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Un algoritmo per predire l’insorgenza di malattie: l'intervista al Data Scientist

Salute e Benessere

Simonetta Poltronieri

Eugenio Zuccarelli ha raccontato a Health, l’appuntamento settimanale di Sky TG24 dedicato alla salute, il suo lavoro e cosa vuol dire applicare l’intelligenza artificiale a questo settore

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Classe 1994, genovese ma ora vive a New York. Eugenio Zuccarelli è un data scientist in ambito Healthcare, attualmente alla guida di un gruppo di ricerca a Cvs Health. Zuccarelli ha coordinato lo sviluppo di un modello predittivo in grado di riconoscere in anticipo l’insorgenza di malattie come il diabete o l’ipertensione. A Health, l’appuntamento settimanale di Sky TG24 dedicato alla salute, ha raccontato il suo lavoro e cosa vuol dire applicare l’intelligenza artificiale a questo settore.

Cosa vuol dire fare il data scientist in ambito medico?

"Un data scientist applicato al settore della medicina cerca di analizzare enormi quantità di dati sui pazienti, sulle loro esperienze in ospedale. Si analizzano, quindi, tutti quei dati che i medici forniscono poi alle assicurazioni per cercare di migliorare la condizione di salute di queste persone". 

 

Cosa vuol dire applicare il digitale, in particolare l'intelligenza artificiale, a questo settore?

"Applicare l'intelligenza artificiale al mondo della salute implica la creazione di modelli che possono automaticamente analizzare questi dati, quindi senza l'intervento umano di una persona come me. Così si possono poi prevedere e prevenire, a volte, delle situazioni abbastanza infelici nel futuro come, per esempio, la comparsa di una malattia".

 

Con il suo gruppo di ricerca, ha elaborato una serie di modelli basati sull'intelligenza artificiale. Ci può raccontare di che cosa si tratta e anche su che dati vi basate per elaborare questi modelli?

Quello che fanno questi modelli è abbastanza standard, quello che cambia a volte è invece la loro applicazione. Questi modelli prendono dati sui pazienti. Immaginiamo una tabella in cui ogni colonna è un'informazione sul paziente - quindi l'età, il sesso, le malattie precedenti, le possibili operazioni - e l'obiettivo è, per esempio, prevenire o prevedere quello che sarà il loro comportamento a un anno di distanza. Possiamo fare questo perché abbiamo dati storici e possiamo quindi vedere come sarebbe cambiata la condizione del paziente nel tempo. Al momento il modello che ho creato si focalizza sul diabete e sull’ipertensione perché sono delle malattie che hanno un enorme impatto su scala mondiale. Negli Stati Uniti il 10% della popolazione ha il diabete e quindi questo modello può avere un impatto sia a livello di salute delle persone che a livello economico.

Il modello è stato elaborato per il settore della medicina negli Stati Uniti ma si può replicare?

Assolutamente sì. Il modello si può replicare in qualunque sistema sanitario incluso quello italiano e sta lì proprio la potenza di questo modello. È stato creato con concetti che sono universali: in giro per il mondo abbiamo le stesse malattie, abbiamo le stesse caratteristiche come persone e l’aspetto più interessante è quello di avere accesso ai dati. Fintanto che un Paese o un'organizzazione ha accesso ai dati che servono al modello, si può utilizzare il modello e si può avere un impatto positivo sulle persone. E in questo sta, secondo me, anche l’incentivo per i governi e per le organizzazioni a cercare dei modi migliori per condividere i dati in modo privato e anonimo.

 

Dal punto di vista pratico, cosa vuol dire utilizzare tutti i giorni un modello di questo tipo, e quindi l'intelligenza artificiale, applicata al settore della salute e della sanità?

Quello che vorrebbe dire se, appunto, tutto andasse in questa direzione sarebbe che la medicina passa dall'essere un concetto di cura a essere un concetto di prevenzione. Noi lavoriamo con persone soprattutto che hanno già il diabete e cerchiamo di prevedere quella che sarà la loro condizione nel corso del prossimo anno. Lavoriamo anche con persone che non hanno il diabete cercando di capire cosa succederà in futuro. Il potere di questi strumenti è che noi come pazienti possiamo evitare qualsiasi malattia eventualmente.

 

Qual è il limite dell'intelligenza artificiale e della tecnologia applicata a questo settore, se c'è?

Ci sono vari limiti. Infatti, una delle domande che mi viene posta più spesso è se questi algoritmi vadano a sostituire il medico o meno. Questi algoritmi hanno in realtà forti limitazioni. Hanno la capacità, come strumenti, di fare previsioni, dare degli score sul rischio di una persona ma sono solamente strumenti che vanno ad aiutare il medico. Alla fine, anche il rapporto umano che si ha con il medico è completamente invariato e non si può nemmeno calcolare il valore che ha. Quindi, l’intelligenza artificiale ha limitazioni sia in fatto di dati sia in fatto di capacità e va solamente ad aiutare il medico e le persone che lo utilizzano.

 

Abbiamo visto in questi anni, con la pandemia da COVID-19, che è cambiato molto il nostro rapporto con la tecnologia, sia dal punto di vista dei pazienti che di chi in questo settore opera come i medici o i ricercatori. Qual è, secondo lei, il cambiamento più rilevante che c'è stato e che cosa possiamo aspettarci per il futuro?

È un tema molto complesso nel senso che secondo me la pandemia ci ha sicuramente fornito nuove idee e una nuova visione su quanto i dati possano essere utilizzati per aiutare in questi ambiti ma allo stesso modo sono emerse le limitazioni che ci sono a volte anche a livello culturale. Nel senso che condividere i dati è di per sé qualcosa che ha ovviamente un valore forte, ma allo stesso tempo, il fatto di condividerli è un qualcosa che di solito va un po’ contro le nostre abitudini. Quindi, sicuramente secondo me, la pandemia ha agito come catalizzatore ma ci sono vari limiti che dovranno essere ancora affrontati nei prossimi anni. C'è ancora tanta strada da fare.