Esce il 15 settembre "Retromania", il nuovo saggio di Simon Reynolds, uno dei più autorevoli critici rock. Nel libro l'autore parla di "musica, cultura pop e della nostra ossessione per il passato". LEGGINE UN'ANTICIPAZIONE
di Simon Reynolds
Osservando YouTube da un punto di vista prettamente musicale, sono due gli aspetti che più sorprendono di questo nuovo mezzo di (post-)trasmissione. Il primo e il fatto che YouTube sia diventato una miniera di apparizioni televisive e filmati rarissimi un tempo gelosamente conservati e scambiati dai fan più accaniti. Tramite gli annunci sulle ultime pagine di Goldmine o Record Collector e le comunicazioni via fanzine o posta, i fan barattavano o vendevano le videocassette, copiate e ricopiate tante volte che l’immagine di Elvis o Bowie era ormai cosi distorta da essere quasi irriconoscibile.
Oggi è tutto su YouTube, a disposizione gratuita di chi abbia voglia di cliccare. Se penso a quanto mi sarebbe tornato utile mentre scrivevo Post-punk 1978-1984 (terminato circa diciotto mesi prima del lancio di YouTube, nell’inverno del 2005), le emozioni sono contrastanti: una frustrazione retrospettiva bilanciata da uno strano senso di sollievo. Sarebbe stata una risorsa eccezionale, ma con quanta facilita avrei potuto perdermi negli innumerevoli clip dal vivo, nei vecchi video e negli spezzoni televisivi.
L’altra evoluzione davvero interessante nell’ottica musicale e il modo in cui i fan hanno trasformato ampie regioni di questo videoarchivio in un semplice catalogo di documenti audio, caricando brani accompagnati da figure astratte in movimento stile screen-saver o immagini fisse (in molti casi una semplice istantanea della copertina del disco o dell’etichetta, oppure una ripresa sgranata del disco che gira sul piatto). Interi album vengono messi su YouTube, con la stessa immagine generica e casuale a fare da sfondo a tutte le canzoni. La combinazione di video musicali e file audio ha fatto di YouTube una biblioteca pubblica del suono registrato (per quanto disorganizzata e caotica, con poche lacune ma piena di ripetizioni e "copie danneggiate"). Si puo persino "prendere in prestito" senza restituire, utilizzando programmi come Dirpy per convertire i video in mp3.
YouTube è molto più facile da consultare della mia enorme e disordinata collezione di dischi. Mi e addirittura capitato di scaricare dal web album che avevo già per evitare la fatica di mettermi a cercare negli scatoloni. E chi se ne importa se la qualità sonora del cd e del vinile è decisamente superiore: chi ha fretta si accontenta dell’mp3 (nel mio caso di solito ho bisogno di controllare qualche dettaglio specifico, di fatto trattando la musica come banca dati e non più come esperienza sonora coinvolgente).
Lo stesso YouTube e un esempio di questo genere di compromesso tra qualità e convenienza, tipico della cultura digitale. "La qualità audio-video è pessima" osserva Hilderbrand, sottolineando come la definizione che appare tollerabile nella piccola finestra riveli tutta la pochezza della bassa risoluzione in modalita "schermo". Ma proprio come gli ascoltatori hanno accettato il sound esile e "inferiore" dell’mp3 grazie alla compattezza e alla facilita di scambio, nessuno sembra preoccuparsi della fedeltà ridotta della visione via computer (per giunta proprio mentre la tecnologia si muove in direzione contraria con la tv in alta definizione, gli impianti home-theatre in surround 5.0, i film in 3D e via dicendo).
In compenso, l’archivio online ci offre una possibilita d’accesso, un volume e una varietà ampiamente superiori in termini di quantita, se non di qualita. Abbiamo inoltre a disposizione il controllo della durata sotto il video, il che ci consente di trascinare rapidamente la barra di scorrimento fino al momento chiave del filmato (o della canzone). YouTube è un contenitore di stralci fondato sulla frammentazione di narrazioni più lunghe (il programma, il film, l’album), ma questa funzione ci incoraggia, in quanto spettatori, a scindere gli spezzoni culturali in unità ancora più piccole, erodendo insidiosamente la nostra capacità di concentrazione e la nostra volontà di lasciare che le esperienze si dischiudano.
