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Serotonina e felicità: senza l'ormone disturbo bipolare più probabile

Salute e Benessere
Immagine di archivio (Getty Images)

Uno studio italiano ha evidenziato l’associazione tra la riduzione della ‘molecola della felicità’ e l’insorgenza della sindrome maniacale, legata a sua volta al bipolarismo 

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La serotonina è comunemente nota come ‘l’ormone del buonumore’, un’associazione che ha ragione di esistere e potrebbe persino essere più profonda di quanto si pensasse stando a quanto scoperto da un gruppo di scienziati italiani. Un team composto da ricercatori dell’Università di Pisa, dell’Università della Campania, del Ceinge di Napoli e della Fondazione Pisana per la Scienza, ha infatti notato come una minore produzione di serotonina da parte del cervello portasse gli animali sottoposti all’esperimento a sviluppare sintomi legati alla fase maniacale che caratterizza l’insorgenza di un disturbo bipolare. Una scoperta che potrà servire per sviluppare nuove terapie farmacologiche per arginare questi fenomeni.

La serotonina attenua lo stress

Il rilascio della serotonina è un processo particolarmente importante per l’uomo, che gli esperti hanno provato in passato a favorire consigliando alcuni specifici alimenti al fine di ridurre, ad esempio, lo stress. Secondo Massimo Pasqualetti del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, uno degli autori dello studio, i risultati dimostrano che “la cosiddetta molecola della felicità è fondamentale per attenuare lo stress da ‘insulti’ ambientali provenienti dal mondo esterno”. Questa funzione ‘protettiva’ è emersa in maniera ancora più evidente quando i ricercatori hanno notato che la riduzione dei livelli di serotonina portasse il cervello a essere “più attivo, da cui appunto la fase ‘up’ o maniacale che fa da contraltare alla depressione”.

La reazione dei topi con meno serotonina

L’associazione tra la diminuzione della serotonina e il disturbo bipolare è stata possibile studiando il comportamento dei topi. Inibendo la produzione della molecola, i roditori si rendevano protagonisti di atteggiamenti simili a quelli delle persone che attraversano la fase maniacale, una situazione che veniva però risolta somministrando agli animali l’acido valproico, utilizzato solitamente per curare proprio il disturbo bipolare. Secondo Pasqualetti, la conoscenza approfondita dei processi alla base di questa condizione “costituisce senz’altro un passo in avanti per l’identificazione di modelli validi per testare terapie farmacologiche sempre più avanzate”.