Danza, Carla Fracci: "Nell'arte ogni età è preziosa"

Spettacolo
Il particolare della copertina del libro edito da Mondadori
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Nell'autobiografia Passo dopo passo. La mia storia la celebre danzatrice racconta la sua vita. Dall’infanzia alla maturità. "Nessuno mi ha mai buttato giù dal letto per andare a studiare. Per me era naturale alzarmi e lavorare alla sbarra". ESTRATTO

di Carla Fracci

Nessuno mai mi ha buttato giù dal letto per andare a studiare. Per me era naturale alzarmi alle otto e lavorare alla sbarra. E’ stato il mio orologio interno a chiedermelo. Se fai delle scelte sai a cosa vai incontro, non è che dopo uno spettacolo dici: “Ho finito tardi, non faccio la replica di stasera”. L’impegno è la base del successo. Per questo non ho mai smesso di dedicarmi al mio lavoro con umiltà, senza sentirmi arrivata. Non si finisce mai di imparare e tutto ricomincia daccapo ogni giorno. Ogni mattina, se sei una ballerina, che tu sia donna di diciassette, ventisette, trentasette o settantasette anni, devi rimetterti alla sbarra e cominciare dalla prima posizione. A quarant’anni ho avuto la consapevolezza di prendere decisioni positive: di espansione, di autodeterminazione e di libertà. Ho un fisico che mi ha permesso di esibirmi fino a pochi anni fa in ruoli adatti a una donna matura. Tutto quello che ho ottenuto nel corso di decenni è frutto di serietà e applicazione. Il corpo, per esprimersi, ha bisogno di esercizio costante. Gli anni sono passati e con gli anni le esperienze si accumulano, ma non ho mai smesso di prendere lezioni con insegnanti capaci di rimettermi in forma, di correggere i miei difetti, riallineare il mio asse, alleviare i dolori e rafforzare i lati deboli. Con il maestro Gabriel Popescu ho preso lezioni anche di tre ore da sola, come uno sportivo che non vuol sentire i propri muscoli cedere.

Ho iniziato senza sapere cosa la danza fosse. Oggi la amo come amo e rispetto qualsiasi palcoscenico, grande o piccolo che sia. Ho un carattere che non mi permette di essere assente in scena. E’ un’esigenza con me stessa, un mettermi alla prova. Sembra impossibile, ma ogni esibizione è diversa dall’altra. Qualcuno mi suggeriva di risparmiarmi di fronte ai pubblici più sprovveduti, ma mi sarei sentita una traditrice nei confronti degli spettatori e della mia Compagnia. E comunque non sai mai chi ci può essere in sala. All’Espace Pierre Cardin di Parigi, per una matinée di uno spettacolo che durava quindici giorni, i posti prenotati erano solo trentacinque. Beppe, complice anche il caldo infernale, voleva cancellare lo spettacolo. Decidemmo di farlo comunque, e solo alla fine ci accorgemmo che tra quelle trentacinque persone c’erano Madeleine Renaud e Jean-Louis Barrault, la più grande coppia di teatranti impegnata in città con Oh, les beaux jours! che venne in palcoscenico a salutare.

Dai tempi della Scuola alla Scala la mia vita è stata sempre molto disciplinata, legata a precisi programmi di lezioni e lavoro. Vivo la vita quotidiana con grande senso dell’equilibrio e il mio lavoro con grande passione. Credo che sia la via migliore per sentirsi vitali nonostante abbia superato certi traguardi anagrafici. Mi considero fortunata per la carriera che ho avuto. E’ stato difficile resistere, lottare, affrontare i momenti bui, andare oltre. E’ stato d’aiuto Beppe, che non è mai venuto meno come marito, compagno, intellettuale, regista, ideatore di centinaia di occasioni e di creazioni indimenticabili. In un galà a Tokyo, Dame Margot mi disse che si trovava nell’età in cui aveva ballato per le anziane amiche di sua nonna e per le nipotine. Un arco di pubblico di un secolo. E una sorta di traguardo che anch’io ho raggiunto. Pina Bausch, Margot Fonteyn, Michail Baryšhnikov, Vladimir Vasil’ev sono tutti andati avanti con l’età... Quando Alicia Markova venne a ballare alla Scala avrà avuto quarantacinque anni. Le altre ragazze la chiamavano “La vecchietta”. A me pareva fantastica. Che nobiltà, che incanto di piedini. Al Pas de Quatre di Nervi le ballerine di fianco a me erano quarantenni. Alicia Alonso è in forma strepitosa, ha qualche piccolo problema di vista dall’età di diciannove anni, ma una presenza scenica straordinaria. Mi commuovo nel vederla danzare. E’ stata la più grande portando a tutti un’artespirituale, moderna, sensuale, elegante e sollevata da terra. Mi colpiscono la sua sensualità sottile, il suo equilibrio. Quando appare, dicono che l’hanno tirata fuori dal sarcofago. Magari lo diranno anche di me. Nessun artista vuole essere dimenticato. Ida Rubinštejn era un’icona del suo tempo quando era in attività. Fu la bellissima musa dei più grandi geni dell’arte, Claude Debussy, Maurice Ravel, Sergej Djagilev e Michel Fokine, ma fu dimenticata appena si ritirò.

