Il presidente della federazione dello spettacolo dal vivo parla delle prospettive dei teatri italiani nel 2021.
Dove può esserci Teatro quando i teatri sono chiusi? Cos’è un attore teatrale quando la sua persona diventa un personaggio digitale? Sono queste alcune delle domande che gli artisti si pongono durante l’emergenza virus (LO SPECIALE). Insieme ai tecnici e a tutti coloro che lavorano in quel mondo le domande riguardano anche le gravi difficoltà economiche legate alla quasi totale inattività forzata. Su progetti e speranze per il 2021 abbiamo parlato con Filippo Fonsatti, presidente di Federvivo, la federazione dello spettacolo dal vivo, organismo di rappresentanza di ventuno associazioni di categoria e centinaia di istituzioni e imprese di lirica, prosa, musica, danza. Fonsatti è anche direttore dello Stabile di Torino-Teatro Nazionale e presidente del conservatorio statale di Musica “G. Verdi” di Torino.
Qual è per il teatro la prospettiva 2021?
“La prospettiva è incerta, in Italia come negli altri Paesi europei. La speranza, con un po’ di ottimismo, è che alla scadenza del DPCM vigente, cioè il 16 gennaio, i teatri possano riaprire, ovviamente in sicurezza. Noi ci faremo trovare pronti. Lo Stato è intervenuto massicciamente con risorse e norme per sostenere questa fase di emergenza e il riavvio. Ora aspettiamo un avviso di ripresa delle attività e debbo dire che ci aspetta comunque un percorso lungo e faticoso per ristabilire la sostenibilità economica, soprattutto per i teatri privati, che risentono molto di più dei condizionamenti del mercato.”
Aspettando la riapertura al pubblico, nei teatri si può comunque lavorare. Cosa sta succedendo su quei palcoscenici?
“Porto un esempio personale: nello Stabile di Torino, il teatro che dirigo pro tempore, abbiamo tre produzioni in corso. Ci sono prove di spettacoli che debutteranno nel 2021, quindi ci stiamo portando avanti. Poi abbiamo due realizzazioni video: un documentario e una produzione che andrà poi in streaming. Il 2020 ha reso evidente il divario digitale di tutto il comparto dello spettacolo dal vivo e il vuoto tecnologico che dobbiamo colmare. L’idea del ministro di realizzare una piattaforma multicanale per trasmettere produzioni dal vivo di prosa, opera, documentari dei musei, è uno stimolo per fare investimenti e migliorare la nostra competitività digitale.
La crisi profonda derivata dalla pandemia ha insegnato qualcosa agli operatori teatrali?
“Ci ha insegnato che occorre differenziare la nostra capacità di incontro con il pubblico. Ovviamente confidiamo che si possa ristabilire la fruizione comunitaria, che è il senso dello spettacolo dal vivo. L’energia empatica che si stabilisce tra palcoscenico e platea è impossibile da ricostruire attraverso un ambiente digitale, ha bisogno di presenza. Nello stesso tempo però dobbiamo mettere in conto nuovi modi per svolgere la nostra funzione di pubblica utilità. Credo che dovremmo far tesoro di questa esperienza, cambiare in fretta il nostro assetto organizzativo e la nostra capacità produttiva. Credo anche che cadrà il paradigma della stagione: dovremo far teatro, musica, lirica e danza quando sarà possibile farlo, quindi anche a luglio e agosto. Quello che è accaduto ci insegna che dovremo usare ogni momento utile per riaprire i nostri teatri e alzare i nostri sipari. Lo stabile di Torino lo ha fatto l’estate scorsa e posso assicurare che il pubblico aveva voglia di ritrovarsi per condividere un’esperienza teatrale. Credo che questa tendenza si imporrà, come già accade in buona parte dell’Europa del Nord. Avremo così anche una continuità di creazione, produzione e reddito per gli artisti. La preoccupazione primaria di noi operatori culturali deve essere quella di garantire sostenibilità economica, continuità alle imprese, ma soprattutto agli artisti: teatro, musica, lirica e danza non possono esistere senza gli artisti. Il Governo e il Parlamento hanno introdotto strumenti di ammortizzazione sociale e sostegno al reddito degli artisti: non era mai accaduto nella storia della Repubblica Italiana, ma c’è una vulnerabilità tipica, dovuta alla atipicità, alla intermittenza, alla precarietà del lavoro d’artista. Sono state depositate in Parlamento tre proposte di legge che intendono regolamentare il tema della intermittenza del lavoro nell’ambito dello spettacolo dal vivo, consolidando meccanismi di sostegno nei periodi di non lavoro: non di disoccupazione, ma di non lavoro, istituendo una sorta di albo professionale che garantisca appunto la professionalità di questa categoria di lavoratori.”
Lei crede che dopo la pandemia il teatro cambierà anche nei lavori che saranno rappresentati?
“Indubbiamente ci sarà una ricaduta anche nel repertorio. Recentemente ho parlato con un giovane regista chiamato per una produzione per il prossimo festival di Spoleto. Mi diceva di voler cambiare il titolo dello spettacolo per essere più allineato con questi tempi. In generale non ci saranno spettacoli estremamente tragici oppure comici, per curare la ferita ancora aperta, ma qualcosa di sintonizzato con il trauma che stiamo vivendo, con l’intensità emotiva che ha colpito la società in ogni suo ambito. Credo che gli artisti sapranno metabolizzare ciò che è accaduto, trarne ispirazione e attivare quel meccanismo di elaborazione collettiva del lutto per superare assieme questa fase così buia e triste. Vorrei che fosse chiaro che a teatro ci si può anche divertire, ma non è questo il nostro obiettivo, che è invece quello di formare una coscienza culturale, rafforzare la coesione sociale e in qualche modo anche la consapevolezza di cittadinanza. Non è una questione di registro comico o tragico, ma di livello artistico. Noi facciamo teatro d’arte, che implica un rischio culturale. Per questo siamo sostenuti con denaro pubblico, sia i teatri pubblici che quelli privati.”