Ma è internet in quanto tale a rendere più fragile e incostante il nostro senso della temporalità: piluccando i dati senza posa, saltelliamo nervosamente qui e là in cerca del prossimo zuccherino istantaneo. YouTube incoraggia questa deriva per mezzo della barra laterale, l’elenco dei video ritenuti – spesso in virtù di una logica contorta – affini a quello che stiamo guardando. E' difficile non cedere a una modalità di osservazione distratta e distaccata, a metà tra il navigare e lo zapping (se non fosse che il canale e sempre lo stesso, YouTube, ormai diventato una regione dell’impero di Google, che lo acquisto nell’ottobre 2006).
Questa fuga a zigzag non collega solo un artista all’altro e un genere all’altro, ma è anche un viaggio nel tempo: i video-prodotti delle varie epoche sono mescolati indiscriminatamente e inseriti in un reticolo di link incrociati. Tra le ragioni del fenomeno c’è la natura disordinata di YouTube, il quale, per quanto vagamente strutturato e corredato di chiose, somiglia più a una soffitta caotica che a un archivio. In rete, tuttavia, troviamo altri organismi ufficiali e associazioni amatoriali intenti a costruire database culturali accessibili al pubblico.
La British Library, per esempio, ha da poco reso consultabile gratuitamente online la sua smisurata collezione di musica etnica: più o meno 28 000 registrazioni e 2000 ore di musica tradizionale, dai canti aborigeni incisi sui cilindri fonografici dall’antropologo Alfred Cort Haddon nel 1898 al calypso e al quickstep pubblicati a meta del Novecento dalla Decca West Africa. Anche il National Film Board of Canada offre in streaming gratuito i suoi celebri documentari (naturalistici e non) e film d’animazione firmati da luminari quali Norman McLaren. E poi c’e Ubuweb, una miniera di cinema d’avanguardia, poesia sonora, musica e testi, gestita dai fan ma presentata con una minuziosita accademica.
Ubuweb si propone di rendere disponibili in maniera permanente opere che altrimenti languirebbero nei magazzini dei musei d’arte o nei recessi delle collezioni universitarie, salvo eventuali e sporadiche apparizioni pubbliche in festival e mostre. Dietro entita come Ubuweb si cela un brulicante entroterra di blog quali The Sound of Eye, BibliOdyssey, 45cat e Found Objects, gestiti da singoli o da piccoli gruppi di curatori dilettanti che riversano freneticamente nel web ogni genere di immagini e suoni oscuri, curiosità e classici dimenticati del libro illustrato, del graphic design e della tipografia del Novecento; cortometraggi (anche animati) d’avanguardia; scansioni di articoli e, sempre più spesso, interi numeri di misteriosi periodici, riviste e fanzine; vecchi filmati informativi e innumerevoli sigle iniziali di programmi per bambini...Se avessi una seconda vita (e la fortuna di poter vivere di rendita), sarei felice di passare le giornate a ingozzarmi di tutte queste carogne culturali.
Con la sua commistione di passato e presente, internet spappola il tempo e lo rende spongiforme. YouTube e la quintessenza del web 2.0 nella misura in cui promette l’immortalità a ogni video: in linea teorica, i contenuti potrebbero rimanere al loro posto per sempre. Basta un clic per saltare dall’arcaico al tempo reale. In termini culturali, il risultato è un paradossale connubio di velocita e immobilita, evidente a ogni livello della realta web 2.0: da un lato l’avvicendamento incredibilmente rapido delle notizie (i blog di attualità e politica aggiornati ogni dieci minuti, twitter e i suoi topic, il blog buzz), dall’altro l’ostinata sopravvivenza dell’immondizia nostalgica. Nello iato tra i due poli ricadono il passato recente e quello che potremmo chiamare "presente lungo": i trend più duraturi, i gruppi la cui carriera va oltre il primo album, le sottoculture e i movimenti in quanto contrapposti alle mode passeggere e ai capricci. Il passato recente precipita in un vuoto amnesico, il presente lungo viene cesellato e appiattito come una cialda dall’incredibile ritmo al quale le pagine della stretta attualità si aggiornano.
Tratto da Simon Reynolds, Retromania, ©Isbn Edizioni S.r.l., Milano 2011, pp.480, euro 26,90.
Simon Reynolds è uno dei più autorevoli critici musicali contemporanei. Ha collaborato, tra gli altri, con New York Times, The Guardian, Rolling Stone, Observer, The Wire, Uncut. Isbn ha pubblicato Post-punk 1978-1984, Hip-hop-rock 1985-2008 e Totally Wired.
