Alessandra Ferri e il nuovo inizio a Vienna: “La danza diventa arte quando è verità”

Ha scritto la storia della danza degli ultimi 40 anni. Una carriera unica la sua che l’ha resa un’icona assoluta della danza nel mondo. Alessandra Ferri ha appena iniziato una nuova fase della sua vita. Dal 1° settembre dirige infatti il Wiener Staatsballett, la compagnia di balletto dell’Opera di Vienna, e anche l’Accademia di Balletto ad essa collegata. Un nuovo inizio e una prima volta per l’étoile che è stata Principal Dancer al Royal Ballet di Londra e all’American Ballet Theatre di New York, prima ballerina assoluta del Teatro alla Scala di Milano e che ha danzato in tutti i teatri più importanti al mondo lavorando con i più grandi coreografi. L’abbiamo raggiunta al telefono a ridosso di una prima tanto attesa di questa sua prima stagione come direttrice a Vienna: Kallirhoe, il balletto di Alexei Ratmansky in scena da stasera. La sua storia e carriera ha avuto tre città principali: Milano, Londra, New York. Vienna non ha fatto parte del suo percorso. È un nuovo inizio anche sotto questo aspetto, come sta andando? La città è talmente bella che si può solo amare. È veramente un luogo splendido da tutti i punti di vista e si vive molto bene perché è molto civile, ben organizzata, pulita. E poi il teatro è meraviglioso e la compagnia pure. Stiamo lavorando tantissimo e con grande entusiasmo, c’è una bella atmosfera. I danzatori sono tutti molto aperti a nuove frontiere e al lavoro che propongo perché comunque sono esigente ma vedo che loro sono anche molto contenti di avere qualcuno così esigente perché poi alla fine ti fa crescere no? Quando parla di nuove frontiere cosa intende? Intendo confrontarsi con lavori e coreografi nuovi. Ora stanno affrontando questa prima mastodontica della Kallirhoe di Alexei Ratmansky, poi nella stagione avremo Wayne McGregor, Twyla Tharp, Justin Peck. Per loro è una novità lavorare con alcuni di questi coreografi. Ma con nuove frontiere intendo anche proprio un modo di lavorare sulla qualità perché la compagnia cresce quando migliora la qualità del lavoro. È come quando in un'orchestra ti aspetti che suonino proprio nel modo richiesto. E quello che richiediamo ogni giorno è l'eccellenza perché è con l’eccellenza che si va in scena. Ha portato un team da fuori, ci sono anche ballerini nuovi che arrivano da altre compagnie. Come Madison Young, Antonio Casalinho e Margarita Fernandez dallo Staatsballet di Monaco, Cassandra Trenary dall’American Ballet Theatre, Rinaldo Venuti dalla Scala di Milano e Alessandro Frola da Amburgo. C'è stato un vero ricambio? Completamente sì. C’è stata come un’iniezione di nuova energia e di nuove ispirazioni. Ho portato nuovi maitre ma io non ho chiamato nessun danzatore, ho semplicemente ricevuto tante richieste e alcune le ho accettate. L’arrivo di nuovi artisti che rinnovano la compagnia è certamente uno stimolo per tutti. E poi, appena iniziato il mio mandato, ho promosso tre danzatori che secondo me meritavano di ballare di più: Timoor Afshar Principal Dancer, Sinthia Liz solista e Giorgio Fourés solista. Posso dire che l’atmosfera è davvero carica. Artisti che arrivano anche da mondi diversi… Diversissimi sì ma è stimolante. Io sono cresciuta all'American Ballet Theatre dove questo è normale, dove ci sono ballerini provenienti da tutto il mondo, da scuole completamente diverse e dove si impara moltissimo l'uno dall'altro. Avere una compagnia che è chiusa in se stessa, con artisti che hanno fatto percorsi simili, non è sempre positivo perché se da un lato si sviluppa uno stile dall’altro mancano gli stimoli. C’è una vera e propria contaminazione tra artisti diversi. Per esempio qui, a Vienna, ogni cast è completamente diverso anche proprio nell’approccio. Abbiamo avuto tre cast per Giselle a settembre e ora in questa Kallirhoe ne ho scelti quattro