Tumore alle ovaie, con una terapia mirata 2 donne su 3 vivono a più di 5 anni

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Lo dimostrano due studi presentati al congresso della Società europea di oncologia medica. "Ottenere la sopravvivenza a lungo termine è cruciale", affermano gli esperti

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In Italia, ogni anno, sono 5200 le nuove diagnosi di tumore all’ovaio. La malattia, che colpisce le donne, è molto spesso scoperta in fase avanzata, ma grazie ad una terapia mirata la sopravvivenza può essere migliorata, con due donne su tre vive a più di 5 anni dalla scoperta del cancro. A dimostrarlo due studi presentati all’Esmo, il congresso della Società europea di oncologia medica.

  

Cosa dicono gli studi

 

Con una sopravvivenza a 5 anni ancora molto bassa, pari al 43%, il tumore alle ovaie è una malattia difficile da individuare. Tra i tumori più comuni, e con il tasso più elevato di mortalità, in mancanza di efficaci strumenti di screening l’80% delle donne scopre la malattia in fase avanzata, quando il cancro è già abbondantemente diffuso. Qui, una donna su cinque presenta una mutazione BRCA, e circa la metà è affetta da tumori HRD positivi. Alcune terapie di recente scoperta, però, possono fare la differenza, in quanto agiscono in maniera mirata. In presenza di specifiche mutazioni genetiche, infatti, olaparib, farmaco capostipite della classe dei PARP inibitori, è in grado di tenere sotto controllo la malattia e di cambiarne la pratica clinica. I due studi di Fase III PAOLA-1 E SOLO-1, nei loro follow-up, non solo hanno mostrato importanti miglioramenti clinici nella sopravvivenza globale, ma anche nella sopravvivenza libera da progressione proprio con il suddetto farmaco. Nello specifico, olaparib, nelle pazienti positive al deficit di ricombinazione omologa (HRD), combinato con bevacizumab, un farmaco antiangiogenico, ha portato ottimi risultati in termini di sopravvivenza. Un effetto verificatosi anche per le pazienti con mutazioni BRCA, con bevacizumab e olaparib in monoterapia. Nello studio PAOLA-1 si è notificato che nel follow-up a 5 anni, il mix olaparib più bevacizumab ha aumentato del 65,5% la sopravvivenza delle pazienti, rispetto al 48,8% d’aspettativa con bevacizumab e placebo.

La parola agli esperti

 

Con il 67% delle pazienti con tumore ovarico vivo a 7 anni grazie al trattamento delle mutazioni BRCA con olaparib, lo studio SOLO-1 ha dimostrato la sua efficacia rispetto al trattamento con il placebo, che mostrava un’indice di sopravvivenza pari al 47%. I risultati di quest’ultimo studio sono stati pubblicati sul Journal of Clinical Oncology. Saverio Cinieri, Presidente AIOM, Associazione Italiana di Oncologia Medica, ha affermato: "Storicamente il tasso di sopravvivenza a cinque anni delle pazienti con nuova diagnosi di carcinoma ovarico avanzato è del 10-40%. Ottenere la sopravvivenza a lungo termine in queste donne è cruciale. I risultati dei due studi sottolineano inoltre l'importanza, al momento della diagnosi, del test HRD, che consente di individuare anche le mutazioni BRCA, per tutte le pazienti con carcinoma ovarico avanzato. Ci auguriamo che sia rimborsato quanto prima nel nostro Paese, perché è fondamentale per la selezione delle pazienti che possano beneficiare del trattamento di prima linea personalizzato con la terapia mirata".

Con una sopravvivenza a 5 anni ancora molto bassa, pari al 43%, il tumore alle ovaie è una malattia difficile da individuare. Tra i tumori più comuni, e con il tasso più elevato di mortalità, in mancanza di efficaci strumenti di screening l’80% delle donne scopre la malattia in fase avanzata, quando il cancro è già abbondantemente diffuso. Qui, una donna su cinque presenta una mutazione BRCA, e circa la metà è affetta da tumori HRD positivi. Alcune terapie di recente scoperta, però, possono fare la differenza, in quanto agiscono in maniera mirata. In presenza di specifiche mutazioni genetiche, infatti, olaparib, farmaco capostipite della classe dei PARP inibitori, è in grado di tenere sotto controllo la malattia e di cambiarne la pratica clinica. I due studi di Fase III PAOLA-1 E SOLO-1, nei loro follow-up, non solo hanno mostrato importanti miglioramenti clinici nella sopravvivenza globale, ma anche nella sopravvivenza libera da progressione proprio con il suddetto farmaco. Nello specifico, olaparib, nelle pazienti positive al deficit di ricombinazione omologa (HRD), combinato con bevacizumab, un farmaco antiangiogenico, ha portato ottimi risultati in termini di sopravvivenza. Un effetto verificatosi anche per le pazienti con mutazioni BRCA, con bevacizumab e olaparib in monoterapia. Nello studio PAOLA-1 si è notificato che nel follow-up a 5 anni, il mix olaparib più bevacizumab ha aumentato del 65,5% la sopravvivenza delle pazienti, rispetto al 48,8% d’aspettativa con bevacizumab e placebo.

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