L'autore sarà in Italia dal 18 al 20 settembre per presentare il libro.
Osservando YouTube da un punto di vista prettamente musicale, sono due gli aspetti che più sorprendono di questo nuovo mezzo di (post-)trasmissione. Il primo e il fatto che YouTube sia diventato una miniera di apparizioni televisive e filmati rarissimi un tempo gelosamente conservati e scambiati dai fan più accaniti. Tramite gli annunci sulle ultime pagine di Goldmine o Record Collector e le comunicazioni via fanzine o posta, i fan barattavano o vendevano le videocassette, copiate e ricopiate tante volte che l’immagine di Elvis o Bowie era ormai cosi distorta da essere quasi irriconoscibile.
Oggi è tutto su YouTube, a disposizione gratuita di chi abbia voglia di cliccare. Se penso a quanto mi sarebbe tornato utile mentre scrivevo Post-punk 1978-1984 (terminato circa diciotto mesi prima del lancio di YouTube, nell’inverno del 2005), le emozioni sono contrastanti: una frustrazione retrospettiva bilanciata da uno strano senso di sollievo. Sarebbe stata una risorsa eccezionale, ma con quanta facilita avrei potuto perdermi negli innumerevoli clip dal vivo, nei vecchi video e negli spezzoni televisivi.
L’altra evoluzione davvero interessante nell’ottica musicale e il modo in cui i fan hanno trasformato ampie regioni di questo videoarchivio in un semplice catalogo di documenti audio, caricando brani accompagnati da figure astratte in movimento stile screen-saver o immagini fisse (in molti casi una semplice istantanea della copertina del disco o dell’etichetta, oppure una ripresa sgranata del disco che gira sul piatto). Interi album vengono messi su YouTube, con la stessa immagine generica e casuale a fare da sfondo a tutte le canzoni. La combinazione di video musicali e file audio ha fatto di YouTube una biblioteca pubblica del suono registrato (per quanto disorganizzata e caotica, con poche lacune ma piena di ripetizioni e "copie danneggiate"). Si puo persino "prendere in prestito" senza restituire, utilizzando programmi come Dirpy per convertire i video in mp3.
YouTube è molto più facile da consultare della mia enorme e disordinata collezione di dischi. Mi e addirittura capitato di scaricare dal web album che avevo già per evitare la fatica di mettermi a cercare negli scatoloni. E chi se ne importa se la qualità sonora del cd e del vinile è decisamente superiore: chi ha fretta si accontenta dell’mp3 (nel mio caso di solito ho bisogno di controllare qualche dettaglio specifico, di fatto trattando la musica come banca dati e non più come esperienza sonora coinvolgente).
Lo stesso YouTube e un esempio di questo genere di compromesso tra qualità e convenienza, tipico della cultura digitale. "La qualità audio-video è pessima" osserva Hilderbrand, sottolineando come la definizione che appare tollerabile nella piccola finestra riveli tutta la pochezza della bassa risoluzione in modalita "schermo". Ma proprio come gli ascoltatori hanno accettato il sound esile e "inferiore" dell’mp3 grazie alla compattezza e alla facilita di scambio, nessuno sembra preoccuparsi della fedeltà ridotta della visione via computer (per giunta proprio mentre la tecnologia si muove in direzione contraria con la tv in alta definizione, gli impianti home-theatre in surround 5.0, i film in 3D e via dicendo).
In compenso, l’archivio online ci offre una possibilita d’accesso, un volume e una varietà ampiamente superiori in termini di quantita, se non di qualita. Abbiamo inoltre a disposizione il controllo della durata sotto il video, il che ci consente di trascinare rapidamente la barra di scorrimento fino al momento chiave del filmato (o della canzone). YouTube è un contenitore di stralci fondato sulla frammentazione di narrazioni più lunghe (il programma, il film, l’album), ma questa funzione ci incoraggia, in quanto spettatori, a scindere gli spezzoni culturali in unità ancora più piccole, erodendo insidiosamente la nostra capacità di concentrazione e la nostra volontà di lasciare che le esperienze si dischiudano.
