Stories, "Giovanni Veronesi - Cinema, amore e fantasia". VIDEO

Spettacolo

Tra cinema, amore e fantasia, lo sceneggiatore, regista e attore si racconta al vicedirettore di Sky Tg24 Omar Schillaci nella nuova puntata del ciclo di interviste dedicate ai protagonisti dello spettacolo

È Giovanni Veronesi il protagonista della nuova puntata di “Stories”, il ciclo di interviste ai principali interpreti dello spettacolo di Sky TG24. Ospite del vicedirettore della testata Omar Schillaci, con la regia di Paolo Bonfadini, il regista e sceneggiatore si racconta in “Giovanni Veronesi – Cinema, amore e fantasia”. In onda lunedì 30 dicembre alle 21:00 su Sky TG24, sabato 4 gennaio alle 12:30 su Sky Arte e sempre disponibile On Demand.   

Dal 21 ottobre in sala con il suo primo documentario, ‘La Valanga Azzurra’ che ripercorre l’incredibile parabola vincente della nazionale italiana di sci alpino degli anni ’70. Quella squadra “era quasi scambiata dagli spettatori per una squadra di calcio, dato che in quel team c'erano 10 atleti che erano capaci, se andavano bene quel giorno, di occupare le prime dieci posizioni in classifica”.  E lo fa attraverso lo sguardo appassionato di chi sugli sci ha passato tutta la sua giovinezza: “In realtà io sono uno sciatore fallito. Sono uno di quelli che ci ha provato ma, per sfortuna o perché comunque ero una pippa, non ce l’ho fatta. Diciamo che ero il più scarso tra i più forti”. Un progetto diverso rispetto al solito, ma che “è stata la cosa più libera che ho fatto in vita mia. Bisogna davvero essere liberi e bisogna veramente avere passione per quello sport, non avrei mai speso tutto questo tempo per realizzare un documentario su un altro sport” ha raccontato.

La storia di Giovanni Veronesi inizia a Prato dove viveva con i genitori e il fratello Sandro. “Ero un bambino delicatino, mingherlino, vomitavo sempre” per i lunghi tornati che lo guidavano verso le piste. “A mio padre piaceva questo fatto che vincevo le gare, quindi mi portava, era abbastanza orgoglioso. A mia madre non fregava niente, si preoccupava sempre che mangiassi” ha scherzato. Gli anni della scuola non sono stati entusiasmanti, “ero bravissimo a copiare” ha raccontato, tanto che “in molti dicono ‘ ah se tornassi indietro…vorrei tornare tempo di liceo’. Niente, io proprio non ci vorrei tornare indietro. Mio fratello era decisamente più bravo, era già un letterato al liceo”. Poi la magia del cinema che invece gli ha dato la libertà di esprimersi e che a suo dire utilizza proprio come una terapia: “Ho usato il cinema come tanti usano lo psicanalista, con la differenza che chi va dallo psicanalista paga per dire le stesse cose che dico io essendo pagato” ha confessato con la sua sottile ironia. Tante le collaborazioni nella sua lunga carriera, anche con artisti internazionali, come una giovanissima Penelope Cruz, scelta per interpretare Maria in una delle sue primissime pellicole, ‘Per amore, solo per amore’: “L’avevo vista in ‘Jamón jamón’, con Bardem, molto giovane, e c'era una scena di sesso su un flipper, dove Bardem la possedeva. Dopo che ho visto quella scena, così forte, così importante, ho visto anche la delicatezza con cui lei in qualche modo si faceva possedere da quest'uomo molto corpulento. Così ho pensato ‘Se è stata così delicata in una scena così forte, chissà quanto sarebbe stata aggraziata nel ruolo di Maria”’. Il grande successo arriverà però grazie al sodalizio artistico con Leonardo Pieraccioni, sugellato da un film come ‘Il ciclone’, diventato pietra miliare della commedia italiana: “Pieraccioni venne a casa mia a cena e mi disse ‘Ho pensato una storia ambientata al tempo di guerra in un casolare’ e gli dico ‘Perché al tempo di guerra?’ E lui ‘Vabbè no, facciamola oggi allora’. Poi dice ‘Ci sono delle ballerine che arrivano dentro questo casolare…’ ‘Ballerine di?’ gli dico io? E lui dice ‘Ballerine… così… di danza, sai, belle, aggraziate...’ Io dico ‘Flamenco’ e lui ‘E vabbè, facciamo flamenco’. È stato tutto molto, molto casuale. Poi ci siamo messi a scrivere la sceneggiatura in un residence dove se alzavamo la serranda c'era un muro. Un luogo di grande ispirazione” ha scherzato. “Abbiamo scritto sto copione in un mese e poi l'abbiamo portato a Cecchi Gori e quando siamo tornati per il responso ha detto ‘Madonna quanto si ride in questo film’”. Ma tra le grandi collaborazioni, è impossibile però dimenticare Francesco Nuti, con cui il regista sente ancora un estremo attaccamento: “È un pezzo di me, del mio cuore, della mia vita” ha ammesso commosso. “Francesco Nuti è mio fratello. Quello che ha avuto il coraggio di impormi, di farmi diventare il suo sceneggiatore, di farmi scrivere le storie, Francesco, era per me fonte di grande amore. Lo amavo proprio e sentivo battere il cuore quando lo vedevo. Anche quando stava male andavo a trovarlo in clinica che ormai non comunicava più. Se c’è una cosa che mi manca nella vita è proprio Francesco”. Tra i grandi attori che ha avuto la fortuna di dirigere non mancano grandi star internazionali, come David Bowie ne ‘Il mio west’, che ha trovato, senza molti giri di parole “antipatico. Bravo, ma antipatico. Però era il mio mito e come accade spesso quando conosci persone che tu hai mitizzato, un pochino rimani deluso. In questo caso totalmente deluso perché è stato di un'antipatia incredibile, parlava solo di morte” o ancora Robert De Niro. “Lui invece era molto simpatico, tutte le sere veniva a casa mia. Una volta gli feci una domanda da fan perché non riuscivo più a trattenermi e gli chiesi ‘Ma in ‘Toro scatenato’, in cui hai preso 26 kg in così poco tempo, come hai fatto? Cosa ti ha spinto? E io mi aspettavo una risposta da attore, una roba tipo ‘metodo Stanislavskij, actor studio…’ Sapete cosa mi ha risposto? ‘Se non lo facevo io lo faceva Al Pacino”. Nella lunga intervista c’è anche spazio per parlare della compagna di una vita, Valeria Solarino, di cui ammette che “è molto più intelligente di me, mi ha sopportato. Le uniche tre volte che abbiamo litigato nella nostra vita è stata per colpa mia, perché io sono un po' più egocentrico. Essendo lei l'attrice dovrebbe esserlo lei… È una persona che si vede che mi vuole tanto bene, ecco io me ne accorgo quando mi sta vicino, che mi vuole veramente bene” e della grande stima per suo fratello Sandro: “Io non riuscirei mai a scrivere un romanzo, lui ci mette anni, ha una cura maniacale per le parole. La mia scrittura è molto più tecnica. Mio fratello è un vero scrittore, un letterato, due volte Premio Strega… Secondo me in Italia lascerà il segno nella letteratura” ha concluso. 

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