (suggellato dalla sbarazzina Samoa Tamoure di Armando Trovajoli) resta l’esempio più alto di commedia a episodi. Tognazzi chiese e ottenne un cachet più alto di Gassman, oltre ad avere la possibilità della prima scelta sugli sketch, in virtù di una temporanea assenza di Vittorio. Tuttavia , questo non impedì a Gassman di considerare I mostri uno dei suoi film preferiti: soprattutto l’ultimo episodio La nobile arte che definì “10 veri minuti di cinema notevole“.
Certo i boxeur , offesi dalla vita, perduti come bambini dietro un aquilone su una spiaggia d’inverno, hanno una tragica dignità sconosciuta ai tristi figuri che infestano le cronache dei nostri giorni. Si sa ogni epoca ha i mostri che si merita.
Cosi si ride di cuore di fronte a Il Vedovo con l’Ingegner Albero Nardi (un inarrivabile Alberto Sordi), imprenditore romano, vanesio e mitomane parcheggiato all’ombra della Torre Velasca, vessato dalla moglie Elvira Almiraghi (un'immensa Franca Valeri), donna d’affari avvezza ad apostrofarlo con “Ciao Cretinetti”. Ispirato al delitto Fenaroli, il film anticipa il gusto bitter della Milano Da bere che poi, negli anni a venire dirigerà tutto.
Profetica, e assai più lugubre pure la parabola di un altro ingegnere, quel Santenocito Lorenzo, nato a Trapani e residente a Roma protagonista di In nome del popolo italiano. Con il suo linguaggio aderenziale e desemplicato, l’imprenditore spiega al magistrato che nel big business in certi casi le belle ragazze hanno un loro peso specie se sono un po’ leggere. Insomma, stasera Escort. Ieri come oggi e probabilmente come domani.
E se La moglie del prete è un brioso divertissement che trasferisce l’attrazione fatale tra Sophia Loren e Marcello Mastroianni nel Veneto bianco e baciapile, Il sorpasso è un’ accelerata odissea nell’Italia lanciata verso l’abisso a bordo dell’Aurelia sport supercompressa e decappottabile, tra le tombe etrusche, il monte Fumaiolo, un clacson cafone e un “Guarda come dondolo.
L’idea a Risi venne in mente dopo un viaggio con un avvocato completamente svalvolato. "Eravamo partiti per comprare le sigarette a Lugano e mi sono ritrovato a pranzo con il principe del Liechtenstein."
Le riprese inziarono a Roma proprio il giorno di Ferragosto nel nascente e deserto quartiere della Balduina. Jean Louis Trintignant fu scelto a film iniziato, infatti nella prima inquadratura del Sorpasso il personaggio di Roberto Mariani è interpretato da una controfigura. In origine il protagonista avrebbe dovuto essere Alberto Sordi e la pellicola avrebbe dovuto concludersi con la morte di Bruno Cortona assassinato dal giovane Trintignant.
Ma in questa abbacinante estate all’inferno è ineluttabile che sopravviva il Virgilio cialtrone pronto a fulminare l’impacciato studente con “Ah Robbè, che te frega delle tristezze, lo sai qual è l'età più bella? Te lo dico io qual è. È quella che uno c'ha. Giorno per giorno. Fino a quanno schiatta se capisce.”
Eppure in Dino Risi (che di se stesso diceva: “ Una certa cialtronaggine…un certo vivere alla giornata è abbastanza nel mio carattere”) c'era qualcosa di Roberto Mariani. Tant’è che a proposito di Il giovedì, il film che chiude l’omaggio di Sky Cinema Classics, scrisse:
“Voglio molto bene a Il giovedì, un filmetto che non ha avuto fortuna. Eppure Chiari era giusto, ma c'era qualche cosa di strano tra Chiari e il cinematografo. È uno dei misteri del cinema: un attore che piace moltissimo a tre dimensioni e poi invece sullo schermo non passa. Io dico che è perché Chiari non ha occhi, ha come due buchi neri, e il cinema è fatto con gli occhi. “
Ecco, Dino Risi aveva l’occhio clinico per il cinema, perché amava guardare la vita, la sua e quella degli altri. E non temeva di osservarne la fine. Sarà per questo che la sua autobiografia finisce con queste parole:
“La morte, ha detto Saul Bellow sarà una Grande Noia. Non è vero, La morte sarà bellissima. E aggiungo, ricca di sorprese. “
Peccato che non le possa svelare attraverso una nuova commedia, magari non divina, ma mostruosamente umana.