“Non mi interessa la bella confezione, ma creare un momento di ricerca e di riflessione sul rapporto tra arte e società”. Il direttore del settore Danza della Biennale di Venezia si racconta a Classica (canale 728 di Sky). L’intervista
di Francesca Pedroni
Body Attack, Under Skin, Body & Eros, Beauty e, per il 2010, Capturing Emotions. Sono questi i titoli che hanno danno l’impronta dal 2005 a oggi all’esplorazione sui linguaggi della danza della Biennale di Venezia. A idearli e a costruirvi intorno, estate dopo estate, il Festival Internazionale di Danza Contemporanea è il suo direttore Ismael Ivo, coreografo e danzatore, nonché pedagogo (ospite di Contrappunti, in onda su Classica, canale 728 di Sky, mercoledì 21 luglio alle 21).
Perché quest’anno hai sentito l’esigenza di dedicare il festival, concluso a metà giugno, al tema delle emozioni?
“Perché fin dal mio primo festival, Body Attack, voglio che la Biennale sia un laboratorio di pensiero a partire dalla discussione sul corpo. Non mi interessa la bella confezione, ma creare un momento di ricerca e di riflessione sul rapporto tra arte e società. Oggi viviamo un’epoca di profondi cambiamenti, anche drammatici. Penso alla Grecia, all’incertezza del nostro futuro economico, ai problemi dell’ambiente, agli scandali del Vaticano, tutto è velocissimo e sempre più capovolto. Sento gli artisti come dei ‘nuovi dinosauri’ che nella differenza dei linguaggi che rappresentano hanno la possibilità di rimettere in gioco ciò che ci distingue come uomini, la capacità di raziocinio e di emozione. Portare in scena un memento di verità, un corpo autentico che apra una nuova traiettoria verso le emozioni”.
A Venezia hai aperto il Festival 2010 con “Oxygen”, spettacolo creato per i ballerini del progetto formativo della Biennale, l’Arsenale della Danza, da te voluto. A cosa punti?
“La finalità di questo progetto è dare ai giovani danzatori selezionati la possibilità di sperimentare attraverso l’incontro con maestri di diversi linguaggi della danza di oggi un momento di maturità artistica. Alla fine di ogni laboratorio mostriamo i risultati ottenuti di fronte al pubblico nella sezione chiamata Open doors. Non esiste un modello ideale, l’artista è sempre in evoluzione. Per questo nello spettacolo Oxygen ho chiesto ai danzatori di darsi completamente come performer, fisicamente e spiritualmente, per trovare la loro via alla creazione”.
Nei molti linguaggi della danza contemporanea?
Sì, perché come ho detto prima, quello che conta è trovare un’autenticità nello stare in scena. Dalla Biennale e da Venezia passano e sono passati artisti che rappresentano con le loro differenze estetiche la nostra società multiculturale. Penso a William Forsythe, Leone d’Oro 2010, a Marie Chouinard e Bill T. Jones, ospiti quest’anno al festival, a Carolyn Carlson e Pina Bausch che tanto ci ha insegnato sul corpo come strumento d’espressione. L’ultima volta che con la sua compagnia è stata a Venezia prima di morire, era con Agua, dedicato al Brasile. Era il 2007, vinceva il Leone d’Oro alla carriera. Mi ricordo il nostro incontro in camerino, io così colpito dalla bellezza del movimento di danza di quello spettacolo”.
Quest’anno a Venezia è nato anche il Leone d’Argento.
“Ci è sembrato importante dedicare un nuovo Leone a una struttura fortemente incisiva per la formazione dei danzatori. E’ in linea con uno degli interessi attuali della Biennale che punta al futuro. Il premio è stato assegnato al Performing Arts Research and Training Studios (P.A.R.T.S.) di Bruxelles, fondato dalla compagnia Rosas e dalla National Opera De Munt/La Monnaie per iniziativa di un esponente fra i più importanti della coreografia europea, Anne Teresa de Keersmaeker, che ancora oggi lo dirige”.
Al festival 2010 sono andate in scena tre prime assolute firmate da autori italiani…
“Non penso si possa essere internazionali se non si tiene conto degli artisti nati nel paese dove si opera. Virgilio Sieni, al festival con Tristi Tropici, spettacolo che fa parte del Progetto Enparts che porterà lo spettacolo in sei importanti festival e strutture straniere, è uno dei massimi artisti italiani, autore di un percorso unico nel suo genere. Adriana Borriello lavora sull’antropologia del corpo e ha presentato al festival un duo con un’altra ottima danzatrice italiana, Paola Rampone. Con Enparts abbiamo coprodotto anche una novità di Cristina Caprioli, italiana autrice da anni di un lavoro di grande valore in Svezia. La Biennale ha il dovere di riservare uno spazio importante alla danza italiana, che ha tra l’altro crescere nel paese artisti di diverse generazioni come Raffaella Giordano, Roberto Zappalà, Matteo Levaggi, Michele Di Stefano”.