Ma è internet in quanto tale a rendere più fragile e incostante il nostro senso della temporalità: piluccando i dati senza posa, saltelliamo nervosamente qui e là in cerca del prossimo zuccherino istantaneo. YouTube incoraggia questa deriva per mezzo della barra laterale, l’elenco dei video ritenuti – spesso in virtù di una logica contorta – affini a quello che stiamo guardando. E' difficile non cedere a una modalità di osservazione distratta e distaccata, a metà tra il navigare e lo zapping (se non fosse che il canale e sempre lo stesso, YouTube, ormai diventato una regione dell’impero di Google, che lo acquisto nell’ottobre 2006).
Questa fuga a zigzag non collega solo un artista all’altro e un genere all’altro, ma è anche un viaggio nel tempo: i video-prodotti delle varie epoche sono mescolati indiscriminatamente e inseriti in un reticolo di link incrociati. Tra le ragioni del fenomeno c’è la natura disordinata di YouTube, il quale, per quanto vagamente strutturato e corredato di chiose, somiglia più a una soffitta caotica che a un archivio. In rete, tuttavia, troviamo altri organismi ufficiali e associazioni amatoriali intenti a costruire database culturali accessibili al pubblico.
La British Library, per esempio, ha da poco reso consultabile gratuitamente online la sua smisurata collezione di musica etnica: più o meno 28 000 registrazioni e 2000 ore di musica tradizionale, dai canti aborigeni incisi sui cilindri fonografici dall’antropologo Alfred Cort Haddon nel 1898 al calypso e al quickstep pubblicati a meta del Novecento dalla Decca West Africa. Anche il National Film Board of Canada offre in streaming gratuito i suoi celebri documentari (naturalistici e non) e film d’animazione firmati da luminari quali Norman McLaren. E poi c’e Ubuweb, una miniera di cinema d’avanguardia, poesia sonora, musica e testi, gestita dai fan ma presentata con una minuziosita accademica.
Ubuweb si propone di rendere disponibili in maniera permanente opere che altrimenti languirebbero nei magazzini dei musei d’arte o nei recessi delle collezioni universitarie, salvo eventuali e sporadiche apparizioni pubbliche in festival e mostre. Dietro entita come Ubuweb si cela un brulicante entroterra di blog quali The Sound of Eye, BibliOdyssey, 45cat e Found Objects, gestiti da singoli o da piccoli gruppi di curatori dilettanti che riversano freneticamente nel web ogni genere di immagini e suoni oscuri, curiosità e classici dimenticati del libro illustrato, del graphic design e della tipografia del Novecento; cortometraggi (anche animati) d’avanguardia; scansioni di articoli e, sempre più spesso, interi numeri di misteriosi periodici, riviste e fanzine; vecchi filmati informativi e innumerevoli sigle iniziali di programmi per bambini...Se avessi una seconda vita (e la fortuna di poter vivere di rendita), sarei felice di passare le giornate a ingozzarmi di tutte queste carogne culturali.
Con la sua commistione di passato e presente, internet spappola il tempo e lo rende spongiforme. YouTube e la quintessenza del web 2.0 nella misura in cui promette l’immortalità a ogni video: in linea teorica, i contenuti potrebbero rimanere al loro posto per sempre. Basta un clic per saltare dall’arcaico al tempo reale. In termini culturali, il risultato è un paradossale connubio di velocita e immobilita, evidente a ogni livello della realta web 2.0: da un lato l’avvicendamento incredibilmente rapido delle notizie (i blog di attualità e politica aggiornati ogni dieci minuti, twitter e i suoi topic, il blog buzz), dall’altro l’ostinata sopravvivenza dell’immondizia nostalgica. Nello iato tra i due poli ricadono il passato recente e quello che potremmo chiamare "presente lungo": i trend più duraturi, i gruppi la cui carriera va oltre il primo album, le sottoculture e i movimenti in quanto contrapposti alle mode passeggere e ai capricci. Il passato recente precipita in un vuoto amnesico, il presente lungo viene cesellato e appiattito come una cialda dall’incredibile ritmo al quale le pagine della stretta attualità si aggiornano.
Tratto da Simon Reynolds, Retromania, ©Isbn Edizioni S.r.l., Milano 2011, pp.480, euro 26,90.
Simon Reynolds è uno dei più autorevoli critici musicali contemporanei. Ha collaborato, tra gli altri, con New York Times, The Guardian, Rolling Stone, Observer, The Wire, Uncut. Isbn ha pubblicato Post-punk 1978-1984, Hip-hop-rock 1985-2008 e Totally Wired.
L'autore sarà in Italia dal 18 al 20 settembre per presentare il libro.