IL LIBRO DELLA SETTIMANA In “Democrazia cristiana” (Sellerio) Marco Follini traccia il ritratto di un partito dal suo interno, con un racconto privo di retorica e ricco di aneddoti
“Non ci siamo mai saputi raccontare, noi democristiani”. Da questa premessa prende avvio “Democrazia cristiana” di Marco Follini (Sellerio, pp.240, euro 16), che non a caso si presenta come “Il racconto di un partito” e non come la sua storia. Sin da subito, Follini - che negli anni Settanta è stato a capo dei giovani dc prima di approdare nella Direzione nazionale - ammette come “il potere, finché è durato, ha contato per noi molto più delle parole”. E spiega anche che “per durare, quel potere si è nutrito a sua volta di molte parole, dette e ascoltate - più raramente affidate alla carta. Ma una volta finito, ha inghiottito tutti nel suo silenzio”.
Il salotto (mesto) di casa Andreotti
Decide così di imbastire una lettura garbata, dove gli aneddoti sono sempre funzionali a tracciare un ritratto e a restituire una certa idea di vita e di relazioni. Così, per spiegare come “la morale di quel mondo fosse, essenzialmente, nella misura” e che “si poteva sbagliare, non si poteva esagerare”, ricorda il salotto mesto di casa Andreotti, con le foderine bianche appoggiate al divano per non sporcare con la brillantina dei capelli il tessuto. O rievoca la storia di un deputato veneto, che negli anni Cinquanta “venne redarguito dal suo confessore per la sua abitudine di frequentare una prostituta del suo paese. Confidò di avergli risposto: ‘È un’anima, ed è un voto’. Si ignora la risposta del prete, ma si immagina che forse non sia stato un anatema”.
E la Dc finisce sul lettino
Ce ne è abbastanza per scivolare nella retorica dei bei tempi andati, ma il buono di questo libro è che non accade quasi mai. Nel suo post scriptum, Follini ammette di aver speso metà della sua vita politica dentro la Dc, con un po’ di insofferenza, e metà dopo la Dc, con un po’ di malinconia. Questa contraddizione emerge: è merito anche del fatto che l'ex vicepremier decide di condurre un’analisi sempre dal suo interno, senza scimmiottare la storiografia ortodossa. E, alla fine, questo si rivela un gran pregio: la Balena Bianca si accomoda presto sul lettino, in un saggio partigiano ma molto onesto, con molti più spunti sull’attualità di quanto si possa a prima vista immaginare.