* Intervista pubblicata su Classica Magazine di luglio-agosto
Body Attack, Under Skin, Body & Eros, Beauty e, per il 2010, Capturing Emotions. Sono questi i titoli che hanno danno l’impronta dal 2005 a oggi all’esplorazione sui linguaggi della danza della Biennale di Venezia. A idearli e a costruirvi intorno, estate dopo estate, il Festival Internazionale di Danza Contemporanea è il suo direttore Ismael Ivo, coreografo e danzatore, nonché pedagogo (ospite di Contrappunti, in onda su Classica, canale 728 di Sky, mercoledì 21 luglio alle 21).
Perché quest’anno hai sentito l’esigenza di dedicare il festival, concluso a metà giugno, al tema delle emozioni?
“Perché fin dal mio primo festival, Body Attack, voglio che la Biennale sia un laboratorio di pensiero a partire dalla discussione sul corpo. Non mi interessa la bella confezione, ma creare un momento di ricerca e di riflessione sul rapporto tra arte e società. Oggi viviamo un’epoca di profondi cambiamenti, anche drammatici. Penso alla Grecia, all’incertezza del nostro futuro economico, ai problemi dell’ambiente, agli scandali del Vaticano, tutto è velocissimo e sempre più capovolto. Sento gli artisti come dei ‘nuovi dinosauri’ che nella differenza dei linguaggi che rappresentano hanno la possibilità di rimettere in gioco ciò che ci distingue come uomini, la capacità di raziocinio e di emozione. Portare in scena un memento di verità, un corpo autentico che apra una nuova traiettoria verso le emozioni”.
A Venezia hai aperto il Festival 2010 con “Oxygen”, spettacolo creato per i ballerini del progetto formativo della Biennale, l’Arsenale della Danza, da te voluto. A cosa punti?
“La finalità di questo progetto è dare ai giovani danzatori selezionati la possibilità di sperimentare attraverso l’incontro con maestri di diversi linguaggi della danza di oggi un momento di maturità artistica. Alla fine di ogni laboratorio mostriamo i risultati ottenuti di fronte al pubblico nella sezione chiamata Open doors. Non esiste un modello ideale, l’artista è sempre in evoluzione. Per questo nello spettacolo Oxygen ho chiesto ai danzatori di darsi completamente come performer, fisicamente e spiritualmente, per trovare la loro via alla creazione”.
Nei molti linguaggi della danza contemporanea?
Sì, perché come ho detto prima, quello che conta è trovare un’autenticità nello stare in scena. Dalla Biennale e da Venezia passano e sono passati artisti che rappresentano con le loro differenze estetiche la nostra società multiculturale. Penso a William Forsythe, Leone d’Oro 2010, a Marie Chouinard e Bill T. Jones, ospiti quest’anno al festival, a Carolyn Carlson e Pina Bausch che tanto ci ha insegnato sul corpo come strumento d’espressione. L’ultima volta che con la sua compagnia è stata a Venezia prima di morire, era con Agua, dedicato al Brasile. Era il 2007, vinceva il Leone d’Oro alla carriera. Mi ricordo il nostro incontro in camerino, io così colpito dalla bellezza del movimento di danza di quello spettacolo”.
Quest’anno a Venezia è nato anche il Leone d’Argento.
“Ci è sembrato importante dedicare un nuovo Leone a una struttura fortemente incisiva per la formazione dei danzatori. E’ in linea con uno degli interessi attuali della Biennale che punta al futuro. Il premio è stato assegnato al Performing Arts Research and Training Studios (P.A.R.T.S.) di Bruxelles, fondato dalla compagnia Rosas e dalla National Opera De Munt/La Monnaie per iniziativa di un esponente fra i più importanti della coreografia europea, Anne Teresa de Keersmaeker, che ancora oggi lo dirige”.
Al festival 2010 sono andate in scena tre prime assolute firmate da autori italiani…
“Non penso si possa essere internazionali se non si tiene conto degli artisti nati nel paese dove si opera. Virgilio Sieni, al festival con Tristi Tropici, spettacolo che fa parte del Progetto Enparts che porterà lo spettacolo in sei importanti festival e strutture straniere, è uno dei massimi artisti italiani, autore di un percorso unico nel suo genere. Adriana Borriello lavora sull’antropologia del corpo e ha presentato al festival un duo con un’altra ottima danzatrice italiana, Paola Rampone. Con Enparts abbiamo coprodotto anche una novità di Cristina Caprioli, italiana autrice da anni di un lavoro di grande valore in Svezia. La Biennale ha il dovere di riservare uno spazio importante alla danza italiana, che ha tra l’altro crescere nel paese artisti di diverse generazioni come Raffaella Giordano, Roberto Zappalà, Matteo Levaggi, Michele Di Stefano”.
* Intervista pubblicata su Classica Magazine di luglio-agosto