Sergio Bernal: “Davanti a Baryshnikov mi sono sentito Billy Elliot nella scena finale”

Sul palco sa infiammare il pubblico con il suo flamenco travolgente ma anche emozionare con assoli più intimi e contemporanei. Sergio Bernal è un danzatore quasi unico al mondo perché riesce ad unire due anime: è infatti bailaor di flamenco e bailarín classico. Sangue spagnolo, da anni si esibisce in Italia beniamino dei gala Les Étoiles di Daniele Cipriani e di Las Estrellas ed è ora nel pieno di un tour tutto italiano con la sua Sergio Bernal Dance Company, dopo una tournée negli Stati Uniti e in Francia, in cui sta presentando due spettacoli firmati da lui stesso insieme a Ricardo Cue : SeR e Una Noche con Sergio Bernal. Con quest'ultimo titolo approderà per un'unica serata evento, il 27 marzo alle ore 21, a La Nuvola dell'Eur. Una storia, quella di Sergio Bernal, iniziata in un piccolo quartiere di Madrid quando, ancora bambino, vide il film Billy Elliot, come racconta a Sky Tg24. Partiamo dallo spettacolo Una Noche con Sergio Bernal che in questi giorni stai portando in scena al Teatro Massimo di Palermo e che il 27 marzo arriverà anche a Roma, come è nato? Nel 2019 mi avevano chiamato a un festival a Sochi, in Russia, e chiesto di portare la danza spagnola e il flamenco. Quindi abbiamo messo su questo spettacolo con la mia compagnia che vuole essere un po’ un viaggio in tutto il repertorio e la tradizione della danza spagnola. Ci sono così coreografie del leggendario Antonio El Bailarín ma anche il Bolero di Ravel che abbiamo immaginato in modo più contemporaneo omaggiando due celebri versioni: quella di Maurice Béjart e quella di Rafael Aguilar, coreografo molto importante della danza spagnola. Non solo danza spagnola però. Ci sono anche dei pezzi nuovi, delle creazioni mie o di altri. Come El Cisne di Riccardo Cue che è un assolo molto più vicino al balletto classico. Un pezzo molto intimo che ho portato spesso anche nei Gala Les Étoiles di Daniele Cipriani. Uno spettacolo che rispecchia le tue due anime… Sì, per me la danza è una, perché in fondo si tratta sempre di movimento. Ciò che fa la differenza sono le emozioni. Così in questo spettacolo il pubblico può vedere stili differenti e sentire emozioni molteplici. È sulle sensazioni che si possono mettere accenti diversi. Quali danzatori hai accanto per questo viaggio nella danza spagnola? Sul palco con me c’è Carlo Romero, danzatore spagnolo di Cataluña molto bravo e anche molto simile a me proprio perché abbiamo la stessa altezza e lo stesso modo di ballare, e poi c'è Cristina Cazorla, una ballerina esperta della scuola bolera. Con noi ci sono anche tre bravissimi musicisti che suonano dal vivo: il chitarrista Daniel Jurado, il percussionista Javier Valdunciel e la cantaora Paz de Manuel. I pezzi di flamenco hanno sempre musicisti dal vivo perché alla fine è quello che fa la differenza. Il flamenco si fa dal vivo, nasce da una connessione tra musicisti e danzatori. C’è un altro spettacolo sempre in questo tour, che dopo Trieste porterai in scena a Bologna il 20 e 21 marzo al Teatro Comunale Nouveau. Si intitola SeR, come l’inizio del tuo nome. È qualcosa di autobiografico? Sì, sono un po' le mie iniziali ma è anche il verbo essere in spagnolo. È uno spettacolo nato in pandemia quando io, come tutti, ho vissuto in lockdown. Chiuso in casa ho avuto tutto il tempo per pensare, per capire, per vedere chi ero. Per sentire quali sono le emozioni che ho vissuto nella vita e che mi hanno fatto diventare il Sergio che sono oggi. Io ho iniziato con il flamenco, poi ho conosciuto la danza spagnola e ancora dopo la danza classica fino ad avvicinarmi anche a uno stile più moderno e contemporaneo. In questo spettacolo ho voluto metter dentro tutto e ho usato anche la musica pop. C’è, ad esempio, un pezzo su musica di Beyoncé. L’ho scelta per avvicinare i