ed è bello sia per la compagnia che per il pubblico avere questa diversità. A proposito di Kallirhoe, Ratmansky è noto per le sue ricerche filologiche ma in questo caso si tratta di un balletto creato da zero. Che tipo di lavoro è? È un balletto enorme, con una storia interessante perché è la prima novella scritta dell’Antica Grecia di cui abbiamo testimonianza e a cui si ispirò William Shakespeare sia per Romeo & Juliet che per Winter's Tale. Quindi è una storia di amore e odio che un po' conosciamo. È un balletto veramente difficile per tutta la compagnia, ci vuole tutto l'impegno, tutta la tecnica e la concentrazione. Per cui è molto eccitante e per tutto il corpo di ballo è un bellissima opportunità per mettersi in mostra. Subito dopo Kallirhoe, a novembre, la compagnia andrà in scena con un capolavoro di Roland Petit: Il Pipistrello. Uno dei tanti balletti che le appartengono scelto anche alla luce del bicentenario di Strauss… Per me è un po’ difficile trovare balletti che non abbia mai danzato . Fortunatamente ho avuto una carriera così ricca e lunga che ho affrontato davvero tantissimi ruoli. La scelta de Il Pipistrello è abbastanza evidente visto che quest’anno cadono i 200 anni dalla nascita di Johann Strauss e ci sono tantissime celebrazioni ed eventi a Vienna. In più è un balletto bellissimo, di un coreografo che ho amato e che amo molto e che ha significato tanto per me. Che ricordo ha di Roland Petit? Era un uomo enorme. Quando entrava in sala era un gigante, un vulcano. Ricordo che quando provavo con lui, anche se pensavo di aver dato il massimo, in realtà ero sempre a metà strada perché lui si aspettava sempre molto di più. È uno stile molto difficile il suo, richiede una grande precisione tecnica senza possibilità di sbavature. Ogni passo è un tratto che può essere paragonato a quello di un pittore. Come Picasso che con due pennellate creava un viso. Per cui questa eleganza, questa sciccheria di Roland Petit non ammette sbavature ed è molto complicato per i danzatori. Cosa vorrebbe che passasse di più alla compagnia di tutta la sua esperienza? Vorrei riuscire a regalare a questi giovani ballerini un accesso a cos'è veramente l'arte della danza e del balletto. Attraverso la mia esperienza, attraverso i metodi che sto portando e attraverso tutto quello che posso dare vorrei aiutarli a capire dentro se stessi cosa vuol dire trasformare la danza, la tecnica in arte perché è solo così che manteniamo il balletto vivo e significativo in questo momento. E la danza diventa arte quando c'è della verità nel modo in cui la si affronta. Quando sul palco non si vede più la tecnica? Quando si balla con se stessi e non in maniera superficiale. Per questo cercherò di trasferire tutto quello che veramente volevano i coreografi con cui io stessa ho lavorato. Come Roland Petit, Kenneth MacMillan o Jerome Robbins. In una recente intervista mi disse che con il tempo ha imparato a gestire il non sentirsi mai all’altezza, a trasformare la fragilità in forza. Qual è oggi il consiglio umano, non tecnico, che vuole dare ai giovani danzatori della sua compagnia e della scuola che dirige? Di non scrutarsi sempre e di comprendere che il non sentirsi all’altezza è normale. Per cui non bisogna esser spaventati da questa sensazione che va invece trasformata in stimolo. Non bisogna avere paura ed è importante ricordarsi sempre la vera ragione per cui abbiamo tutti iniziato a ballare: l'amore e il desiderio di farlo. Non bisogna mai dimenticarlo. Nei momenti di stanchezza, quando ci si sente demoralizzati o quando si sente la pressione dobbiamo ricordarci che lo stiamo facendo per noi stessi, non per gli altri, non per il pubblico ma perché noi amiamo danzare.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Alessandra Ferri e il nuovo inizio a Vienna: “La danza diventa arte quando è verità”

Chiara Ribichini