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Alzheimer, un nuovo studio rivela un legame con le apnee notturne

Salute e Benessere
Immagine di archivio (Getty Images)

Durante un recente studio è stato individuato un accumulo maggiore della proteina Tau nei pazienti che soffrono di questo disturbo del sonno 

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Durante il 71esimo congresso dell’Accademia Americana di Neurologia, che si terrà a Filadelfia dal 4 al 10 maggio, saranno presentati i risultati di una nuova ricerca che dimostra l’esistenza di un legame tra le apnee notturne e il morbo di Alzheimer. Dallo studio, coordinato dal ricercatore della Mayo Clinic di Rochester (nel Minnesota) Diego Z. Carvalho, emerge che chi soffre di questo disturbo del sonno, caratterizzato da un arresto della respirazione di durata pari o superiore ai 10 secondi, presenta un maggiore accumulo della proteina Tau nella corteccia entorinale, un’area del cervello essenziale per la memoria, la percezione del tempo e l’orientamento nello spazio. "Ricerche recenti hanno collegato l'apnea del sonno a un aumentato rischio di demenza, quindi il nostro studio ha cercato di verificare l’esistenza di un collegamento con l'accumulo di proteina Tau, un biomarker dell'Alzheimer", spiega Carvalho.

L’accumulo della proteina Tau

Nello svolgimento dello studio sono state coinvolte 288 persone di età pari o superiore a 65 anni, tutte prive di disturbi cognitivi. Ogni membro del gruppo è stato sopposto a delle scansioni di tomografia a emissione di positroni (PET). In 43 partecipanti che soffrivano di apnee del sonno (come confermato dai loro partner), i ricercatori hanno individuato una quantità di proteina Tau nella corteccia entorinale superiore del 4,5% a quella presente nell’encefalo delle altre persone coinvolte. Gli autori dello studio sottolineano che “non è chiaro se le apnee aumentino l'accumulo di Tau o se livelli più alti della proteina possano predisporre al disturbo del sonno”. Saranno dunque necessari ulteriori ricerche per comprendere meglio la natura di questo meccanismo.

L’importanza dell’ormone irisina

Un altro studio, condotto di recente dai ricercatori della Columbia University, ha rivelato che l’irisina, il cosiddetto ‘ormone dello sport’, non solo aiuta a prevenire la demenza, ma protegge anche il cervello dal morbo di Alzheimer. Ottavio Arancio, l’autore dello studio, spiega che questa scoperta potrebbe aiutare a comprendere in che modo l’attività fisica migliora la memoria.