Aborto, una stanza per la voce (inascoltata) delle donne: il progetto "The Unheard Voice"

“Ho abortito due anni fa, con un’interruzione volontaria di gravidanza chirurgica all’ospedale di Vigevano. Avrei voluto sottopormi all’aborto farmacologico, molto meno invasivo, ma mi è stato negato. Mi hanno costretta ad aspettare contro la mia volontà, volevano che ci ripensassi. Mi hanno costretta ad ascoltare il battito del feto. E quando pensavo che il peggio fosse passato, mi hanno anche costretta a firmare per la sepoltura del feto. Mi hanno detto che se non avessi firmato non avrebbero potuto procedere con l’interruzione”. È il racconto dell'interruzione volontaria di gravidanza di Anna, 26 anni, una delle voci che si possono ascoltare all'interno dell'installazione di Medici del Mondo “The Unheard Voice”: si tratta di una teca trasparente che riproduce un piccolo ambulatorio ginecologico per svelare cosa realmente accade nelle stanze delle strutture sanitarie attraverso le voci delle donne che vogliono interrompere una gravidanza in Italia. Quello a cui si assiste, indossando un paio di cuffie e sedendo all'interno della stanza, è disturbante: la voce riporta il linguaggio denigratorio del personale sanitario, l'obbligo di ascoltare il “battito del feto”, gli antidolorifici negati. All'interno della stanza si possono ascoltare frasi colpevolizzanti realmente rivolte ad alcune donne da parte del personale sanitario come: “Doveva pensarci prima!”, “ti sei divertita, ora paghi”, “deve sentire il battito del feto, è fondamentale”, fino a "siamo donne, dobbiamo soffrire”. Un'esperienza immersiva, tra violenza verbale e psicologica Dopo Roma, Parigi e Torino, la campagna di Medici del Mondo “The Unheard Voice”, è arrivata a Milano il 21 maggio in occasione del 47esimo anniversario della Legge 194, che dal 22 maggio 1978 regola l'interruzione volontaria di gravidanza nel nostro Paese. Ma la sua applicazione continua ad affrontare ostacoli gravi e quotidiani. In Italia sono circa 63 mila le donne che ogni anno scelgono di abortire, ma per molte di loro è un percorso tutt'altro che facile, nonostante debba essere garantito per legge. "Ci troviamo all'interno di un piccolo studio ginecologico che stiamo portando in giro per l'Italia e per l'Europa. Qui si può fare un'esperienza immersiva, ascoltando le storie di donne che sono state maltrattate, hanno subito una vera e propria violenza psicologica e verbale mentre all'interno dei nostri ospedali e consultori aspettavano di sottoporsi a un aborto", spiega a Sky Tg24 Elisa Visconti, la direttrice di Medici del Mondo che incontriamo all'interno dell'installazione allestita in Piazza Duca d'Aosta. "Le frasi che ho ascoltato sono indicibili, drammatiche", commenta invece una signora uscendo dalla teca, raccontando di aver firmato a favore della difesa della legge 194 al referendum per l'aborto del 1981. Il caso Lombardia, maglia nera per le IVG L’evento si è aperto con l’intervento della direttrice - che ha presentato dati e testimonianze raccolte sul campo per offrire un quadro chiaro dell’impatto delle politiche antiabortiste in Italia e in Lombardia - seguito da quelli della consigliera Regionale Paola Bocci, di Giulia Crivellini, avvocata e co-fondatrice della campagna Libera di Abortire, della comica Laura Formenti, ambassador della campagna e del consigliere regionale Luca Paladini, che hanno denunciato la situazione territoriale, tutta in chiaroscuro: la Lombardia è infatti la prima regione italiana per numero di IVG, ma penultima per tempi di attesa e pioniera della collaborazione tra amministrazione regionale e movimenti contro l’aborto. "I dati dei nostri report e le testimonianze di 'The Unheard Voice' parlano di barriere politiche che ostacolano l’accesso a una pratica medica consentita in Italia da ben 47 anni e, soprattutto, rivelano quella che è una vera e propria violenza istituzionalizzata che non può più essere tollerata", dichiara Visconti, spiegando che la tappa di Milano "è particolarmente significativa: è la città che ospita la sede di Medici del Mondo Italia ed è il capoluogo di una Regione che, pur essendo spesso all’avanguardia in molti campi, sul fronte dell’accesso all’IVG presenta