giovani e le persone che di solito non vanno a teatro perché credo che, sentendo qualcosa che per loro è familiare, possano essere facilitati a comprendere quello che stanno vedendo e a scoprire altre emozioni. Ad affiancarti in questo caso c’è una danzatrice classica… Sì, Anna Sophia Scheller ed è un piacere ballare con lei perché è una stella della danza classica. Starle accanto mi fa crescere perché mi permette di lavorare su cose diverse dalla danza spagnola. Per me la mia carriera deve essere questo: imparare qualcosa di nuovo ogni volta che faccio un nuovo spettacolo. A proposito di crescita, quali sono stati i tuoi modelli quando eri un bambino? Tutto è iniziato con Billy Elliot. È stato il bambino protagonista del film a farmi capire che nella vita avrei voluto fare esattamente questo: diventare un danzatore. Quando ho iniziato a ballare non sapevo cosa fosse veramente la danza. O meglio, non pensavo si potesse vivere di danza. Mia mamma mi aveva portato in una scuola di flamenco, nel piccolo quartiere della mia città, Madrid, in cui abitavamo ma non sapevo nulla. Per cui quando ho visto questa pellicola ho capito che ballare non significava solo stare sul palco, provare emozioni e fare cose belle ma poteva anche essere un lavoro, una carriera. E ho pensato che io avrei voluto fare esattamente come Billy. Che quella era la vita che volevo. Quanti anni avevi? Ero un bambino proprio come lui, avevo forse 7 anni. Così, da quella piccola scuola amatoriale, sono andato al conservatorio a Madrid, un ambiente professionale in cui ho potuto studiare non solo il flamenco ma anche la danza classica. La mia carriera è iniziata da lì. Ho sempre avuto queste due anime e anche da bambino guardavo sia icone del balletto classico, come Rudolf Nureyev o Mikhail Baryshnikov, sia grandi interpreti della danza spagnola come Joaquín Cortés, o Antonio Gades. Sei di recente stato in tour negli Stati Uniti, hai mai incontrato Mikhail Baryshnikov? Sì, non adesso ma ho avuto l'opportunità di conoscerlo nel 2022. Eravamo andati a New York per fare uno showcase, per fare conoscere la compagnia e parlare con diversi distributori e promotori. Lui è venuto a vedere proprio questo showcase ed è stato uno dei momenti più incredibili della mia vita. Quando ho finito di danzare si è alzato, è venuto al centro della sala e mi ha detto: “Sergio grazie per avermi regalato tutte queste emozioni che hai preso dalla danza spagnola e dal flamenco che io adoro, mi hai dato qualcosa di speciale”. L’ho abbracciato, poi, rientrato nel camerino, ho iniziato a piangere. Mi sono sentito davvero come Billy Elliot nella scena finale del film, quando entra sul palco vestito da cigno, uno dei cigni della celebre versione di Swan Lake firmata da Matthew Bourne. Quello è il momento in cui Billy realizza di avercela fatta, di esser diventato il danzatore che avrebbe voluto essere, di aver realizzato il suo sogno. Ci sono stati altri momenti così significativi nella tua vita e carriera? Tanti, ti racconto l’ultimo. Pochi giorni fa siamo stati a Modena con il tour e dopo lo spettacolo siamo andati a cena con tutta la compagnia. A un certo punto si è avvicinata una donna con il figlio, erano venuti a teatro a vederci. Un bimbo piccolo, forse cinque o sei anni, con gli occhi grandi e azzurri. La mamma mi ha chiesto una foto con lui perché era rimasto molto colpito dallo spettacolo. Mi sono messo in ginocchio accanto a lui per avere la sua stessa altezza nella foto. Lui mi ha guardato e mi ha detto: “Un giorno vorrei salire sul palco anche io per fare quello che fai tu”. Ho pensato che tra vent’anni, qualunque cosa farà nella vita, questo bambino si ricorderà di questo momento con me. Per me questo conta più ogni altra cosa. Ed è questo il privilegio degli artisti, quello di regalare emozioni.

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