Da Flaminio a Prati: viaggio nel nuovo film di Moretti

Spettacolo

Paolo Di Paolo

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La Gianicolense, i vecchi tram, i lampioncini liberty, il Ponte Bianco, l'alimentari in via dei Colli Portunesi, il Capranichetta a Montecitorio: in un libro Di Paolo e Biferali raccontano la Roma del cineasta, a cominciare dal set di Mia madre. ESTRATTO

È quasi innaturale accostare senza una ragione precisa questo vasto condominio dell’attesa, presidiato dai pini, che quasi lo schermano, lungo un tratto di circonvallazione Gianicolense. Venne su negli anni del fascismo, una lapide all’interno ricorda che fu edificato in ventiquattro mesi per volere di Mussolini e per via della furiosa epidemia di spagnola.
Il corpo centrale dell’ospedale San Camillo-Forlanini, con i suoi toni fra arancio e rosa, le torrette e i lampioncini liberty rimanda subito a quei tardi anni Venti. La luce al neon lungo i corridoi riaggancia al presente, così come l’aria concentrata, tesa, anche stravolta, di chi entra o esce, senza guardarsi intorno – un mazzo di fiori in mano, la busta con la biancheria, i fogli di impegnative o analisi.

Chi aspetta il tram 8, appena oltre i cancelli, seguita a parlare di casi di salute, sospeso fra ottimismo e rassegnazione. Da un luogo come questo la città non esiste, è un intralcio, una ridondanza inu tile.
Qualcosa di superfluo, come diventano per i fratelli Margherita e Giovanni – nel film Mia madre – i rispettivi mestieri. Lei regista, lui ingegnere. Il cuore del racconto e del tratto di esi - stenza che Moretti porta sullo schermo è tutto in una stanza di questo ospedale: il fascio di luce tenue, sbiadita che entra dalla finestra della stanza dove la si - gnora Ada è ricoverata, certifica solo che Roma, fuori, c’è ancora. Nient’altro. Così ogni ospedale è un’isola: raddoppia ta nel caso del Fatebenefratelli, sul Tevere, fondale di un evento gioioso – la nascita del figlio – in Aprile. In ogni caso, un tempo diverso, di attesa, che esclude tutto il resto: per Margherita e Giovanni, più si avvici na il momento del distacco dalla madre, più si annebbiano il flusso e il movimento del presente. Quello che in realtà non si è mai interrotto, e continua tuttora.

La vita della città, il chiacchiericcio sul tram, gli appuntamenti per la cena, i “daje” e gli “scialla”, che a tendere l’orecchio intercetti davvero, insieme alle lamentele sul freddo di una signora in pelliccia. Intanto, volendo alzare gli occhi all’altezza del Ponte Bianco, la nuvolaglia si è fatta rossiccia, la luce è calata all’improvviso, nell’ospedale è già ora di cena.
Fra le prime scene del film, ce n’è una che mostra Margherita indecisa su cosa portare alla madre, dentro un negozio di alimentari in via dei Colli Portuensi. È sera – e l’intero film si sviluppa più su scene notturne che diurne. Tutto ciò che di più importante deve accadere, accade di sera, di notte, o di mattina presto. L’incontro della regista Margherita con il protagonista del suo film (interpretato da John Turturro), un percorso in macchina sulla Roma-Fiumicino con l’attore su di giri che si affaccia al finestrino dell’auto e grida una serie di nomi di grandi registi italiani, la cena che segue in un ristorante ai Parioli; l’ultima scena del film – di notte, in una piazza Mancini deserta –, un teso confronto di Margherita con il proprio compagno e ancora, una scena a metà fra sogno e veglia, in piazza Montecitorio, davanti al Capranichetta, teatro riconvertito a sala convegni: Margherita è come assediata dalla propria vita, il fratello la invita a riconquistare leggerezza.

Sta girando il suo film su chi perde il lavoro, non è più convinta e adesso il lutto incombe, incombe l’orfanezza. La notizia della morte della signora Ada arriva di notte. La nipote ragazzina si gira nel letto e piange. Poi, accanto al padre, si affaccia da una terrazza che dà sulle strade del quartiere africano: le luci di viale Somalia, la tangenziale in lontananza. Il cielo si schiarisce appena, in prossimità dell’alba. È notte negli incubi, naturalmente, ed è notte quando la casa di Margherita – ricostruita a Monteverde Vecchio, via Maurizio Quadrio – si allaga; deciderà di trasferirsi nella casa della madre, in via Crescenzio. L’esterno non si vede mai, ma si intravede uno di quei grandi cortili piuttosto dimessi che puntellano questa strada in leggera pendenza dalla Mole Adria - na verso piazza Risorgimento.

Austera e quieta, al riparo dallo shopping di via Cola di Rienzo, ha questa schiera di massic ci palazzi umbertini, gialli o rossicci, con vecchie portinerie. Attraversata da vie che portano i nomi di poeti latini, si svecchia all’altezza di locali alla moda e per via delle Smart che la percorrono in eterna ricerca di parcheggio. C’è un filo che lega Mia madre a Il Caimano, alla parte più intima di quella storia – la difficoltà di tenere insieme quello che facciamo, o che proviamo a fare, e quello che sentiamo, quello che ci accade nella vita cosiddetta privata. Ma è un tema che riporta anche alla Stanza del figlio, e ancora indietro, ad Aprile e a Caro diario.
Il “privato” invade il resto della vita di Margherita e Giovanni, proprio come l’acqua invade i pavimenti della casa di lei, non ci si può opporre. Il film parla anche di questo, di molte certezze che vanno in frantumi, di altre – anche terribili – che si guadagna no. La commozione viene dalle cose, dai fatti, non è mai suggerita o pretesa, come la bellissima scena del motorino: la figlia adolescente di Margherita sta imparando a guidarlo, i genitori che prima gliel’hanno negato adesso la accompagnano e la osservano, lei così misteriosa. È un pomeriggio sereno su via Aurelio Saffi, e l’intimità familiare è raccontata con una grazia rara, luminosa.
© 2015 LOZZI Publishing Srl

Tratto da Paolo Di Paolo e Giorgio Biferali
, Viaggio a Roma con Nanni Moretti, Lozzi Publishing, pp. 175, euro 12

Paolo Di Paolo, finalista al Premio Strega 2013 con Mandami tanta vita (Feltrinelli 2013) e autore di Dove eravate tutti (Feltrinelli 2011), è nato a Roma nel 1983, mentre Nanni Moretti girava Bianca. Scrive su La Stampa e sul “Venerdì” di Repubblica.

Giorgio Biferali, autore del saggio Giorgio Manganelli. Amore, controfigura del nulla (Artemide 2014), è nato a Roma nel 1988, mentre Nanni Moretti girava Palombella rossa. Collabora con “L’Indice dei libri del mese”.

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