Perché Giorgio Armani è Milano: il rapporto dello stilista con la città

"Milano è il centro del mio mondo, mi ispira da sempre", diceva Giorgio Armani. Non era una frase da ufficio stampa, ma una verità biografica. Nato a Piacenza nel 1934, arrivò a Milano adolescente, nel Dopoguerra. La città, segnata dalle macerie, stava già mostrando quella capacità unica di rialzarsi. Armani frequentò il liceo Leonardo da Vinci, si iscrisse a Medicina, ma capì presto che la sua strada era altrove. Alla Rinascente, dove lavorò come vetrinista e compratore, imparò a osservare la gente e le cose con precisione: guardava i materiali, i colori, i modi di muoversi dei milanesi. In quelle vetrine capì che la discrezione poteva diventare stile. Negli anni sintetizzò così lo spirito della città: "Discrezione, disciplina, dovere". Tre parole che descrivono tanto Milano quanto il suo stile. La trasformazione di una città Milano, negli anni Sessanta e Settanta, passava dall’essere capitale industriale a capitale creativa. Nascevano i primi grandi studi di design, si consolidava il Salone del Mobile, la moda iniziava a trovare nella città la sua piattaforma naturale. Armani fu protagonista di questa metamorfosi. Dopo l’esperienza con Nino Cerruti, nel 1975 fondò con Sergio Galeotti la sua maison, proprio a Milano. La giacca destrutturata, le palette neutre, i tessuti morbidi: un codice estetico che parlava di sobrietà e modernità. Non solo moda, ma un modo di interpretare la vita urbana. Nel 1982 fu il primo stilista italiano sulla copertina di Time: Milano, grazie a lui, diventava sinonimo di stile globale. Mentre Versace incarnava l’opulenza e Ferré l’architettura della moda, Armani era la via milanese: misura, rigore, eleganza senza clamore. Via Borgonuovo e la città discreta Il suo quartier generale storico fu Palazzo Orsini in via Borgonuovo, un edificio settecentesco trasformato in residenza e atelier couture. Dietro il portone austero si celavano cortili e giardini segreti: un rifugio che incarnava la Milano elegante e silenziosa che Armani amava. Pochi isolati più in là, la prima boutique in via Sant’Andrea e il palazzo di via Manzoni con hotel, ristorante Nobu e flagship store: luoghi che hanno fatto di Brera e del Quadrilatero un’estensione naturale del “mondo Armani”. Milano non era solo sede, ma materia viva della sua estetica. Il distretto Tortona e i regali alla città Negli anni Duemila Armani guardò altrove: la zona di via Bergognone, ex area industriale. Qui chiamò Tadao Andō a progettare il Teatro Armani, spazio di sfilate essenziale e visionario, poi aperto al pubblico come centro espositivo. Poco più in là, nel 2015, inaugurò l’Armani/Silos: un ex magazzino granario riconvertito in museo della maison. Quattro piani di collezioni iconiche raccontano la filosofia di Armani in un allestimento rigoroso e calmo. Non era solo autocelebrazione: era un gesto verso Milano, un nuovo luogo di cultura in un quartiere rinato. "Un regalo alla mia città", disse. Armani e La Scala Il rapporto con Milano passava anche dal suo teatro più celebre: la Scala. Armani ha vestito artisti, ospiti e personalità per serate di gala, contribuendo con la sua estetica alla solennità delle prime. Nei primi anni Duemila sostenne economicamente il teatro durante i lavori di restauro, affiancando i grandi mecenati cittadini. Per lui la Scala rappresentava la Milano internazionale, capace di parlare al mondo con musica e bellezza. Lo si vedeva spesso in platea, discreto e puntuale, nelle sere inaugurali di Sant’Ambrogio. La stessa compostezza che portava nella moda si rifletteva nel suo modo di vivere il teatro: non clamore, ma rispetto e partecipazione. Made in Milan, un film su Armani e la sua città Quanto Armani fosse Milano era certezza globale. Nel 1990 Martin Scorsese girò Made in Milan, un documentario di venti minuti che resta uno dei ritratti più autentici dello stilista. Tra immagini dell’atelier e scorci cittadini, Armani racconta infanzia e amore per Milano. "È una città che ti lascia spazio se hai qualcosa da dire", dice nella voce fuori campo. Non è solo un omaggio a un creatore di moda, ma anche un ritratto di Milano attraverso i suoi occhi: rigorosa, operosa, elegante senza clamore. Il Duomo, Brera ed Expo: la Milano globale di Armani Milano per Armani non era solo il luogo del lavoro, ma anche uno scenario da raccontare. Il Duomo, con la sua imponenza gotica, era il simbolo della città internazionale che amava mostrare agli ospiti stranieri: non a caso nel 2015, per i 40 anni della maison e in pieno Expo, organizzò una sfilata-evento a pochi passi dalla cattedrale, trasformando la città in passerella globale. Il quartiere di Brera, con Palazzo Orsini, i cortili nascosti e le gallerie d’arte, era invece il suo rifugio quotidiano, il luogo dove il suo stile sobrio e misurato trovava naturale eco. E l’Expo 2015 fu l’occasione in cui Armani e Milano si fusero ancora di più: mentre la città accoglieva il mondo, lo stilista apriva l’Armani/Silos, offrendo ai visitatori un museo della moda ma soprattutto un atto d’amore verso la sua città. Un cittadino tra sport e solidarietà Milano ha conosciuto Armani anche come patron sportivo. Nel 2004, quando l’Olimpia Milano rischiava il tracollo, decise di intervenire. Prima sponsor, poi proprietario, salvò la squadra di basket simbolo della città. La riportò ai vertici, investendo energie e risorse per ridarle dignità. Per lui non era marketing: "Un atto d’amore", spiegò. La solidarietà ha attraversato tutta la sua vita. Ha sostenuto l’Opera San Francesco per i Poveri, ha donato milioni agli ospedali durante la pandemia, ha convertito le sue fabbriche per produrre camici e dispositivi di protezione. Nel dicembre 2020, quando Milano tremava, tappezzò la città di manifesti con una frase semplice e potente: "Io ci sono per Milano, con i milanesi. Con sentimento. Giorgio Armani". Un simbolo reciproco Armani è stato ambasciatore di Milano nel mondo. Ogni sfilata alla Fashion Week rafforzava il ruolo della città come capitale della moda. Ogni boutique aperta a New York, Tokyo, Dubai portava con sé l’immagine di un’eleganza “milanese”: sobria, rigorosa, sofisticata. Milano, a sua volta, lo ha celebrato con premi e riconoscimenti: dall’Ambrogino d’oro alla laurea honoris causa al Politecnico, fino all’Accademia di Brera. Nel 2015, anno dell’Expo e del 40° anniversario della maison, la città lo ha festeggiato con mostre e retrospettive, e lui ha risposto aprendo il Silos. "Amo Milano, una città grande e generosa che anche quando trema non si lascia travolgere" , disse Armani durante la pandemia. È la frase che meglio descrive questo legame. Milano lo ha accolto, formato, ispirato. Lui l’ha resa icona internazionale di eleganza, restituendole amore nei momenti difficili. Oggi che Giorgio Armani non c’è più, resta un’evidenza: Milano e Armani si somigliano. Entrambi sobri, disciplinati, mai arrendevoli. Milano è Armani. Armani è Milano.

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Giuditta Avellina