Martina Arduino: “Il Boléro di Béjart è potenza, sensualità e magnetismo”

Tre capolavori del Novecento, tra cui un ritorno tanto atteso. Tre titoli che sono, ognuno a modo suo, un vero tributo all’arte della danza e alle sue molteplici forme di espressione. Dal 22 settembre al 3 ottobre al Teatro alla Scala di Milano è in scena un Trittico che riporta il Corpo di Ballo sul palco dopo la pausa estiva. Una serata che si apre con Études di Harald Lander, che torna al Piermarini dopo più di vent’anni. Una vera celebrazione del lavoro dei danzatori, un pezzo tecnicamente molto difficile che entusiasma e travolge il pubblico per i virtuosismi che si susseguono uno dopo l’altro e per la musica, l’arrangiamento e orchestrazione di Knudåge Riisager degli Studi per piano di Carl Czerny. Segue il raffinatissimo e intimo Petite Mort di Jiří Kylián, con i suoi splendidi passi a due che prendono vita su due dei concerti per pianoforte e orchestra più belli e famosi di Mozart . Chiusura con il trascinante Boléro di Maurice Béjart su musica di Ravel. Nel ruolo centrale, la Melodia, si alternano Roberto Bolle, Virna Toppi, Martina Arduino e Gioacchino Starace. Abbiamo incontrato Martina Arduino, prima ballerina, che sarà in scena in tutti e tre i pezzi. Torni sul tavolo rosso del Boléro di Bejart dopo qualche anno, cosa hai ritrovato e cosa hai scoperto di nuovo nell’affrontare un ruolo così unico? Sono veramente felice di riprendere in mano questo balletto, in sette anni è passato davvero di tutto. Sono cresciuta come artista e come persona per cui non vedevo l'ora di riaffacciarmi a questo capolavoro di Béjart con una maggiore maturità. Ed è un ruolo unico, è vero, ha una potenza e una grande difficoltà di testa perché la musica continua a ripetersi ma nel frattempo aumentano gli strumenti. Per cui c’è un crescendo e si entra quasi in un vortice in cui devi veramente restare concentrata su di te. È davvero complesso ma allo stesso tempo ti dà la possibilità di far uscire tutto, sia da un punto di vista fisico che da un punto di vista artistico. E la cosa bella è che ognuno può davvero interpretarlo in base alla propria personalità, al proprio carattere, al proprio modo di sentire, alla propria anima. Cosa rappresenta per te quel tavolo rosso? Rappresenta tutto quello che c’è dentro di me e ciò che voglio far vedere all’esterno. È come se ci fosse qualcosa che inizia a crescere dentro di me e che poi alla fine tiro fuori e mostro a tutti. Il mio mondo, la mia vita, qualcosa che in una prima parte vive solo in me e poi viene tirato fuori mentre il ritmo della musica cresce e travolge. E anche i danzatori che sono sul palcoscenico intorno al tavolo è come se venissero presi e portati dentro il mio mondo. Chi sale sul tavolo interpreta la Melodia, gli uomini intorno il Ritmo. Quanto è forte il legame con la musica? Fortissimo, credo sia forse la particolarità di questa coreografia perché c'è sempre un ritmo sotto che incalza dall'inizio alla fine, ma allo stesso tempo ci sono tantissime sfumature che il ballerino che è sul tavolo può dare. Per me la genialità di essere la Melodia è proprio questa, quella di poter dare colore e sfumature all’interno di un quadro le cui linee e confini sono sempre battuti e determinati dai ballerini intorno. Se i danzatori intorno sono infatti sempre forti e pungenti, chi è sul tavolo è potente certo ed è magnetico ma allo stesso tempo può essere morbido, sensuale e molto altro. A proposito di sensualità… il Boléro è legato a grandi nomi che hanno dato anche interpretazioni molto diverse. Alcune più viscerali e animalesche, altre più raffinate. A quale delle due sei più vicina? Non è semplice da dire. La prima volta che ho affrontato questo ruolo, sette anni fa, avevo guardato moltissimi video per farmi ispirare. Da Maya Plisetskaya a Jorge Donn, da Duska Sifnios a Luciana Savignano fino a Sylvie Guillem. Poi a un certo punto ho trovato la mia chiave. Io mi approccio sì in maniera sensuale ma per me la cosa più importante è essere magnetica, cioè far sì che tutti siano attratti, non si sa bene per quale motivo, da me. Quindi la mia “missione” è proprio quella di attirare tutti a me. Fisicamente quanto è sfiancante? È molto impegnativo perché continui sempre a fare queste flessioni sulle gambe, questi movimenti sempre molto pieni verso il basso e le gambe a un certo punto bruciano. Però, è strano da dire, ma in qualche modo questo bruciore aiuta a tirare fuori qualcosa che quando si è troppo freschi non riusciamo a esprimere. Quindi questa pesantezza muscolare è in realtà un aiuto. C’è un’altra coreografia che ruota intorno al concetto di sensualità in questa serata ed è Petite Mort di Jiří Kylián… Petite Mort è un altro capolavoro, un altro pezzo veramente unico perché si crea una magia in scena che secondo me trasporta lo spettatore in un mondo astratto in cui il tempo si ferma. Queste immagini meravigliose di gambe e braccia in contro luce, questo effetto del velo di seta che gli uomini correndo sollevano fa restare il pubblico sempre a bocca aperta. È una coreografia molto intima in cui, un po’ come accade nel Boléro, gli spettatori vengono trascinati in un’altra dimensione che si crea sulla scena. Vengono rapiti da questa raffinatezza e purezza coreografica. E poi la musica di Mozart su cui è stata costruita è qualcosa di sontuoso. Come il velluto. Sarai protagonista anche di Études che torna alla Scala dopo più di vent’anni di assenza. Una vera e propria celebrazione dell’arte della danza e della sua quotidianità. Una gioia pura per gli amanti del balletto, e non solo, piena però di insidie e difficoltà. Quali? Per me danzare Études è davvero un sogno. Fin da piccola ho sempre desiderato fare la variazione che ora affronterò per la prima volta. Certo il balletto è estremamente difficile perché dentro c’è davvero tutto, tutto il linguaggio accademico della danza. Dai primi passi alla sbarra fino a grandi salti e ai virtuosismi. È un’apoteosi della tecnica e c’è il nostro alfabeto al completo. E la cosa bella è poterlo mostrare semplicemente per quello che è, senza costruire storie. Essere solo noi che balliamo con il nostro linguaggio. Come il Boléro anche qui c’è un crescendo: partiamo dalla sbarra e dai primi esercizi per arrivare ai manège, ai tour en l'air, un vero tripudio di difficoltà anche perché vengono affrontate insieme. Ci sono, ad esempio, otto ballerine che devono fare insieme i fouettés, non ognuna con il proprio tempo come sempre accade, ma tutte insieme. Ecco questo è davvero molto complicato. E, un po’ come accade in Boléro e in Petite Mort anche qui è un po’ come prendere lo spettatore e portarlo nel nostro mondo. In questo caso nel nostro quotidiano fatto di lezioni, punte, salti e pirouette.

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Chiara Ribichini