Non fare insulina per dimagrire: perché la diabulimia è un DCA pericoloso e invisibile

Sandra ha 29 anni e abita a L'Aquila. Ha il diabete di tipo 1 da quando ne aveva otto. Una patologia cronica e complessa da gestire, soprattutto dal punto di vista psicologico: chi ne soffre è insulino-dipendente, obbligato al controllo costante dei valori dello zucchero nel sangue nel tentativo della ricerca di un equilibrio precario tra ipoglicemia e iperglicemia. Una malattia che può essere un macigno quotidiano, se non se ne elabora il trauma, soprattutto in adolescenza, la fase in cui quasi per definizione ci si ribella al controllo e alle regole. E le cose possono diventare molto più serie se si mette in mezzo anche un disturbo del comportamento alimentare. Da pochi anni questo DCA ha un nome: diabulimia, dalla crasi di diabete e bulimia. Chi ne soffre diminuisce o evita volontariamente le dosi di insulina necessarie per i pasti con lo scopo di perdere peso. Le conseguenze mediche sono molto serie nel lungo periodo, fino alla chetoacidosi diabetica, che può portare al coma. “Ho iniziato a soffrire di DCA quando avevo 15 o 16 anni”, racconta Sandra a Sky TG24 Insider. “Ho iniziato con una dieta fai da te, perché dopo l’esordio di diabete ero ingrassata molto. Più che una dieta era una sorta di digiuno, e andavo tutti i giorni in palestra. Nel giro di poco tempo avevo perso così tanto peso che venni ricoverata in ospedale”. Una volta dimessa, iniziarono le abbuffate: “Il mio corpo era affamato”. Sandra si convinse di una frase che si era sentita dire all’esordio di diabete, ovvero che l’insulina l’avrebbe fatta ingrassare. “Così, non so bene quando né perché, ho capito che omettendo l’insulina o riducendone le quantità potevo perdere facilmente peso, o comunque averne il controllo”. Inizia il un calvario, che all’epoca per lei non aveva nome: “Mangiavo sempre senza fare l’insulina”. Un’azione pericolosissima, soprattutto se reiterata, che porta a conseguenze potenzialmente mortali. “Durante gli anni sono stata ricoverata così tante volte che non saprei dire quante. Sono finita anche in coma”, racconta. Che cos'è la diabulimia La diabulimia è un DCA ancora sconosciuto, forse il meno noto. Per questo è difficile avere accesso a dati e statistiche. Secondo Diabulimia Helpline, la prima organizzazione al mondo dedicata all'educazione, al supporto e alla tutela delle persone affette da diabete e disturbi alimentari, oltre il 30% delle donne con diabete di tipo 1 di età compresa tra 15 e 30 anni pratica 'in una certa misura' l’omissione di insulina. E gli studi dimostrano che le persone con diabete di tipo 1 hanno due volte e mezzo più probabilità di sviluppare DCA rispetto alle altre donne. I campanelli d'allarme da attenzionare sono: perdita di peso senza motivi apparenti, difficoltà a mangiare insieme ad altre persone, insoddisfazione per la propria immagine corporea, timore di prendere peso, negligenza nella cura del diabete fino all'evitamento delle visite mediche previste, aumento smodato del livello di attività fisica giornaliera, ed esclusione di alcuni alimenti dalla propria dieta ritenuti troppo calorici . "Volevo un corpo che potesse esprimere il mio dolore" Ma la diabulimia è un disturbo alimentare relativamente nuovo, che richiede un approccio terapeutico multidisciplinare, e in Italia non esistono ancora centri specializzati. “Tutti i medici e gli specialisti che ho incontrato durante i miei ricoveri sapevano poco o niente di diabulimia”, spiega Sandra, che racconta di essere stata seguita in questi anni da un gran numero di terapeuti, psicologi e psichiatri. “Ma io non volevo uscirne, volevo essere magra a tutti i costi”. E “avere un corpo che potesse parlare per me ed esprimere il dolore che provavo, e il vuoto che cercavo di riempire con il cibo”. In questi anni difficili, racconta, le è stata vicina solo la sua famiglia perché si era "completamente isolata dal mondo”. "A 30 anni ho complicanze serissime" Oggi, alla soglia dei 30 anni, Sandra porta già sul suo corpo serie conseguenze degli anni trascorsi omettendo l’insulina, quindi con valori altissimi della glicemia. “Ho perso la vista dall’occhio destro, e questa è una delle complicanze più invalidanti, per il quale mi è stata revocata la patente”. Convive anche con una gastroparesi che le porta nausea e vomito continui: “Ci sono periodi in cui non riesco a bere nemmeno un bicchiere d’acqua”. E poi seri problemi ai nervi: “Quelli della vescica sono stati gravemente danneggiati, per cui ho bisogno di fare autocateterismi tutte le mattine, altrimenti rischio infezioni urinarie serie che già mi hanno portato due volte a essere ricoverata per stepsi”. Il suo fisico è quindi irrimediabilmente segnato, e ancora non è uscita dal circolo vizioso della diabulimia. “Ho ancora oggi dei valori altissimi di emoglobina glicata, e