molteplici contraddizioni, ben rappresentando un’Italia nei fatti ancora lontana dalle raccomandazioni dell’OMS e dal diritto alla salute sancito dalla nostra Costituzione e garantito dai LEA, i livelli Essenziali di Assistenza". Pochi consultori e scarso accesso all'IVG farmacologica La Lombardia è anche la prima regione che nel 2010, ha istituito un fondo gestito dal Movimento per la Vita , primo movimento antiabortista nato dopo la legge 194, favorendo la diffusione dei Centri di aiuto alla vita anche all’interno di ospedali e consultori. Ad aprire loro le porte è stata la delibera della giunta regionale promossa dall’allora presidente Roberto Formigoni, che già dal 2000 permette ai consultori familiari privati accreditati di non erogare le prestazioni previste per l’IVG, legittimando, di fatto, l’obiezione di struttura vietata dalla legge 194. Un problema consistente se si considera che gli attuali consultori pubblici sono ben al di sotto della proporzione di 1 ogni 20 mila abitanti previsto per legge . Non stupisce quindi che la certificazione per accedere all’IVG rilasciata nei consultori lombardi resti sotto il 50% . Ancora più difficile è l’accesso all’IVG farmacologica, quella che avviene con la somministrazione della pillola RU486 : secondo il ministero della Salute, nel 2022 in Lombardia le IVG farmacologiche sono state il 41,8% del totale . E poi c'è il tema dei tempi di attesa, cruciali e stringenti quando si tratta di un aborto, per cui la Lombardia è maglia nera: sempre secondo i dati del ministero, il 32,8% delle persone deve attendere oltre 15 giorni per una IVG dal rilascio del certificato, contro il 24,6% di media del Nord Italia e il 22,2% di media nazionale. Peggio fa solo il Veneto . Senza contare il tempo perso a causa della difficoltà a reperire informazioni su come accedere all’IVG in Lombardia. L'ostacolo degli obiettori di coscienza: tasso al 60,7% Tornando a guardare tutta Italia, una delle questioni più rilevanti negli ostacoli all'IVG è senza dubbio l’obiezione di coscienza. Secondo il ministero della Salute, nel 2022 in Italia si è dichiarato obiettore il 60,7% dei ginecologi e delle ginecologhe , il 37,2% degli anestesisti e il 32,1% del personale non medico. In Italia effettuano IVG il 61,1% delle strutture con reparto di ostetricia e ginecologia , con forti differenze tra le regioni. Sono disponibili 2,9 punti IVG ogni 100 mila donne in età fertile. I valori più bassi si registrano in Campania , Molise e nella provincia autonoma di Bolzano . La fotografia del Ministero, però, non è esaustiva. Secondo la ricerca Mai dati dell’Associazione Luca Coscioni, in 22 ospedali la percentuale di obiettori di coscienza tra il personale sanitario è del 100%, in 72 è tra l’80 e il 100%. In 18 ospedali c’è il 100% di ginecologi obiettori. In questo scenario, nonostante la chiara direzione antiabortista delle politiche regionali, la Lombardia è la prima regione italiana per numero assoluto sia di IVG sia di aborti farmacologici , seguita da Emilia-Romagna e Lazio. Interrompere una gravidanza, una corsa a ostacoli Insomma, il quadro generale è difficile: tra scarsità di consultori, tassi elevati di obiezione di coscienza, disinformazione e mancata applicazione delle linee guida ministeriali del 2020, l’accesso all’IVG in Italia resta quindi una corsa a ostacoli, soprattutto se si parla di IVG farmacologica: basti pensare che in Europa la pillola abortiva è usata da oltre 30 anni, mentre in Italia è ancora considerata un farmaco rischioso ed è difficile da trovare. Il risultato è che per abortire molte donne devono spostarsi tra città e regioni, con costi economici e psicologici pesanti. E, a complicare ulteriormente l’accesso, non aiutano vere e proprie politiche di deterrenza, dall’obbligo di ascoltare il battito fetale al finanziamento di gruppi antiabortisti con fondi pubblici, rese possibili dagli ampi margini di manovra lasciati dalla legge 194 del 1978. Per questi motivi l'Italia è stata più volte richiamata a livello internazionale sulla garanzia di accesso all’IVG, con il Parlamento Europeo che ha chiesto di rimuovere le barriere e fermare i finanziamenti ai gruppi pro-life.

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