La salute non è uguale per tutti, mortalità in Italia e differenze socio-demografiche

Diceva Totò, il grande attore napoletano degli anni ‘50 e ‘60, che la morte è come una livella. Prima o poi arriva per tutti, ricchi o poveri che siano, e in questo modo rende tutti uguali. È vero. Ma è anche vero che non arriva per tutti allo stesso momento. Chi ha una più alta istruzione e un reddito più alto può infatti ragionevolmente confidare che il suo ultimo giorno giunga più tardi rispetto a chi ha studiato di meno e abbia una disponibilità economica inferiore. Messa in modo diverso e più preciso: per quasi tutte le patologie che rappresentano le più comuni cause di decesso nel nostro Paese, se cresce il titolo di studio tende a diminuire la probabilità di morire. A parità di età, si intende. Con buona pace della livella e anche dell’eguaglianza. I risultati dello studio A permettere di arrivare a queste conclusioni è l’Istat, l’istituto italiano di statistica, che da un paio di anni porta avanti uno studio proprio su questo argomento importante e delicato. Vediamo qualche esempio per capire meglio. Anno 2020, malattie del sistema circolatorio, fascia di età 30-69 anni. Risultano deceduti per questo ambito di patologie 12,5 individui maschi ogni 10mila abitanti che avevano al massimo la licenza elementare. La cifra scende a 9 individui ogni 10mila abitanti tra chi ha la licenza media, a 7,2 per chi si è diplomato e a 5 per chi è almeno laureato, un tasso meno della metà rispetto a coloro che hanno il titolo di studio più basso. Tra le donne, dove i tassi di decesso per queste malattie sono inferiori, la differenza tra chi ha studiato di più e chi ha studiato di meno è però ancora maggiore. Si passa da 4,7 decessi ogni 10mila abitanti tra chi ha fatto al più le elementari a 1,7 tra chi si è laureata, quasi 3 volte di meno. Se prendiamo in considerazione il Covid, si scende da 6,6 a 3,58 , la metà. Tra le donne da 2,47 a 0,81: tre volte. Sono due esempi ma la tendenza, come si vede dal grafico sopra, riguarda pressoché tutte le 25 patologie su cui Istat ha raccolto dati. La maggior parte delle linee si inclinano da sinistra verso destra e per ogni gradino di istruzione lungo cui saliamo saliamo tende ad esserci un decrescita della mortalità. Il ruolo dell'istruzione Questi numeri si riferiscono al 2020, anno della pandemia. Anno particolare, in cui la mortalità generale si è alzata a causa del Covid. Tuttavia, se si guarda al 2019, l’altro anno per il quale è stato condotto lo studio Istat, il quadro delle differenze tra i livelli di istruzione non cambia e resta sempre a favore di coloro che hanno potuto raggiungere un grado più alto. Perché? Come spiega l’istituto di statistica, il titolo di studio è un ottimo indicatore della condizione economico-sociale di un individuo, condizione correlata a fattori come l’occupazione, la classe sociale o la situazione in cui una persona ha trascorso la sua infanzia e ha acquisito determinate abitudini. Non a caso, le disparità dei tassi di mortalità sono più ampie per quelle malattie particolarmente influenzate dagli stili di vita e dai comportamenti. Come l’alimentazione, il rapporto con alcool o fumo, la prevenzione, il ricorso alla diagnosi precoce. Tra queste patologie Istat cita cirrosi, fibrosi ed epatite cronica o tumori maligni dello stomaco, diabete, malattie dell’apparato digerente. Tra i fattori che influenzano la condizione economica e sociale c’è, ovviamente, anche la disponibilità economica. La quale, come sappiamo, permette di accedere con maggiore facilità e tempestività a diagnosi e terapie. Anche questa tende a seguire il livello di educazione. Sempre i dati Istat mostrano che nel 2020 il reddito medio annuo disponibile per una famiglia in cui il principale percettore aveva al massimo la licenza elementare si fermava a poco più di 20mila euro. La cifra saliva a quasi 48mila euro se la figura che guadagnava di più aveva una laurea o oltre.