L'autodifesa di Polanski: "Ho scontato la mia condanna"

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Il regista franco-polacco, agli arresti domiciliari a Gstaad, rompe il silenzio e ricostruisce la sua versione dei fatti. Dal 1977 è accusato di abusi su una minorenne. Ora spera che la Svizzera non riconosca la richiesta di estradizione

A 7 mesi e 7 giorni dal suo arresto Roman Polanski rompe il silenzio e affida la sua ricostruzione dei fatti al sito "Le regole del gioco" dell'amico filosofo Bernard-Henri Lévy. Dopo aver dichiarato di essersi astenuto da ogni commento per permettere alle autorità giudiziarie di svolgere "il loro lavoro senza alcun intervento polemico", il regista franco-polacco ha detto di non poter più tacere sulla vicenda degli abusi sessuali su una minorenne, di cui è accusato dal 1977.

Ecco le motivazioni: "Non posso più tacere, perché gli Stati Uniti continuano a richiedere la mia estradizione più per darmi in pasto ai media del mondo intero che per pronunciare un giudizio, su cui un accordo è stato preso 33 anni fa. Non posso più tacere, perché la domanda di estradizione alle autorità svizzere è basata su una menzogna". E ancora: "Non posso più tacere, perché il procuratore distrettuale di Los Angeles, che segue il caso e che ha richiesto l'estradizione, sta facendo campagna elettorale e ha bisogno di pubblicità. Non posso più tacere, perché le autorità americane hanno appena deciso, a dispetto di tutte le deposizioni e le argomentazioni di terze parti, di rifiutare la mia condanna in contumacia mentre la Corte d'Appello aveva raccomandato il contrario".

Polanski non chiede pietà, ma solo un trattamento equo "come qualsiasi cittadino". Chiede, inoltre, alla Svizzera di non riconoscere la richiesta di estradizione e, soprattutto, di ritrovare la pace, per potersi riunire alla sua famiglia e "vivere libero" nel Paese in cui è nato.


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