Per durare nel tempo purtroppo non basta l’amore del pubblico e dei colleghi, devi avere il supporto delle istituzioni. Se non ti sostengono, il rischio di essere scordati nel giro di qualche anno è molto alto. Nasciamo e moriamo. Questo è inevitabile. Inizi a lavorare e sai che una fine arriverà, ma è logico che tu abbia un orgoglio di quello che lasci. Le cose cambiano, non porti via il lavoro ad altri. Solo pochi continuano a lavorare in età avanzata. Dipende da come uno si mantiene, dal temperamento, dalla personalità... Mi piace mangiare una fetta di salame, mi piace bere un bicchiere di vino, mi piace essere in ordine. Mi piace vivere e ho paura di lasciare gli affetti e non poter soddisfare la curiosità amorosa di sapere che vita avranno i miei nipoti. Nel mio lavoro, nella mia vita, il pensiero della morte non esiste se non come una eventualità astratta. In Giselle ci commuove la vita che le è rimasta. A novant’anni Martha Graham era ancora in palcoscenico, magari non faceva niente e qualcuno si chiedeva perché stesse lì. Ma per i pochi che avevano questi dubbi, gli altri avevano gli occhi puntati su di lei. Le bastava uno sguardo, un gesto per attirare l’attenzione di tutti...

Adesso di certo non vado in punta, sono anni che interpreto ruoli da mezza punta o con il tacco. Invece di Aurora, nella Bella addormentata nel bosco sono stata la Fata Carabosse. In una delle mie ultime interpretazioni di Giulietta, mentre mi inchinavo a ringraziare il pubblico, pensavo: “Fra qualche anno chiederò a un teatro che mi permetta di essere Madonna Capuleti, come lo sono state per me la Tchernicheva, la Marcovitch, la Fonteyn”. Più tardi ancora chiederò di essere la Nutrice, un ruolo che amo da sempre. Non esiste Giulietta senza la sua nutrice. Credo che sia più corretto affrontare un personaggio convinti di essere credibili, altrimenti il rischio è di cadere nel ridicolo. Onesta vuol dire: questo lo posso fare e questo no. In questo momento non ho nostalgia di tornare sul palco, però non escludo di farlo se mi rendo conto che una certa parte è adatta a me.

Rudy, seppure debole, era talmente caparbio da non voler modificare un passo delle sue coreografie nemmeno negli ultimi suoi anni. Era un dolore vederlo in scena. Ma il suo era un atto più d’amore per la danza che di egoismo. Giorgio Albertazzi dice che vorrebbe morire in palcoscenico. Ha appena compiuto novant’anni ed è un artista straordinario che frequento spesso. Una persona molto intelligente, colta, che va avanti con la tenacia dell’uomo di palcoscenico. Alla celebrazione dei suoi cento anni, il maestro Kazuo Ohno mi volle in scena con il figlio Yoshito. Con noi c’erano artisti come Hideo Kanze, Akira Kasai, Akaji Maro, Kim Maeja e alcuni dei più rappresentativi ballerini occidentali della danza classica e contemporanea tra cui Ismael Ivo e Pina Bausch. Fu una celebrazione con mille tipi di danza, dal butoh al valzer, che improvvisai con il figlio sul finale. Nell’arte ogni età è preziosa. Credo che sia stato Djagilev a dire: “Sono interessato ai ballerini solo quando sono molto giovani o molto vecchi”.
©2013 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano

Tratto da Carla Fracci a cura di Enrico Rotelli, Passo dopo passo. La mia storia, Mondadori, pp. 193-196, euro 18.

Carla Fracci, nata a Milano il 20 agosto 1936, è riconosciuta come una delle più illustri ballerine di tutti i tempi ed è acclamata in tutto il mondo per la varietà delle sue interpretazioni.

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