soltanto adesso, dopo 15 anni di malattia, mi sono resa conto che è arrivato il momento di iniziare a curarmi come si deve", dice. "Perché non solo mi sono rovinata la vita e per colpa di un disturbo alimentare ho perso gli anni più belli della mia vita, isolandomi dal mondo, ma ho danneggiato anche il mio corpo”. "Uscirne è difficile, ma finalmente voglio stare meglio" Sandra in questi anni ha provato una forte solitudine: se di diabulimia si parla pochissimo, all’epoca del suo esordio ancora meno” “Mi sono sentita sempre sola anche perché non mi sono mai potuta confrontare con qualcuno che avesse il mio stesso problema. Oggi, tramite i social, sono riuscita a farlo”. Per Sandra l’informazione è fondamentale, per aiutare chi si trova nel fondo del baratro che lei conosce. “Oggi purtroppo non ne sono ancora fuori del tutto, perché uscirne è estremamente difficile. Ma finalmente dentro di me ho sentito un clic, una spinta a voler stare meglio quando sono emerse le prime complicanze. Per anni invece non mi rendevo conto di quanto mi stessi facendo del male”. "Necessario un lungo ricovero in un centro riabilitativo" Ma come si cura la diabulimia? “È necessario un trattamento intensivo. Ma va considerato che la prima difficoltà è riuscire a fare una diagnosi”, perché spesso viene scambiata per una gestione scorretta del diabete di tipo 1, spiega Laura Dalla Ragione, psichiatra e psicoterapeuta che ha fondato e dirige la Rete per i Disturbi del Comportamento Alimentare della USL 1 dell’Umbria. “Nel nostro centro abbiamo un’incidenza di pazienti con diabete di tipo 1 e manipolazione delle dosi di insulina piuttosto elevata – almeno 2 o 3 su 30 – e per loro è necessario un ricovero per un trattamento intensivo, perché in questi casi le conseguenze della malnutrizione si aggiungono ai danni di una persistente iperglicemia, come nel caso di Sandra”. In tutti i casi il trattamento ottimale è quindi quello residenziale o semi residenziale intensivo: “Le pazienti devono restare per due o tre mesi in un luogo in cui la gestione dell’insulina è gestita da altri, per evitare che la omettano. E il ricovero deve avvenire non in ospedale, ma in un ambiente riabilitativo dove possano intraprendere un percorso tradizionale rispetto al disturbo alimentare, ma con in aggiunta un lavoro mirato su questo aspetto specifico”. Quindi un periodo riabilitativo dove la paziente impara a non mettere in atto quel tipo di meccanismo. “La diabulimia è una declinazione del disturbo alimentare: condivide infatti con gli altri DCA l’ossessione per la magrezza e per il controllo. “Ma il ricovero è necessario, perché nel caso di Sandra le conseguenze cliniche possono essere davvero gravi”. "La disinformazione? La causa è un grave ritardo culturale" L’incidenza nei pazienti con diabete di tipo 1 è alta perché questa patologia rappresenta un fattore di rischio per sviluppare un DCA, spiega Dalla Ragione: “In molti casi i pazienti e le pazienti sono bambini e preadolescenti che hanno dovuto fare i conti con un rapporto innaturale con il cibo”, sottoposto a un controllo costante, costellato di numeri. E ha alla base un’origine traumatica. Quindi questi pazienti sono a rischio per una doppia ragione: perché soffrono di diabete di tipo 1 – che li espone alla selezione – ma anche si portano dietro un trauma, quello di sapere che soffri di una patologia con cui dovrai fare i conti per tutta la vita” e le origini post traumatiche dei disturbi alimentari, spiega, sono ampiamente dimostrate. “Si tratta quindi di pazienti complicate”, dice la psichiatra , il cui lavoro parte da un presupposto fondamentale: i DCA non sono solo malattie del corpo, ma anche, e soprattutto, dell’anima. Di fondo c’è quasi sempre un vissuto depressivo. “E c'è una sorta di ineluttabilità in loro, pensi che non guarirai mai, che la tua vita non sarà mai ‘normale’. E se poi scatta il meccanismo di pensare che se sei magra sei più bella e quindi più amata, quell’equazione per un certo periodo ti dà la sensazione di essere più vincente”. Ma perché se l’incidenza della diabulimia è piuttosto alta, questo DCA è quasi completamente sconosciuto? “È un problema culturale. Si pensa al diabete di tipo 1 come patologia clinica ma non si valutano gli aspetti psicologici che si porta dietro. Ma questo ritardo culturale va assolutamente colmato, e parlarne serve moltissimo”. Non solo: per evitare che sempre più adolescenti si ammalino di diabulimia serve una formazione specifica degli operatori che si occupano di diabete, e soprattutto, osserva la psichiatra, “un’azione psicologica preventiva fin da bambini, che eviti che questo rischio si trasformi in realtà”. Per permettere a ragazze come Sandra di capire come gestire il dolore di una diagnosi traumatica, prima che il corpo impari a parlare per lei.

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