Presentato al Festival del Cinema di Roma il documentario dedicato al Boss del rock. "In molti dei miei dischi racconto la ricerca di un'identità"
"In molti dei miei dischi racconto la ricerca di un'identità. Ancora oggi non so chi sono. Quando abbiamo registrato 'Darkness' avevo 27 anni ed ero completamente identificato con la musica che facevo e questo è probabilmente il motivo per cui abbiamo lavorato così a lungo. Le domande essenziali che mi ponevo erano: da dove vengo? Cosa vuol dire essere un figlio? Cosa vuol dire essere americano? Oggi mi domanderei cosa vuol dire essere padre. Sono le domande essenziali. Poi si trattava di trovare delle storie e spesso sono le storie che scelgono te e non sei tu a scegliere le storie, in fondo il lavoro del musicista è un po' come riparare".
Bruce Springsteen è salito sul palco dell'Auditorium di Roma al Festival del Cinema dopo la proiezione di "The Promise" il documentario che racconta la nascita di "Darkness on the Edge of Town", in un incontro condotto da Mario Sesti, Gino Castaldo ed Ernesto Assante cui hanno partecipato anche Thom Zimny, regista del documentario, e Jon Landau, produttore e manager storico del "Boss".
Springsteen, che ha trascorso la giornata di lunedì 1 novembre "passeggiando per Roma e a piazza San Pietro ho incontrato un gruppo di fan: è uno dei posti più belli che abbia mai visto", ha ricordato che "i fan italiani sono speciali".
Il lungo lavoro fatto per il disco ha portato "alla definizione di una filosofia di lavoro che io e la band abbiamo assimilato e usato poi nel corso degli anni e abbiamo trovato il senso di quello che dovevamo fare e di come comunicare con il pubblico. Il regista Tom Zimny ha lavorato a questo documentario per 10 anni, utilizzando il materiale girato durante le registrazioni da un amico della band che tra l'altro stasera era in sala.
"Così come voi - ha detto il regista - sono un fan di Springsteen e il mio obiettivo principale è stato quello di raccontare il doppio punto di vista, quello del fan e quello del regista". Landau, che è anche la memoria storica del "Boss", ha invece descritto il ruolo decisivo che nella realizzazione dell'album ha avuto un quaderno di appunti su cui Springsteen annotava le sue idee.
"Da quando lo conosco Bruce ha sempre con se un quaderno - ha detto Landau - in studio lo consultava continuamente e tirava sempre fuori nuove idee, magari suonavamo due volte una canzone che poi abbandonavamo. A volte, come dico nel film, avevo l'impressione che se avessimo chiuso quel quaderno finalmente avremmo finito di lavorare e ce ne saremmo andati a casa. Per questo abbiamo avuto l'idea di inserirne una copia nel cofanetto".
Bruce Springsteen è salito sul palco dell'Auditorium di Roma al Festival del Cinema dopo la proiezione di "The Promise" il documentario che racconta la nascita di "Darkness on the Edge of Town", in un incontro condotto da Mario Sesti, Gino Castaldo ed Ernesto Assante cui hanno partecipato anche Thom Zimny, regista del documentario, e Jon Landau, produttore e manager storico del "Boss".
Springsteen, che ha trascorso la giornata di lunedì 1 novembre "passeggiando per Roma e a piazza San Pietro ho incontrato un gruppo di fan: è uno dei posti più belli che abbia mai visto", ha ricordato che "i fan italiani sono speciali".
Il lungo lavoro fatto per il disco ha portato "alla definizione di una filosofia di lavoro che io e la band abbiamo assimilato e usato poi nel corso degli anni e abbiamo trovato il senso di quello che dovevamo fare e di come comunicare con il pubblico. Il regista Tom Zimny ha lavorato a questo documentario per 10 anni, utilizzando il materiale girato durante le registrazioni da un amico della band che tra l'altro stasera era in sala.
"Così come voi - ha detto il regista - sono un fan di Springsteen e il mio obiettivo principale è stato quello di raccontare il doppio punto di vista, quello del fan e quello del regista". Landau, che è anche la memoria storica del "Boss", ha invece descritto il ruolo decisivo che nella realizzazione dell'album ha avuto un quaderno di appunti su cui Springsteen annotava le sue idee.
"Da quando lo conosco Bruce ha sempre con se un quaderno - ha detto Landau - in studio lo consultava continuamente e tirava sempre fuori nuove idee, magari suonavamo due volte una canzone che poi abbandonavamo. A volte, come dico nel film, avevo l'impressione che se avessimo chiuso quel quaderno finalmente avremmo finito di lavorare e ce ne saremmo andati a casa. Per questo abbiamo avuto l'idea di inserirne una copia nel cofanetto".